Cosa sappiamo (e non) dell’attentato in Turchia

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Ennesimo attentato nella capitale turca. Questo volta l’obiettivo è un convoglio militare che sta percorrendo il centro della città, in particolare la zona del Parlamento e del Quartier Generale dell’Aeronautica. 28 morti, 61 feriti. Un’offesa che contribuisce ad innalzare ulteriormente la tensione nella regione e che porta con sé tanti punti interrogativi.


La possibilità di un’invasione turca della Siria con unità terrestri si fa sempre più concreta. I punti interrogativi, inquietanti, ci spingono a chiederci chi ci sia dietro l’ennesimo attentato compiuto sul suolo turco, come sia stato organizzato e perché.

La polizia ritiene di aver individuato il kamikaze in Saleh Nejar, 24 anni, curdo-siriano entrato in Turchia a luglio come rifugiato e la cui identificazione sarebbe stata possibile grazie alla comparazione delle impronte digitali dell’attentatore con quelle prese a suo tempo dalla polizia di frontiera. Il movente del giovane, che le forze di sicurezza di Ankara ritengono essere membro delle milizie curdo-siriane dell’Ypg e che avrebbe agito con l’aiuto di una decina di persone, sarebbero i massacri perpetrati dall’aviazione turca nel sud est del paese a maggioranza curda e nel Kurdistan in generale.

Tutto finito, quindi. Il colpevole identificato (e morto), i complici arrestati, il mandante scoperto. Applausi alla polizia turca per la celerità con cui è stato risolto il caso, e al Governo turco, così sicuro di sé che poche ore dopo l’esplosione già bombardava le milizie curde dislocate in Iraq per rappresaglia.

Lungi dal suggerire oscuri complotti internazionali, qualche dubbio, diciamolo, rimane. L’azione sarebbe stata decisa sette mesi fa, al momento in cui Saleh Nejar entrò in Turchia come rifugiato o solo successivamente? Perché il PKK o le milizie YPG al momento non hanno rivendicato l’azione? Ma anzi negano il loro coinvolgimento? Dove e come si sarebbe procurato tale quantitativo di esplosivo? Se le forze di sicurezza turche sapevano che il giovane era membro delle milizie YPG, come mai non lo hanno respinto alla frontiera? E perché girava liberamente per la Turchia? Come è stato possibile in poche ore individuare il cadavere dell’attentatore, recuperare le sue impronte digitali dalle mani carbonizzate e confrontarle con quelle prese sette mesi prima ad uno dei migliaia di rifugiati provenenti dalla Siria?

Ma soprattutto, perché mai i curdi, che grazie all’appoggio delle grandi potenze stanno strappando vaste zone di territorio iracheno al controllo di Daesh e che vedono vicina come non mai la possibilità di costituire un Kurdistan indipendente, dovrebbero fornire alle forze armate turche un motivo per attraversare il confine e soffocare decenni di lotte, speranze ed estremi sacrifici?