Etnia e religione: il mosaico siriano

credits: Epa / Atef Safadi
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
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Identità e appartenenza sono fattori di importanza strategica per le parti in conflitto. Per capire come influiscono sullo stesso, Zeppelin vi propone un quadro, non esaustivo, del mosaico etnico e religioso in Siria.

Prima del conflitto, la Siria contava 22,5 milioni di abitanti e secondo stime del 2012  dal punto di vista etnico il 90% della popolazione è araba, il 9% circa curda, l’1% armena e circa lo 0,2% e 0,1% rispettivamente turcomanna e circassiana.

etnie e religione mosaico siriano
credits: Laura Canali – Limes, 2013

Dal punto di vista religioso circa il 74% è costituito da musulmani Sunniti, l’11% da Cristiani (ortodossi, cattolici, caldei, maroniti, nestoriani etc.), il 10% da Alawiti (etnia di matrice sciita cui appartiene anche la famiglia Assad), il 3% da Druzi, l’1% da Ismailiti e l’1% da Sciiti, cui si aggiungono piccolissime comunità ebraiche (di alcune decine di individui) a Damasco e ad Aleppo. Sebbene la convivenza abbia funzionato per decenni, i vari gruppi etnici hanno una loro precisa geografia sul territorio: gli Alawiti, ad esempio, sono la maggioranza nelle zone costiere di Latakia (città natale di Assad) e Tartus; i Curdi (la più grande comunità minoritaria non araba del Paese) lo è sul confine nord e nordorientale con la Turchia e l’Iraq, in particolare nel governato di Hasaka; i Drusi nella zona meridionale di Suwayda (governatorato di Deraa); gli Armeni (per lo più figli della diaspora seguita alle persecuzioni dell’inizio del XX secolo in Turchia) principalmente ad Aleppo e nella città di Kesab, al confine con la Turchia (governatorato di Latakia); i Turcomanni in alcune specifiche aree limitrofe alla frontiera turca. Non tutti i gruppi però hanno ricevuto lo stesso trattamento da parte del governo siriano: i Drusi, ad esempio, in quanto comunità fortemente minoritaria, sono stati generalmente protetti dal regime che hanno in parte sostenuto (sebbene oggi la comunità drusa appaia divisa sull’appoggio al regime  e recentemente il leader della comunità drusa abbia invitato i giovani drusi a rifiutare la coscrizione obbligatoria imposta dal governo siriano, segnando una opposizione senza precedenti). Allo stesso modo ma su basi religiose, anche le comunità cristiane hanno goduto di ampi privilegi e libertà da parte degli Assad.

Membri della comunità drusa camminano verso il confine tra Siria e Israele nei pressi del villaggio di Majdal Shams (16 Giu 2015) – credits: Reuters/ Baz Ratner

I curdi, al contrario, sono sempre stati guardati con diffidenza in quanto percepiti come minaccia all’unità araba del Paese. Per questo per anni sono stati oggetto di forti repressioni e abusi da parte del governo siriano.

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credits: Afp / Safin Hamed

In questo articolo  avevamo proposto una panoramica sulle fasi del conflitto, tralasciando l’elemento etnico-religioso. Questo perchè il conflitto in Siria non è un conflitto di religione, anche se indubbiamente le divisioni etniche sono state esacerbate e portate sino alle estreme conseguenze. Sebbene la Rivoluzione in Siria sia partita da richieste politiche e civili per tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnico-religiosa, in un Paese in cui il potere è nelle mani del 10% della popolazione (cioè gli Alawiti) e in cui è quel potere ad aver represso nel sangue le richieste della popolazione (numericamente a maggioranza sunnita), era prevedibile che, con l’escalation di violenza, la popolazione tutta si ritirasse nelle proprie identità e antagonismi etnici. La componente etnica, dopo tutto, può avere una sua logica auto-rinforzante: gli Alawiti fanno muro tra loro perché temono, (nel caso in cui Assad dovesse cadere), di diventare oggetto della vendetta dei Sunniti. Questi, dal canto loro, percepiscono gli Alawiti come nemici per il sostegno accordato al governo siriano che li ha repressi, alimentando così un circolo vizioso in cui le minacce alle comunità alawite non fanno altro che renderle più propense a formare milizie in supporto al regime e così via.
Ovviamente, in uno scenario così complesso, semplificazioni di questo genere non sono sufficienti a spiegare le dinamiche in corso, in quanto i parametri etnico-religiosi non sono così netti. Basti pensare che buona parte dell’esercito siriano è comunque sunnita e che la stessa moglie del Presidente Assad, Asma, è sunnita e originaria di Homs, una delle città martiri che ha sofferto oltre 2 anni di assedio da parte delle truppe governative. Così come al contrario tra le fila dell’opposizione e dell’FSA ci sono brigate interamente Alawite  (degna di nota a questo proposito è la defezione del primo generale donna alawita dell’esercito siriano passata all’FSA nel 2012, Zubaida al-Meeki) o interamente cristiane che hanno combattuto contro  l’esercito regolare. Ma perchè?


Perchè la guerra in Siria non è religiosa né etnica. Le divisioni etniche sono il sottoprodotto di un conflitto di natura ben più ampia, non ne sono la causa, ed averle esasperate nel tempo, alimentando anche la annosa questione della divisione tra mondo sunnita e sciita, ha giocato a favore di più d’uno degli attori coinvolti in Siria, a cominciare  dal governo siriano, ma anche da ISIS .
Alla luce del recente accordo sul nucleare  che decreterà di fatto un aumento dell’influenza iraniana  nella regione, le prospettive per il conflitto siriano sono ancora più cupe e forse l’inasprimento dei contrasti di matrice etnico-religiosa aumenteranno.

credits: Vox.com
di Samantha Falciatori