Non possiamo non dirci etnocentristi

Cueva de las Manos del Rio Pinturas, Cave of the Hands, Patagonia, Province of Santa Cruz, Argentina / CURIOUSLY KRULWICH A Blog by Robert Krulwich Who’s the First Person in History Whose Name We Know? / PHOTOGRAPH BY JAVIER ETCHEVERRY, VWPICS, REDUX

L’etnocentrismo è un’universale caratteristica umana, che si sostanzia con una solidarietà interna al gruppo d’appartenenza, alimentata dalla convinzione di rappresentare la vera umanità e dalla separazione – il più delle volte conflittuale – dall’Altro. Come affrontare le conseguenze di questo atteggiamento?


Che cos’è l’etnocentrismo

Scriveva William Graham Sumner – colui che ne coniò il termine – che l’etnocentrismo è “il termine tecnico utilizzato per definire una concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto ad esso”. Un atteggiamento valutativo, che può esprimersi sia in giudizi che in azioni, che porta a considerare i principi, i criteri e le norme della cultura del gruppo di appartenenza come più appropriati e umanamente autentici rispetto a quelli degli altri.

L’Altro, il diverso è separato e distante e si fa portatore di forme differenti (solitamente inferiori) di umanità. In altre parole si potrebbe definire l’etnocentrismo una sorta di “egocentrismo dei popoli”.

Etnocentrismo a scuola.

Un esempio pratico di come si è inconsciamente soggetti all’etnocentrismo si trova tra i banchi di scuola. Può sembrare un fatto innocuo, ma a seconda del Paese in cui si cresce si impara a conoscere la storia e a vedere il mondo da una prospettiva differente, non solo “umana”, ma anche geografica.

Ogni Paese infatti si posiziona al centro della propria cartografia: ognuno è “il centro del mondo”. Quello che viene usato in Europa è il modello eurocentrico, generalmente proposto con la proiezione di Mercatore, ma è solo uno degli innumerevoli modi di rappresentare la Terra.

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La cartina qui sotto, ad esempio, è utilizzata nelle scuole americane. Si può notare come siano le Americhe ad occupare il centro del planisfero.

america al centro

Quest’altra rappresenta la visuale pacifico-centrica, che pone l’Asia e l’oceano nel mezzo. Questa cartina viene utilizzata nelle scuole cinesi e giapponesi.

asia

Etnocentrismo dei mass media.

Anche i media promuovono, consapevolmente o meno, l’etnocentrismo. Ciò avviene attraverso la selezione delle notizie da divulgare. Spesso molti avvenimenti non vengono neanche presi in considerazione perché geograficamente lontani. Lasciamo parlare i fatti, piuttosto recenti: 13 novembre 2015, Parigi, 11 settembre 2001 New York. Non c’è persona in Europa o in America che non abbia impresse queste due date. Gli attentati nel centro di Parigi e l’attacco alle Torri Gemelle, due avvenimenti di cui si è parlato e riparlato, dai telegiornali, ai social network.

Eppure anche il 12 Novembre 2015 sarebbe stata una data da ricordare, dato che a Beirut la capitale del Libano, due kamikaze si sono fatti esplodere provocando 41 morti e altrettanti feriti, così come quella del 3 Aprile 2015 quando nell’università di Garissa, attaccata da miliziani di al-Shabab, hanno perso la vita 147 persone tra studenti e insegnanti.

Se ci si sente maggiormente coinvolti da drammi percepiti come vicini piuttosto che lontani, è proprio perché ogni individuo è un soggetto etnocentrico, che si interessa all’altro sulla base del suo vissuto: cioè di quello che ha intorno. Gli europei si impressionano più facilmente quando rimangono vittime di questi attacchi, perché è opinione diffusa sentirsi al riparo da questi avvenimenti, i quali, tutt’al più, ricordano scene viste in un film d’azione, oppure popoli lontani certamente più dediti alla violenza di noi.

Etnocentrismo di Stato.

Non tutti sanno che la Repubblica Popolare Cinese risponde anche ad un altro nome: Zhongguo – paese di centro (del mondo)- un’idea di superiorità e predominanza culturale che si indebolì solo tra l’Ottocento e la fine del secolo successivo, che si alimentò nel tempo grazie alla consapevolezza di una debolezza economica e politica dei paesi confinanti, e che portò alla creazione di una gerarchia nelle relazioni con l’esterno. Tuttavia, esistevano – ed esistono – differenziazioni tra i cinesi di etnia Han – l’etnia dominante – e gli altri, tra la Cina degli agricoltori sedentari e quella dei nomadi allevatori delle steppe, etc.

Etnocentrismo reputazionale.

Una brutta piega che può prendere questo sentimento di superiorità (che spesso si trasforma in una rivendicazione esclusiva di umanità) è rappresentata dalla necessità di mantenere intatta la propria reputazione, insabbiando errori e fallimenti. Un esempio di ciò si ritrova nel programma di storia adottato nelle scuole giapponesi. Quando si parla dei fatti di Pearl Harbor tutti sono a conoscenza della violenza e dell’atrocità dell’attacco del 7 dicembre del 1941 sferrato dai giapponesi alla base navale americana. Tutti tranne i giapponesi. Difatti nelle scuole del Giappone questo avvenimento viene affrontato a malapena, come se fosse solo una nota a piè pagina o una vecchia storia pronta ad essere dimenticata.

Etnocentrismo fuori controllo.

Anche il razzismo, che secondo il vocabolario Treccani è

ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la «purezza» e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore,

anche il razzismo, si diceva, è una conseguenza, se non addirittura uno sviluppo, dell’etnocentrismo. Le differenze di lingua, tratti somatici, tradizioni e cultura diventano un ostacolo spesso insormontabile quando si tratta di accettare l’altro diverso. Basti pensare alla manifesta ostilità nei confronti dei profughi dimostrata sia da una parte (in crescita) dell’opinione pubblica europea che dalle istituzioni comunitarie. S’innalzano muri fisici, si chiudono le frontiere e persistono ostacoli al semplice dialogo. L’Europa, davanti a questo dramma, è pronta ad abdicare alla sua pluralità, perdendo altresì credibilità e rispettabilità. Il riemergere dei nazionalismi è solo uno dei segnali di questa deriva.

Che fare.

Spesso ci si sente così protagonisti che gli altri diventano lentamente semplici comparse, lasciate nell’ombra alle nostre spalle. L’essere umano è inevitabilmente legato al gruppo e alla cultura di appartenenza, per la stessa ragione un Noi-centrismo esisterà sempre. A questa consapevolezza, va affiancata la comprensione che i Noi sono costituiti da identità (del gruppo) e alterità insieme. L’indole umana, la stessa nostra natura biologica, ci spinge ad abbracciare l’etnocentrismo che, come abbiamo visto, se fuori controllo, può sfociare in diffidenza e ostilità nei confronti dell’altro. In una società così globalizzata non sarebbe forse meglio ampliare gli orizzonti?

Di: Silvia Migliucci