Dai Balcani a Dabiq

Balkis Press / Sipa USA/AP Photo
Parte della popolazione islamica dei Balcani è ricettiva ai messaggi di predicatori radicali, che hanno saputo orientare il loro progetto di terrore. “L’onore è nel Jihad: un messaggio al Popolo dei Balcani (Honor is Jihad: A Message to The People of the Balkans)”.

Ci si chiede spesso quali limiti incontri la globalizzazione dal momento che frontiere e confini sono lontani dall’essere eliminati: in particolare, è argomento di discussione attuale se la (ri)costruzione di frontiere recintate tra i vari Stati possa essere utile ad impedire l’ingresso di terroristi che si nascondono tra l’inarrestabile ondata di profughi che, disperati, tentano di raggiungere l’Europa in cerca di pace.

Non è irrilevante rispetto a questo interrogativo il concetto che l’Islam ha del proprio popolo: tradizionalmente la “Umma”, comunità musulmana, percepisce il proprio territorio non in funzione di uno spazio, ma in funzione di un concetto: il “dar al islam” (casa dell’Islam). Tuttavia quanto vi è di positivo nella religione concepita come fenomeno interessato da un’evoluzione costante sembra essere stato tradito dal sedicente “stato islamico” per essere trasformato nel progetto politico esposto pubblicamente nella rivista “Dabiq”. Questa prende il nome dalla piccola città siriana riconquistata dalle forze delle Fsa appoggiate dalla Turchia a metà Ottobre dove secondo il Profeta Muhammad si terrà la battaglia finale tra “crociati e musulmani”. Può essere considerata lo strumento di propaganda online dello Stato Islamico.

Il 29 luglio del 2014, a Mosul, l’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) cambia nome in “stato islamico”, costituendo il sedicente califfato. In quell’occasione Al Bagdadi si proclama “califfo” attribuendosi lo stesso titolo del Grande Veritiero, “Abu Bakr”, primo successore di Muhammad. Contestualmente, per la prima volta nella storia, viene dichiarata unilateralmente la fine degli accordi di Sykes-Picot, vengono cioè “cancellati” quei confini che nel 1916 le potenze occidentali avevano imposto al mondo arabo e che di fatto hanno tenuto separati fino a quel giorno l’Iraq e la Siria. Il 16 Maggio del 1916 furono ratificati dalle diplomazie Inglese e Francese degli accordi con cui vennero realizzate frontiere senza tener conto delle divisioni religiose e delle alleanze tribali: il mondo arabo li ha sempre considerati una ingerenza indebita.


Il passaggio da “Isis” a “stato islamico” non è stato un semplice cambio di nome: se prima Isis aveva dei limiti territoriali espressi anche nella dicitura “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, ora quei confini sono idealmente cancellati nel nome, oltre che sulle mappe. Tutto sembra accadere lontano dall’Italia, ma il 5 giugno del 2016, nel giorno che precede la visita di Papa Francesco a Sarajevo, lo “stato islamico” pubblica un video realizzato dalla propria casa di produzione “Al-Hayat Media Center“, che ricorda a tutti che i confini tra territori, nel bene o nel male, non esistono più.

Il filmato dura 20 minuti e non è mai rivolto al Pontefice, come ci si sarebbe potuto aspettare, ma esprime minacce ai Governi dei popoli balcanici, accusandoli di non aver voluto difendere i diritti dei musulmani di quelle terre. Spesso nel video sono accostate immagini di cadaveri a immagini di mezzi militari, di blindati dell’Onu, proprio per sottolineare che l’Organizzazione delle Nazioni Unite non è stata in grado di garantire aiuto al popolo musulmano.

Il filmato è specificatamente rivolto ai musulmani dei Balcani, dato che i protagonisti si esprimono nella loro lingua madre. Funzionali all’apertura ad un pubblico più vasto risultano, però, i sottotitoli in inglese che, uniti ad una voce epico-narrante in pieno stile “Hollywoodiano”, accompagnano l’osservatore durante tutto il corso della visione.

Protagonisti del film sono otto militanti islamici, di cui cinque di origine balcanica, che incoraggiano gli abitanti delle loro terre natie a compiere l’”Hjirah” (migrazione) verso lo “stato islamico”: “(…) molti di voi là dietro si lamentano sempre di non essere in grado di avere la barba, indossare il niqab, vivere una vita dura. Bene qui è la tua occasionese è così difficile per voi e lo si vuole veramente, potete fare Hijrah (…)”. Gli stessi esortano a colpire i Governi dei miscredenti con ogni mezzo: “(…) Arriveremo con cinture esplosive, vi uccideremo” e ancora “avrete paura a camminare per strada, avrete paura a lavorare in ufficio (…)”.

Il video è un esempio di framing: un messaggio rivolto solo a chi è già predisposto ad accoglierlo; infatti è indirizzato a quei musulmani dei Balcani vittime da anni della crisi socio-politica che affligge quei territori.

Partendo dalla narrazione della prima conquista musulmana, avvenuta da parte dell’Impero Ottomano tra il XIV e il XV Secolo, nel filmato vengono esplicitati gli obiettivi principali del gruppo terroristico (“consolidarsi ed espandersi”): richiamare nelle terre del Califfato il maggior numero di combattenti; estendersi nell’area balcanica per dare allo “stato” una nuova provincia.

L’Europa, così, torna a ricordare che nel proprio petto battono i cuori dei discendenti di quei musulmani di cui il vecchio continente si era dimenticato con facilità e frequenza, mentre il mondo islamico inneggia alla loro lunga memoria.

L’evento più significativo, risale al 1992 e coincide con l’aggressione serba a Sarajevo, cuore della Bosnia Erzegovina, e per secoli luogo di convivenza di più etnie e religioni sotto l’egida dell’impero Ottomano.

La guerra, durata tre anni, ha causato la morte di centocinquantamila persone e due milioni di profughi. Il mondo islamico interpreta l’aggressione serba al nuovo Stato musulmano come l’ennesima Crociata verso i propri correligionari autoctoni di quella terra.

Mentre l’Iraq, responsabile dell’invasione del Kuwait, era stato sottoposto a bombardamenti e a un duro embargo, alla Serbia, che ha compiuto una vera e propria azione di pulizia etnica nei confronti dei musulmani di Bosnia, sono state applicate mere sanzioni diplomatiche.

Entrambi gli eventi esortano i musulmani alla solidarietà verso la Bosnia: i mujaheddin, che avevano partecipato alla presa di Kabul, ormai senza più alcuno scopo e spesso indesiderati nei loro Paesi d’origine, trovano in essa una nuova patria e una nuova ragione per combattere: “(…) Alcuni jihadisti(…) e altre nuove reclute, il cui numero è stimato per eccesso sulle quattromila unità andarono a combattere (…)”.

Nonostante all’epoca i paesi e i movimenti come l’Arabia Saudita e i Fratelli Musulmani avessero stanziato ingenti somme di denaro nella lotta per la supremazia islamica e molti combattenti dall’Afghanistan fossero giunti in Bosnia, dove fu eletto presidente il musulmano Alija Izebegovic, gli USA ricollocarono, con gli accordi di Dayton, la Bosnia nello spazio europeo e delusero le aspettative islamico-balcaniche.

Dopo gli accordi di Dayton, in Bosnia Serbi, Croati e Musulmani continuano a vivere separatamente, frequentano scuole diverse, dove si insegnano concezioni di storia diverse in base all’etnia: questo evidenzia l’incapacità di individuare dei punti comuni con cui avviare un progetto di vera integrazione culturale.

Conseguentemente agli accordi di Dayton, la maggior parte dei combattenti stranieri furono costretti ad abbandonare la Bosnia, poiché non più graditi, e si spostarono sul fronte ceceno, iracheno o afghano; mentre altri, attraverso matrimoni con donne locali e il contributo stesso della Nazione, ottennero la cittadinanza. Con il passare del tempo si integrarono con la popolazione locale formando vere e proprie comunità salafite dal forte carisma e raccogliendo un forte consenso tra i giovani locali.

Il fenomeno si diffuse anche in Kosovo, Macedonia e Sangiaccato di Serbia, territori in cui nell’ultimo decennio è aumentata l’intolleranza non solo verso i fedeli di religioni diverse da quella musulmana, ma anche verso l’Islam tradizionale, concepito come troppo laico e deviato rispetto a quello “dell’epoca d’oro” (compresa tra l’VIII e il XIII secolo), a cui Isis dichiara di ispirarsi.

Parte della popolazione islamica dei Balcani, oppressa dalla disoccupazione, dalla corruzione diffusa ad ogni livello della scala sociale e dalla debolezza politica delle Istituzioni, è ricettiva ai messaggi di predicatori radicali, che hanno saputo orientare questo malcontento in favore del loro progetto globale di terrore.

La Bosnia e tutta l’area balcanica sono quindi diventati un obiettivo dell’espansionismo del sedicente “stato islamico”. Infatti, se 875 sono i foreign fighters provenienti dai Balcani, 4000 sono i bosniaci volontari dello stesso gruppo terroristico che si trovano coinvolti nell’operazione di costituire in Europa “micro-cellule” di supporto ai seguaci di Abu Bakr al Baghdadi.

Secondo l’intelligence croata queste “cellule europee” sono costituite da persone, particolarmente jihadisti di estrazione balcanica e caucasica, che giungono in Europa fingendosi profughi siriani. Da tale analisi è scaturita l’attuale chiusura delle frontiere presenti lungo il tracciato che dalla Turchia porta all’Europa del Nord.

Balkis Press / Sipa USA/AP Photo
Balkis Press / Sipa USA/AP Photo

Il video richiama i musulmani dei Balcani a una sollevazione violenta contro i governi che li hanno traditi. Durante la proiezione viene chiesto non di realizzare singoli attentati, ma di “(…) creare infrastrutture capaci di esprimere, nel medio periodo, una sorta di rivolta popolare.(…)” [Cit. Maurizio Molinari, “Jihad Guerra all’Occidente”, Rizzoli – prima edizione 2015, pagg. 146-147].

Uno degli interlocutori, Abu Muqatil al Kosovi, conclude dicendo: “La nostra forza è di amare la morte più di quanto voi infedeli amate la vita, vi porteremo la morte nelle case, negli uffici, nelle strade e anche dentro i vostri sogni quando dormite”.

Le ultime immagini mostrano un veterano settantenne della guerra di Bosnia pronto a riprende la guerra agli infedeli interrotta nel 1995.

Ora che la città di Mosul sta venendo riconquistata dalla coalizione internazionale, la paura non è più il viaggio dei mujaheddin verso Dabiq ma quello inverso, da ai Balcani, per raggiungere il cuore dell’Europa e conquistare la città eterna.

Di Giulia Cecchinato