La crisi nordcoreana spiegata da due teorie di politica internazionale

Test di un missile balistico statunitese, Latonja Martin/Missile Defense Agency

La crisi ormai perdurante rappresentata dall’arsenale nucleare di Pyongyang è un esempio paradigmatico della politica interstatale “classica”, e di conseguenza una delle vicende maggiormente analizzabili tramite la teoria internazionalistica del Novecento.


Tra le tante vicende analizzate dagli studiosi di politica internazionale, il riemergere negli ultimi anni della minaccia nucleare che la Corea del Nord attua all’interno del sistema regionale est asiatico desta particolare preoccupazione. Da un lato, la ragione di tale apprensione è ad una prima lettura particolarmente evidente: si tratta infatti di una crisi – la terza dal 1994 – che si pone potenzialmente al massimo livello di gravità possibile, la minaccia cioè del deflagrarsi di una guerra potenzialmente nucleare.

Di più, il numero considerevolmente elevato degli attori coinvolti – sei, Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti, Cina e Russia – unito alla relativa eterogeneità degli interessi, delle posizioni e del sistema di relazioni ed alleanze tese fra loro, rende tale crisi sia di difficile gestione ed ancor di più di difficile soluzione.

Dall’altro lato tuttavia, se letta attraverso una lente analitica più profonda, la crisi che investe ormai periodicamente la penisola coreana è vista con particolare preoccupazione in virtù della percezione che gli analisti di relazioni internazionali hanno del comportamento dell’attore nordcoreano, le cui intenzioni e minacce vengono spesso viste come estremamente spregiudicate e dunque difficilmente trattabili o irrazionali.

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Spesso in tal senso si parla della possibilità di un attacco nucleare nordcoreano, l’obiettivo del quale è peraltro non necessariamente identificato unicamente con la Corea del Sud ma anche, come i recenti test missilistici confermano, il Giappone o addirittura il territorio americano, come dell’equivalente internazionale dell’irrazionalità estrema, che porterebbe al suicidio il regime di Pyongyang.

Cittadini giapponesi apprendono la notizia del lancio di un missile balistico sopra il territorio nipponico Credits to: [ Toshifumi Kitamura/Agence France-Presse — Getty Images]

Difficilmente il pensiero strategico che guida i vertici politici e militari nordcoreani può essere analizzato se ne si assume a priori l’irrazionalità: Considerare slegate dalla razionalità le linee guida strategiche di uno stato che fin dalla fine della guerra fredda è rimasto isolato e privo di alleati nella propria regione, con l’eccezione della Cina, appare avventato.

Il regime nordcoreano è stato comunque in grado non solo di sopravvivere, ma anche di riuscire a guadagnare quote di potere relativo, a livello regionale, proprio grazie alla propria corsa al nucleare. Per spiegare le azioni della Corea del Nord è possibile servirsi di numerosi strumenti forniti dalla teoria delle relazioni internazionali. Due di questi, in particolare appaiono adatti a tale scopo.

In questo articolo ci occuperemo della la corrente interpretativa neorealista. Questa teoria si propone finalità diverse rispetto agli altri filoni della letteratura contemporanea; più di tutte le altre infatti la teoria strutturale, della quale il maggiore esponente rimane Kenneth Waltz, si propone di offrire un impianto teorico in grado, più che descrivere singoli fenomeni all’interno del sistema internazionale, di spiegare le regolarità delle azioni degli attori inseriti nella struttura internazionale, indipendentemente dalle caratteristiche interne degli attori stessi e dalle possibili motivazioni ideologiche che guidano tali azioni. Sono le caratteristiche della struttura internazionale, più che le caratteristiche interne degli stati, a dettare i comportamenti degli attori internazionali.

Nonostante la natura sempre più caotica e complessa del sistema internazionale abbia fornito numerosi motivi di critica all’interno del dibattito scientifico, la teoria strutturale risulta ancora lo strumento più efficace e parsimonioso per lo studio di avvenimenti internazionali di natura per così dire “classica”, ascrivibili quindi al comportamento di singoli stati. Ragionando secondo questa impalcatura teorica, è possibile individuare dei comportamenti costanti a prescindere dal fatto che tali azioni siano compiute da attori diversi tra loro per caratteristiche interne (dittature, democrazie, teocrazie, monarchie, eccetera). Se si segue questa linea interpretativa, le azioni della Corea del Nord devono essere analizzate in considerazione del contesto strutturale in cui essa è inserita, indipendentemente dal fatto che abbia un regime interno diverso da tutti gli stati con cui interagisce.

Bombe lanciate da aerei dell’a US Air Force B-1B, F35 e da F15 di Seul, durante un’esercitazione in territorio Sudcoreano – South Korea Defense Ministry via AP

Dagli assunti teorici di cui la teoria strutturale si serve per spiegare i fenomeni internazionali in funzione delle pressioni che la struttura del sistema intestatale esercita sui comportamenti degli attori – cioè che il principio ordinativo del sistema sia l’anarchia internazionale, che gli attori fondamentali della politica internazionale siano gli stati, che questi si comportino razionalmente, che il loro fine principale sia la ricerca della sopravvivenza – si può cercare di spiegare il comportamento della Corea del Nord in termini, per l’appunto, di tentativo di sopravvivere e conservare la propria posizione di potere all’interno della gerarchia internazionale.

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Due sono, in particolare, gli assunti della teoria sistemica che sembrerebbero confermare questa proposizione. Da un lato il considerare il regime nordcoreano come attore razionale, considerando dunque le minacce nucleari come razionalmente coerenti alla propria autodifesa, e dall’altro lato la volontà nordcoreana di sopravvivere. Vi è, per la verità, una corrente del realismo strutturale, definita realismo offensivo, che devia dalla teoria waltziana assumendo che gli stati non tenderebbero alla conservazione della propria posizione nel sistema internazionale ma a massimizzare il proprio potere relativo per guadagnare posizioni nella gerarchia internazionale.

Ad una prima analisi, si potrebbe interpretare il dotarsi di armi nucleare da parte della Corea del Nord proprio come un tentativo di guadagnare “quote” di potere relativo nei confronti dei propri rivali regionali ma, per le ragioni che si vedranno, tale azione sembra riflettere maggiormente l’assunto waltziano della ricerca della sopravvivenza.

Delle forme ordinative che la struttura del sistema internazionale permette, quella dell’equilibrio di potenza si conforma maggiormente alla situazione politico strategica dell’area peninsulare coreana. In assenza di un principio ordinativo diverso dall’anarchia internazionale, scrive Waltz, gli stati sono costretti a diffidare perennemente delle intenzioni altrui, assicurandosi dunque i mezzi necessari all’autodifesa.

La razionalità degli attori e la ricerca della loro sopravvivenza conduce quindi ad un gioco di allineamento e riallineamento delle quote di potere accumulato per garantire agli attori la propria auto conservazione. In altre parole, la mancanza di un organo regolatore della convivenza internazionale, ad esempio la forma paradigmatica del governo mondiale, obbliga gli stati ad armarsi quel tanto necessario a garantire loro di non essere attaccati da altri stati di cui non conoscono le reali intenzioni.

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Ne deriva, dunque, che l’equilibrio di potenza sia la forma regolativa più prudente attuabile dagli stati in un sistema costitutivamente anarchico. In questo punto risiede il nodo teorico su cui si potrebbe dibattere se la minaccia nucleare nordcoreana debba essere vista in senso di riequilibrio delle forze in campo tra gli attori coinvolti o, nell’ottica del realismo offensivo, tendente alla massimizzazione di quel potere militare relativo che rappresenta, per quanto sempre nell’ottica ultima della ricerca della sopravvivenza, il modo ottimale di uno stato di guadagnare potere nella gerarchia internazionale, ad esempio unificando le due coree sotto il regime di Pyongyang.

[FT Chinese (http://www.ftchinese.com/story/001050265?full=y)]

A una prima analisi, quindi, possedere armi nucleari e la recente minaccia di utilizzarle da parte della Corea del Nord potrebbe spingere gli analisti a seguire il filone teorico del realismo offensivo. Ma non è detto che questa analisi sia la più veritiera. Il punto decisivo è proprio l’introduzione dell’arma nucleare nella regione est asiatica. Per sua stessa natura, l’arma atomica scardina le convenzionali logiche dell’equilibrio di potenza e la propensione degli attori ad attaccare.

Secondo Waltz, in un suo articolo del 1988 riguardo il senso e la natura dell’arma atomica nelle relazioni fra stati, tali armi congelano la propensione alla conquista sia territoriale che di risorse di potenza da parte degli stati, in quanto le ripercussioni di tali azioni di fronte ad una rappresaglia nucleare squilibrano eccessivamente il rapporto costi/benefici di qualsiasi azione militare, scoraggiando dunque ogni azione che possa portare ad un aumento della quota di potere relativo da parte di un attore internazionale.

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Il punto di divergenza tra realismo strutturale e la sua corrente offensiva starebbe proprio in questo passaggio dalla minaccia convenzionale a quella nucleare. Difatti, considerando gli attori presenti nel contesto regionale in cui opera la Corea del Nord, il suo dotarsi di armi nucleari tenderebbe a favorire l’assunto teorico del realismo offensivo di massimizzazione del potere relativo. Ma, come osserva Corrado Stefanachi, Docente di Relazioni Internazionali presso l’Università Statale di Milano ed esperto di deterrenza nucleare, il dotarsi da parte della Corea del Nord di armi atomiche può essere visto anche in funzione della decennale minaccia, percepita a torto o a ragione, statunitense, principale alleato della Corea del Sud e del Giappone.

L’arma atomica, più che massimizzare il potere relativo nordcoreano, pareggerebbe la disposizione di potenza in considerazione dell’equilibrio regionale, ritenendo come attore rilevante anche gli Stati Uniti. Di più, sempre secondo Stefanachi, la bomba atomica nordcoreana nella “stagione unipolare” “può diventare una cruciale risorsa dissuasiva per gli stati interessati a estromettere ed escludere la colossale potenza unipolare (statunitense, NdR) dalle “partite” locali […] in cui si giocano i loro interessi fondamentali”.

In altre parole, la minaccia nucleare nordcoreana assumerebbe i connotati di uno strumento che riequilibra il sistema regionale est asiatico; da un lato, sottrae quote di potere ed influenza al sistema di alleanze formato da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, mentre dall’altro lato trascina la superpotenza americana in una palude diplomatica di lunga durata e di difficile soluzione, una condizione questa che non dispiace ai principali competitor degli Stati Uniti nell’area regionale, Russia e Cina.

Se questa interpretazione ha dunque il merito, da un lato, di mettere in discussione la credenza comune che le azioni della Corea del Nord siano irrazionali, come fin troppo spesso si legge nelle pagine degli esteri dei maggiori quotidiani italiani, dall’altro lato non dice tutto riguardo lo spettro di possibilità che le azioni nordcoreane siano dettate da considerazioni non necessariamente coerenti con la teoria neorealista. Altri approcci teorici offrono difatti interpretazioni differenti del comportamento degli attori del sistema internazionale che possono completare l’analisi delle crisi nucleari in atto nell’area est asiatica. Della analisi di tali approcci si occuperà la seconda parte di questo articolo.

Di Federico Maiocchi