La politica commerciale dell’UE

Statement by Cecilia Malmstrom on the EC
Lo scorso 18 novembre, Cecile Malmström ha svolto un viaggio istituzionale a Milano dove ha incontrato il Terzo Settore. Noi di Zeppelin siamo andati ad ascoltare quali novità ci sono sul fronte del commercio europeo.

La politica commerciale dell’Unione europea è fondamentale per favorire lo sviluppo del mercato interno e delle economie nazionali, in quanto orientata al costante sviluppo ed incremento dei diritti economici e sociali degli attori coinvolti nel mercato unico europeo”.

Così ha esordito il numero uno della Direzione generale del Commercio, nonché Commissario Ue Cecile Malmström, durante il suo intervento alla Rappresentanza della Commissione Europea a Milano. Si è molto parlato di Ceta e Ttip, per questo il Commissario ha tenuto a dare importanza ai rapporti commerciali bilaterali (con Giappone, Messico, Tunisia, Indonesia, Nuova Zelanda), e particolare attenzione è stata riservata ai negoziati in corso con la Cina (con la quale l’Ue scambia beni per 428 miliardi di euro l’anno) e i paesi del Sud East asiatico.

La Commissione, da qualche mese, sta valutando l’ipotesi di attribuire all’economia cinese lo status di economia di mercato (ovvero un’economia fondata sulla proprietà privata, sulla libertà d’impresa e sullo scambio di beni e servizi in mercati liberi) in virtù del possibile ingresso di Pechino come membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto).

Questo passo potrebbe dare il via ad un’ondata di liberalizzazioni con riferimento alla normativa anti-dumping (Regolamento 1225/2009), con la conseguenza che verrebbero meno i controlli sui beni cinesi importati, controlli volti a verificare se i prezzi delle esportazioni cinesi siano in linea con i “prezzi di mercato”, oppure oggetto di sovvenzioni per avvantaggiarli sugli altri prodotti venduti nel mercato cumunitario (le sovvenzioni altererebbero la competitività delle imprese europee abbassando i parametri qualitativi della produzione).

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L’accesso della Cina nella Wto ne determinerà lo status di economia di mercato. Credits: Andre Skibinski

Ma l’apertura del mercato europeo alle imprese cinesi mediante l’abolizione dei controlli conseguente al riconoscimento dello status di market economy potrebbe generare dei problemi relativi alle convenzioni internazionali dell’Ilo (International Labour Organization) sulle condizioni dei lavoratori, che se diffusamente rispettate in Europa e ratificate dagli Stati membri, non sono state invece ratificate dalla Cina.

La Direzione generale del Commercio Ue, proprio per garantire alle imprese europee la possibilità di esportare i parametri minimi di tutela dei lavoratori negli Stati terzi dove le imprese europee delocalizzano la produzione, ha sottoscritto nel 2013 degli accordi di cooperazione con l’Ilo e alcuni Stati del Sud Est asiatico, da cui provengono il 43% delle esportazioni mondiali (Filippine, Myanmar, Vietnam, Thailandia, Cambogia e Corea del Sud).

A tale scopo, la Commissione ha finanziato il progetto South Asia Labour Migration Governance Project 2013-2016 per quasi 2 milioni di euro, con l’obiettivo di fornire ai lavoratori un background che gli consenta di auto-valutare le proprie condizioni di lavoro e specializzarsi per poter arrivare sul mercato del lavoro con skills qualificate.

Parallelamente, la Commissione ha avviato il programma Action Fiche for Responsible Supply Chain in Asia, con l’obiettivo di sviluppare filiere di produzione responsabili nei confronti dell’ambiente e dei diritti umani.

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Audizione sull’Environmental Goods Agreement tenuta lo scorso maggio a Bruxelles. Credits: Ue

Secondo il Commissario europeo per il commercio Cecile Malmström, la Commissione Juncker non è impegnata solo sul fronte dello sviluppo di accordi meramente commerciali. Dal luglio 2014 infatti, sta lavorando allo sviluppo di accordi sull’ambiente, chiamati Environmental Goods Agreements, che prevedono la cooperazione dell’Unione europea con 16 Stati membri della Wto (Australia, Canada, Cina, Costa Rica, Taiwan, Hong Kong, Giappone, Corea, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, Singapore, Stati Uniti, Israele, Turchia e Islanda) con l’obiettivo di ridurre i dazi su 54 prodotti definiti “green”, ovvero in grado di favorire la protezione dell’ambiente e di ridurre gli effetti del cambiamento climatico (ad esempio depuratori da diossina di carbonio, pompe di calore, pannelli solari, pale eoliche, ecc.).

Tale accordo non ha solo l’obiettivo di garantire il raggiungimento dei parametri della Strategia per l’ambiente 2030 (riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, 27% di energia prodotta proveniente da fonti rinnovabili, 27% di risparmio energetico rispetto alle statistiche attuali) ma ha anche quello di dare impulso al settore delle “green factories” sempre più in espansione. Infatti, secondo la Malmström, negli anni 2007-2011, nonostante la crisi economica che ha investito i mercati, questo mercato è cresciuto del 20%, portando l’Unione europea a ricoprire una posizione di leadership nelle esportazioni con un volume pari a 146 miliardi di euro.

di Ilaria Rudisi