Primarie e convention Usa, istruzioni per l’uso

Allen J. Schaben / Los Angeles Times
di Marina Roma
Le primarie americane per decidere chi concorrerà alla presidenza degli Stati Uniti d’America stanno per giungere al termine. Vi forniamo il punto della situazione e vi spieghiamo cosa potrebbe ancora succedere a causa delle complicate regole delle convention che si terranno a luglio.

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Aggiornamento: il 4 maggio alle 18:30 (CEST) il candidato repubblicano John Kasich ha ufficializzato il proprio ritiro dalla corsa presidenziale: Donald Trump rimane l’unico candidato alla nomination repubblicana.
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L’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America è solo parzialmente disciplinata dalla Costituzione. La Carta fondamentale regola solamente la parte finale del processo elettorale, in cui i 538 grandi elettori presidenziali votano a scrutinio segreto il candidato alla presidenza. Non trova una specifica copertura costituzionale tutto il percorso precedente, attraverso il quale, mediante primarie e cosiddetti caucus, i cittadini designano i delegati che andranno poi alla convention del partito di appartenenza, evento in cui si voterà il candidato presidenziale. I partiti, repubblicano e democratico, si sono dotati di regole differenti per disciplinare lo svolgimento delle relative convention.

[toggle title=”Che differenza c’è tra caucus e primarie”]
Il lungo processo di elezione del Presidente degli Stati Uniti (Potus) è complesso ed articolato. Ogni Stato federale degli Stati Uniti d’America, e gli stessi principali partiti, hanno regole diverse che disciplinano sia la designazione dei candidati alla presidenza di ciascun partito, sia l’assegnazione dei voti dei propri delegati al Collegio elettorale che voterà alle elezioni presidenziali. L’assegnazione dei delegati alle convention dei partiti può ad esempio avvenire attraverso un sistema maggioritario – chi vince prende tutti i delegati – oppure attraverso un’assegnazione proporzionale dei delegati in base ai voti presi da ciascun candidato (come peraltro avviene anche alle presidenziali); in alcuni Stati, inoltre, ogni cittadino interessato può votare, mentre in altri bisogna registrarsi per tempo come elettori del partito per cui si parteggia (alcuni Stati esistono sistemi misti, come in Massachusetts – primarie semi-chiuse – o in Ohio – dove si vota con delle primarie semi-aperte). In alcuni Stati poi si vota attraverso le primarie, mentre in altri attraverso i caucus. Ma cosa sono i caucus?

Caucus significa “assemblea”. Vi partecipano, salvo eccezioni, i soli iscritti al partito di riferimento, e sono organizzati localmente dai partiti stessi. Anche in questo caso le regole possono cambiare da Stato a Stato, ma generalmente il funzionamento rimane simile: gruppi di attivisti di partito si incontrano per un tempo prestabilito in un luogo prestabilito per discutere dei diversi candidati con comizi e orazioni. Si vota con alzata di mano o per divisione in gruppi. I candidati che ottengono più consensi potranno mandare un maggior numero di delegati alle convention in cui si renderanno ufficiali le due nomination presidenziali.

credits: diffen.com
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Quanti delegati servono per ottenere la nomination a candidato presidenziale? Per il partito democratico sono necessarie 2382 preferenze sulle 4764 totali (tra cui ci sono i super-delegati, cioè dirigenti di partito che hanno il diritto di partecipare alla convention, e che votano senza vincolo di mandato fin dalla prima votazione), mentre per quello repubblicano il quorum si attesta a 1237 voti su 2472. Dopo gli ultimi appuntamenti del 26 aprile e del 3 maggio, sul fronte democratico Hillary Clinton si assesta sui 1663 delegati, mentre Bernie Sanders sui 1337; sul fronte repubblicano Donald Trump è a quota 1041, Ted Cruz 566 e John Kasich 153. Dopo i risultati dell’Indiana, Ted Cruz ha deciso di ritirarsi, rendendo Donal Trump, secondo Reince Priebus – Presidente del Comitato nazionale repubblicano – il “candidato presunto”, nonostante John Kasich sia ancora in corsa.

Quali sono gli Stati che ancora devono esprimersi? Per il mese di maggio importanti saranno, Kentucky e Oregon, ma la vera attesa è per il 7 giugno, in cui andranno al voto California (172 dem., 546 rep.) e New Jersey (51 dem., 142 rep.).

Copyright © 2016. 2016 Election Central
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Clinton nel frattempo sembra convinta della propria vittoria: dal palco di Philadelphia ha fatto una sorta di ringraziamento al senatore Sanders e ai suoi supporter, per aver reso la competizione elettorale così stimolante.

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Dall’altra parte, Trump, non sembra temere un’eventuale mancato raggiungimento della maggioranza assoluta dei delegati, che gli darebbe automaticamente la nomination, e si dice convinto di poter tranquillamente vincere al primo scrutinio. Nel suo discorso, a seguito di una delle ultime vittorie, ha detto: «se hai una squadra di football e stai vincendo, poi vai al Superball, non cambi i tuoi quarterback!».

Le parole di Trump rappresentano un tentativo di affermare la propria forza da una parte verso l’elettorato, ma soprattutto verso l’establishment repubblicano, che si è dimostrato più volte apertamente ostile nei sui confronti. Mr. Trump, nella remota eventualità in cui non dovesse raggiungere la quota di 1237 delegati, potrebbe, nel succedersi delle varie votazioni, perdere sostegni. Entrerebbero qui in gioco le leggi dei diversi Stati che regolano in maniera diversa il procedimento di designazione. La maggioranza di esse, infatti, obbliga il delegato ad attenersi ai risultati delle primarie – una sorta di “mandato imperativo” – solamente nel primo turno di votazione.

Se nel primo turno il 95% dei delegati ha un obbligo di voto conforme all’esito elettorale, già dalla seconda votazione questa percentuale scende al 39%, per poi ridursi ulteriormente in quelle successive (in questa pagina il New York Times spiega passo dopo passo i vari scrutini). Non appare dunque irrealistico uno scenario in cui i delegati dell’establishment facciano venir meno il loro sostegno a un candidato che, pur incoronato dal voto popolare, risulti loro sgradito. In questa situazione i delegati potrebbero optare per una terza scelta, anche tra personalità che non hanno partecipato alle primarie (si parla ad esempio di Paul Ryan, attuale speaker della Camera dei rappresentanti).

Naturalmente una simile prospettiva verrebbe meno qualora Trump riuscisse ad ottenere – cosa ormai certa – i delegati che gli mancano per il raggiungimento del quorum. L’improbabile alleanza Cruz-Kasich resta un fattore da considerare, ma difficilmente potrebbe impensierire la cavalcata di Trump alla nomination.

Un ruolo ulteriore potrebbe svolgerlo la regola 40(b) della convention repubblicana. La cosiddetta “eight state rule” stabilisce che il candidato designato deve essere risultato vincitore in almeno otto stati. Una simile condizione, al momento, metterebbe da parte definitivamente Kasich. La regola, tuttavia, è una “temporary rule”, introdotta nella scorsa consultazione al solo fine di escludere Ron Paul, e probabilmente sarà rimossa. Se Trump non dovesse raggiungere il quorum dei voti necessari per la nomination, ci si ritroverebbe davanti ad una cd. “contested convention”.

[ecko_toggle style=”solid” state=”closed” title=”Contested e brokered convention: di cosa parliamo”]

La “contested convention” è un’eventualità piuttosto rara che si verifica se nessuno dei candidati alla nomination raggiunge il quorum, che per il Partito Repubblicano vuol dire, come abbiamo visto, quota 1237 delegati. L’ultima volta avvenne nel 1976. Se anche nello scrutinio successivo nessun candidato raggiunge il quorum, si parla di “brokered convention”. A questo punto saranno le trattative sottobanco tra i notabili di partito a decidere a chi assegnare i delegati nelle votazioni successive.

Ronald Reagan saluta la folla alla convention repubblicana del 1976 a Kansas City. Dietro di lui, (da sinistra a destra) il figlio di Gerald Ford, Mike Ford, Jack Ford, Steve Ford, il Vice-presidente Nelson Rockefeller, il Presidente Gerald Ford, Betty Ford, e il candidato in ticket con Ford per la vicepresidenza, Bob Dole / credits: David Hume Kennerly / Getty Images
Ronald Reagan saluta la folla alla convention repubblicana del 1976 a Kansas City. Dietro di lui, (da sinistra a destra) i figli di Gerald Ford, Mike Ford, Jack Ford, Steve Ford, il Vice-presidente Nelson Rockefeller, il Presidente Gerald Ford, Betty Ford, e il candidato in ticket con Ford per la vicepresidenza, Bob Dole / credits: David Hume Kennerly – Getty Images

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In ogni caso, le primarie del 2016 saranno da ricordare. Da qui infatti uscirà con buona probabilità la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti. Inoltre non bisogna sottovalutare il ruolo svolto dallo sfidante democratico Sanders, che, pur dichiarandosi apertamente socialista nella patria del liberismo, è riuscito a giocare un’ottima partita, dando del filo da torcere alla Clinton stessa, data da anni come la favorita.

Dall’altra parte, il candidato repubblicano rappresenterà sicuramente una figura nuova, non usuale per la politica americana. Donald Trump, con tutti i suoi eccessi, si pone come un personaggio borderline per i repubblicani. Postosi fin dall’inzio fuori da ogni schema e pressoché da ogni regola del politically correct, ha riscosso un enorme successo. Un successo inaspettato, ma decisamente rilevante, tanto da permettergli di imporsi, forte della sua legittimazione popolare, sugli altri candidati.