Cosa significa la riconquista di Aleppo?

Un soldato siriano sventola la bandiera siriana nel quartiere di Aleppo est di Tariq al-Bab. Credits to: Hassan Ammar/AP
Un soldato siriano sventola la bandiera siriana nel quartiere di Aleppo est di Tariq al-Bab. Credits to: Hassan Ammar/AP
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
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La riconquista di Aleppo da parte del fronte governativo, che sta avvenendo tra esecuzioni di massa e massacri, avrà delle implicazioni su più livelli. Ecco cosa sta succedendo e cosa ci si deve aspettare.


“Aleppo rischia di diventare un gigantesco cimitero”. Con queste parole Stephen O’Brien, Coordinatore degli aiuti umanitari Onu, si era rivolto il 30 novembre al Consiglio di sicurezza in un accorato appello alla tutela dei civili. Quello che sta accadendo in queste ore ad Aleppo est era dunque stato previsto. A circa un mese dall’inizio dell’offensiva finale su Aleppo est, il fronte governativo ha riconquistato la quasi totalità della parte orientale della città in mano ai ribelli. Per i civili, intrappolati tra due fuochi, è un vero massacro: man mano che il fronte governativo (sciita) avanza, la popolazione (sunnita) subisce rastrellamenti, esecuzioni sommarie e arresti di massa, come denunciato anche dall’Onu.

Il 5 dicembre, Russia e Cina hanno posto il veto a una risoluzione che chiedeva una tregua di 7 giorni; nei giorni scorsi sono stati centinaia gli uomini tra i 18 e i 40 anni che sono stati arrestati dal fronte governativo e di cui non si hanno più notizie, mentre ieri, 12 dicembre, le truppe siriane e le milizie straniere loro alleate hanno cominciato a rastrellare gli ultimi quartieri in mano ai ribelli, giustiziando sommariamente sia i combattenti che i civili, di fatto vendicandosi su una popolazione che fino all’ultimo ha sostenuto l’opposizione. Per tutta la giornata di ieri si sono succeduti sui social gli ultimi messaggi-testamento di civili e attivisti. Secondo fonti locali, le forze governative avrebbero compiuto stupri e arso vive intere famiglie, comprese 4 donne e 9 bambini nel quartiere Al Firdous. Secondo l’Alto commissariato dei diritti umani dell’Onu ci sarebbero state almeno 82 esecuzioni sommarie (tra cui 11 donne e 13 bambini) a seguito delle irruzioni casa per casa, ma potrebbero essere molte più. La Protezione Civile Siriana ha twittato che non riescono a calcolare il numero di vittime perché i corpi sono ovunque nelle strade e che ci sono almeno 90 persone sotto le macerie che non riescono a tirare fuori a causa dei bombardamenti.

A pochi passi da questo massacro, nei quartieri governativi, i sostenitori del regime stanno festeggiando “la liberazione di Aleppo dai terroristi”: “stiamo vivendo gli ultimi momenti prima della vittoria”, ha annunciato un funzionario militare del fronte governativo.

La vittoria militare del regime su Aleppo infatti si sta compiendo in queste ore, ma che impatto avrà?

“La battaglia di Aleppo”, mappa aggiornata al 12/12/2016. Credits to: Tariq Adely/Syria Direct.
“La battaglia di Aleppo”, mappa aggiornata al 12/12/2016 – credits: Tariq Adely / Syria Direct

Dal punto di vista militare

La totale riconquista di Aleppo da parte del regime costituirebbe la sua più grande vittoria militare dall’inizio del conflitto, non solo perché è la seconda città più importante del Paese, nonché suo (ex) principale hub economico e commerciale, ma anche perché dal 2012 è una delle principali roccaforti dell’opposizione.

Tuttavia, questa vittoria, da sola, potrebbe non essere decisiva per le sorti del conflitto. Lo stesso Assad ha dichiarato: “È vero che Aleppo sarà una vittoria per noi, ma cerchiamo di essere realistici – non significherà la fine della guerra in Siria”. Infatti non si può ignorare il fatto che Assad controlla appena un terzo circa del Paese e che Aleppo non ha niente a che fare con la lotta all’ISIS, dato che ISIS ad Aleppo non c’è. Anzi, mentre il fronte governativo è impegnato ad Aleppo contro i ribelli, ISIS ha riconquistato Palmira.

Né si può ignorare che le condizioni che hanno portato alla rapida conquista di Aleppo sono piuttosto uniche.

In primo luogo, l’accordo tra Russia e Turchia, in base al quale le due potenze hanno raggiunto un (provvisorio?) compromesso militare. La Turchia è intervenuta direttamente in Siria a fine agosto, avviando l’operazione Scudo sull’Eufrate” e creando di fatto una zona cuscinetto lungo il confine, con il consenso di Mosca e Damasco, le quali a loro volta hanno avuto via libera per l’offensiva su Aleppo, la cui preparazione è iniziata non senza difficoltà in concomitanza con “Scudo sull’Eufrate”. Per approfondire queste dinamiche si rimanda alla nostra analisi.

In secondo luogo pesa il vuoto politico americano a seguito dell’elezione di Trump. Le elezioni americane dell’8 novembre hanno da un lato distolto l’attenzione mediatica dalla fase finale dell’offensiva su Aleppo, iniziata il 15 novembre, dall’altro hanno posto i funzionari americani in una posizione negoziale estremamente debole.

Infatti, lontano dai riflettori, il Segretario di Stato Usa John Kerry è impegnato in uno sforzo diplomatico per strappare alla Russia un accordo su Aleppo, per evitare la catastrofe umanitaria, sforzo finora senza successo. La Russia non ha infatti motivo di concludere uno sfavorevole accordo con un’amministrazione uscente, quando tra poche settimane si insedierà al Governo americano un Presidente che, almeno a parole, nutre simpatia sia per il Cremlino che per Damasco.

Tuttavia, nella nuova Amministrazione Usa potrebbe nascondersi un’insidia: Trump non ha affatto posizioni distensive verso Teheran, prezioso alleato del regime siriano. Non è ancora chiaro come Trump intenda operare in Siria, ma la sua determinazione a contrastare l’espansione iraniana non può che passare anche per la Siria. Il 2 dicembre il Congresso americano ha approvato l’autorizzazione ad armare i ribelli siriani con la contraerea, per la prima volta dall’inizio del conflitto, il che sarebbe un evento spartiacque se mai avverrà.

In terzo luogo, va considerata la convergenza di interessi degli alleati del regime siriano. Quest’ultimo ha dimostrato di non poter sopravvivere senza l’appoggio militare dei suoi alleati, tant’è che il cosiddetto “fronte governativo” è solo in minima parte composto da truppe siriane: la maggior parte delle forze che combattono con il regime sono truppe iraniane, di Hezbollah, milizie mercenarie irachene, afghane e pakistane al soldo dell’Iran e persino di truppe egiziane (senza contare il supporto russo).

Le vittorie del regime sono dovute per lo più ai suoi alleati e alla convergenza dei loro interessi. Tuttavia, avevamo analizzato qui e qui le dinamiche di questi interessi, che convergono nel breve termine ma che nel lungo periodo divergono sostanzialmente. Questo, unitamente alle altre potenze coinvolte nel conflitto, potrebbe rendere impossibile una definitiva vittoria militare del regime e più realistica una spartizione della Siria.

Le 66 sigle di milizie che combattono al fianco di quel che rimane dell'esercito governativo di Assad. Tra loro solo 18 (il 27%) sono sigle siriane. La maggioranza comprendono milizie palestinesi, libanesi, irachene, iraniane, afghane, pakistane, yemenite e del Bahrein. Credits to: FSAPlatform.
Le 66 sigle di milizie che combattono al fianco di quel che rimane dell’esercito governativo di Assad. Tra loro solo 18 (il 27%) sono siriane. La maggioranza sono palestinesi, libanesi, irachene, iraniane, afghane, pakistane, yemenite e del Bahrein – credits: FsaPlatform.

In quarto luogo, la particolare vulnerabilità dei ribelli di Aleppo, dovuta sia all’assedio, sia alla mancanza di armamenti efficaci, sia all’operazione “Scudo sull’Eufrate” che ha privato di forza militare il fronte ribelle di Aleppo. Per approfondire le dinamiche militari della battaglia di Aleppo e le strategie dei due schieramenti si rimanda a questa analisi.

Dal punto di vista demografico ed etnico-confessionale

La caduta di Aleppo in mano al fronte governativo segnerebbe il più significativo evento di rimappatura demografica finora attuato in Siria. Avevamo analizzato qui la ricomposizione demografica su basi etnico-religiose in corso in Siria. Aleppo est è sunnita, Aleppo ovest prevalentemente sciita, alawita e cristiana, come sciite sono le milizie che stanno assediando la parte orientale.

Anni di bombardamenti e mesi di assedio hanno già svuotato Aleppo est di quasi tutta la sua popolazione, sfollata in altre zone sunnite del Paese o rifugiata all’estero. I ribelli e i civili sunniti verranno collettivamente puniti per la rivolta e anche Aleppo vedrà con ogni probabilità una “sciizzazione” forzata, come già avvenuto in altre aree. I migliaia di sfollati e rifugiati non faranno ritorno in patria e ciò peserà sia sull’Europa che sui Paesi limitrofi alla Siria.

Dal punto di vista politico e umanitario

Una vittoria militare escluderebbe la soluzione politica e segnerebbe la catastrofe umanitaria. Aleppo est è stata dal 2012 una delle roccaforti del movimento pacifico di protesta e dell’Fsa, teatro delle più significative esperienze di autogoverno della società civile, con uno dei principali Consigli locali del Paese.

La totale riconquista di Aleppo da parte del regime significherebbe porre fine a queste esperienze, sciogliere i comitati locali e le attività civili e mediatiche che hanno proliferato in autonomia e significherebbe il ritorno dello stato di polizia, come già avvenuto nei sobborghi di Damasco che si sono arresi al regime negli ultimi mesi e di cui avevamo parlato qui.

Il prezzo della riconquista di Aleppo est è la sua totale distruzione e l’annientamento dei suoi abitanti, come loro prospettato dagli stessi volantini che il fronte governativo ha fatto “piovere” sui quartieri ribelli, dagli SMS che hanno inviato ai residenti di Aleppo con il messaggio “arrendetevi o morite” e come emerge dalle intercettate comunicazioni tra gli ufficiali siriani. Solo per fare un esempio, il 30 novembre un gruppo di civili che tentava di scappare da Aleppo est è stato bombardato dal fronte governativo: 45 civili, tra cui donne e bambini, hanno perso la vita.

Dal punto di vista giuridico ed etico

L’offensiva su Aleppo è un campionario di crimini di guerra e il fallimento totale del diritto e della comunità internazionale, dove i civili sono oggetto di quello che di fatto è uno sterminio. Dopo la Francia, anche degli avvocati tedeschi hanno avviato un procedimento penale contro Assad per i crimini di guerra commessi ad Aleppo, invocando il principio di giurisdizione universale che vale per i crimini internazionali. L’assedio e il massacro dei civili di Aleppo trova tristi precedenti storici di fronte ai quali si era detto “mai più” e l’incapacità di tutelare i civili e far valere le più basilari norme del diritto internazionale ne espone l’ipocrisia e la complicità in tali crimini. Nedzad Avdic, uno dei sopravvissuti al genocidio di Srebrenica, allora 17enne, ha scritto:

Il loro fallimento [dei leader mondiali nel proteggere i civili] rappresenta un tradimento non solo verso il popolo di Aleppo e della Siria, ma anche verso i sopravvissuti e le vittime di tutti i genocidi da cui ci siamo prefissi di imparare [..] Ascoltate uno che è sopravvissuto a un genocidio. C’è molto più di Aleppo in gioco”.

di Samantha Falciatori