Il nuovo, piccolo, “Grande Gioco” tra Gran Bretagna e Russia

Quasi due secoli dopo l’uso originario che si fece del termine “Grande Gioco”, si potrebbe riproporre tale locuzione per descrivere i rapporti diplomatici conflittuali tra Regno Unito e la Russia; stavolta però la sfida del Grande Gioco si ripropone a minore intensità su scala globale.

Per “grande gioco” si intende il conflitto, caratterizzato da attività diplomatiche e di servizi segreti, che contrappose Regno Unito e Russia sia Medio Oriente che Asia centrale durante il corso di tutto il XIX secolo. L’origine del termine è da attribuire all’ufficiale dell’esercito britannico, Arthur Conolly, che lo utilizzò per primo nel 1829; il suo successo è invece dovuto al libro di Peter Hopkirk, “Il Grande Gioco – i servizi segreti in Asia Centrale”, edito in Italia da Adelphi.

Gli avvenimenti accaduti recentemente nel Mare di Azov – dove la guardia costiera russa ha aperto il fuoco, posto sotto sequestro tre imbarcazioni della marina ucraina e arrestato i marinai a bordo, accusati di esser entrati senza autorizzazione in acque territoriali russe – sono stati gli ultimi in ordine cronologico ad acuire la tensione che intercorre già da tempo tra Russia e Unione Europea.

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Nonostante questa tensione sembra non volersi smorzare ai confini della nuova cortina di ferro, delimitata dalle due “repubbliche” separatiste del Donbass, soprattutto dopo che il Premier ucraino Poroshoenko ha invocato, tramite un’intervista alle colonne della BILD, un intervento della NATO in difesa dell’Ucraina.

Mentre la richiesta è stata prontamente rifiutata dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel (No a soluzione militare) , il Regno Unito, forse per un riflesso nostalgico rispetto al proprio ruolo di grande potenza, anziché accomodare le dichiarazioni di Merkel, ha deciso di alimentare il “fuoco della discordia”.

Proprio nei giorni immediatamente successivi alla vicenda del Mare di Avoz, si è tenuto un incontro tra i ministri della Difesa del Regno Unito e dell’Ucraina, i quali hanno rilasciato una dichiarazione ufficiale congiunta, che nelle sue parti principali dichiara: “si sottolinea che l’aggressione nei confronti dell’Ucraina da parte della Federazione russa costituisce una minaccia diretta alla sicurezza euro-atlantica e una sfida al sistema esistente di relazioni internazionali” inoltre “si sottolinea la continua violazione degli accordi di cessate il fuoco da parte di formazioni sostenute dalla Russia e da altri gruppi ad essa legata” e “si condanna l’accresciuta presenza militare della Federazione Russa intorno alle frontiere dell’Ucraina, nei territori delle regioni di Donetsk e di Luhansk e nella Repubblica autonoma di Crimea sequestrata illegalmente, e le azioni destabilizzanti della Federazione Russa nell’area del Mar Nero e del Mar d’Azov” e in conclusione “si accetta di approfondire la cooperazione nel contrastare l’aggressione della Russia”.

Ma la cooperazione tra il Regno Unito e l’Ucraina in funzione di contenimento russo, non è certo un fatto strategicamente recente. Pochi mesi dopo gli avvenimenti di Euromaidan e la conseguente annessione della Crimea alla Russia, il Regno Unito si è posto a difesa dell’Ucraina, tanto che nel 2015 inaugura l’Operazione Orbital, iniziativa che ha fornito addestramento a circa 9.500 militari ucraini per mano di istruttori britannici.

Va detto che le ostilità reciproche tra Mosca e Londra, così come accadde nel XIX per il Grande Gioco, non si limitano solo ad azioni strategico-contenitive ma si avvalgono anche azioni di soft-power.

Ad esempio nel marzo 2018, il caso dell’avvelenamento in Gran Bretagna dell’ex agente russo Sergei Skripal e di sua figlia da parte dei servizi russi, e le conseguenti implicazioni politiche, rischiarono di far saltare la partecipazione della nazionale inglese al mondiale di calcio in Russia;  anche se le dichiarazioni dell’allora ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, sembravano essere più a caccia di un clamore mediatico che una reale minaccia, e posero la politica estera Britannica come valida antagonista di Mosca in Europa.

Ma quali sono i motivi di queste tensioni storiche tra i due paesi? La risposta è semplice, così come accadde nel XIX sec., quando dal punto di vista britannico l’espansione dell’Impero russo in Afghanistan, fu vista come una mossa in attesa di programmare l’invasione dell’India (il “gioiello dell’Impero della corona”), anche oggi la politica estera russa, specialmente in Africa, rischia di minacciare molti interessi della Corona Britannica sul continente Africano.

Non a caso, proprio a marzo, all’indomani della vicenda Skripal, quando i rapporti diplomatici Regno Unito-Russia si sono definitivamente deteriorati, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, si recava in visita in cinque Paesi dell’Africa sub-sahariana.

La missione diplomatica iniziata in Angola, dove Lavrov insieme al suo omologo Manuel Augusto, riaffermò l’intenzione di rafforzare le relazioni bilaterali e la cooperazione economica, con particolare attenzione al settore diamantifero e a quello energetico, per il quale ha auspicato che l’Angola si associ al più presto al Gefc (Gas Exporting Countries Forum), il cartello che riunisce i principali produttori di gas.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, secondo da sinistra, incontra il presidente angolano Joao Lourenco – credits: Alexander Shcherbak / Tass / Getty Image

Successivamente Lavrov si è recato in Namibia, dove ricevuto dal presidente Hage Geingob e dal vicepremier e ministro degli Esteri, Netumbo Nandi-Ndaitwah, ha discusso un’ampia gamma di questioni relative alle relazioni bilaterali e della necessità di rafforzare la cooperazione commerciale, in particolare nella produzione di minerali e nell’agricoltura.

In Mozambico il capo della diplomazia del Cremlino incontrò il presidente Filipe Nyusi e il ministro degli Esteri José Pacheco con i quali ha avuto modo di discutere dell’avvio dei lavori della Commissione intergovernativa per la cooperazione economica, scientifica e tecnologica.

Nello Zimbabwe Lavrov incontrò il presidente Emmerson Mnangagwa e il ministro degli Esteri Sibusiso Moyo; in quell’occasione si rafforzarono le già strette relazioni economiche tra Russia e Zimbabwe, che nel 2014 portarono alla firma di diversi accordi, fra cui quello relativo al progetto della miniera di platino di Darwendale, realizzato grazie alla joint venture Great Dyke Investment.

Il viaggio si è concluso in Etiopia, dove il ministro degli Esteri russoha incontrato il premier dimissionario Hailemariam Desalegn e il presidente Mulatu Teshome Wirtu.

Ritornando ad oggi, l’incidente nel Mare di Azov e le relative conseguenze non sembrano aver mutato il clima di nervosismo che preme sulla frontiera russo-ucraina; ad animare questo clima di incertezza sono state le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Lavrov, che ha paventato per la fine del 2018 “una provocazione ucraina armata al confine con la Federazione Russa e la Crimea” – provocazione che all’oggi, 30 dicembre, non sembra essersi, in maniera non sorprendente, concretizzata.

di Filippo Sardella