Riflessione post – Trumpatica

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Riuscire a convincere il prossimo ad abbandonare la superficialità con cui si occupa della cosa pubblica sarà la vera battaglia di noi millennials. Good luck folks.

Hillary Clinton nel voto popolare (aggiornato al 23 Novembre) ha preso 64,4 milioni di voti mentre Donald Trump 62,3 milioni. Questo è il dato da analizzare. Questi i numeri che contano. Anche qualora venissero ricontate le schede in Michigan, Pennsylvania, e  Wisconsin è inutile girarci intorno, l’8 Novembre 2016 l’Occidente si è definitivamente spaccato a metà. Un trancio netto, come un colpo di machete che apre in due una noce di cocco. La spaccatura non riguarda solo Trump e gli Stati Uniti, perché in Europa esiste la stessa identica divisione e gli appuntamenti elettorali passati (vedi Spagna e referendum inglese su Brexit) e quelli prossimi venturi (Italia, Austria, Olanda, Francia) potrebbero confermare questo trend.

Reuters/Mike Segar
Reuters/Mike Segar

Da un lato si schiera il malcontento verso le istituzioni, verso il potere, verso la globalizzazione e la finanza mondiale, verso tutto ciò che al popolo non piace del cosiddetto “establishment”. Per semplicità chiamiamo questi elettori gli “anti-sistema”. Innegabile che tale rancore sia anche frutto di una demagogia perpetrata da una parte della classe politica (movimenti / partiti anti-sistema). Parimenti è vero che all’interno della stessa non mancano atteggiamenti e fattori che dimostrano la presenza di sostanziali limiti e difetti del sistema, della politica, delle istituzioni.

Tuttavia, al contrario di ciò che alcuni possano pensare, tra le fila degli anti-sistema non si annoverano esclusivamente persone poco istruite o dal basso reddito. Si tratta di una tipologia trasversale di persone non inquadrabile a livello di età che non ha né il tempo, né forse la capacità o addirittura la voglia di approfondire la complessità della gestione della cosa pubblica. Si informano in maniera sommaria e esercitano (o in taluni casi non esercitano – e anche questi non sono pochi) il proprio diritto di voto, volto a scardinare l’establishment. La pars destruens è più che chiara. La pars construens un po’ meno. È debole o inesistente. Il motto è: “intanto tiriamo giù gli altri. Poi vediamo, qualcosa ci inventeremo”. Questo a metà del pianeta sembra bastare, è attraente.

 Charlie Neibergall / AP
Charlie Neibergall / AP

C’è poi un’altra metà del mondo che è fatta invece di persone che davano per scontati concetti e valori che oggi sono fortemente messi in discussione ovunque. Nota bene: non solo nel confronto politico, ma anche nella vita di tutti i giorni. Solo per citarne alcuni pensiamo a onestà, credibilità, rispetto della legge, rispetto del prossimo, amore per il pianeta e l’ambiente. Quest’altra metà – che chiamerei progressista – affacciandosi forse con troppa fretta al futuro, non ha notato che davanti a tutti i valori sopracitati, gli anti-sistema hanno anteposto concetti diversi, quasi primordiali. Paura, Interesse, Onore. Guarda caso quei concetti riconosciuti dallo storiografo greco Tucidide come i tre maggiori “moventi” dell’agire umano.

Metà del mondo sta ragionando “di pancia” e ha in primo luogo paura di fenomeni come la guerra, l’immigrazione/emigrazione di massa, la fame o la sicurezza. In secondo luogo insegue l’interesse particolaristico, ovvero quello principalmente economico che condurrebbe alla stabilità e alla sicurezza individuale di avere quel tenore di vita che si ritiene di meritare – a prescindere dagli sforzi intrapresi – o la possibilità di poterlo addirittura superare. L’interesse che sia lo Stato a mettere il cittadino e le aziende in condizione di “arricchirsi” diminuendo in maniera drastica le tasse. Come se fosse una cosa banale e soprattutto, come se questo bastasse da sé. Il risultato è che questa cultura interventista dello Stato ha trasformato una classe di imprenditori in veri e propri “prenditori”. Infine l’onore, la salvaguardia di alcune certezze e valori che si ritengono imprescindibili come ad esempio l’identità nazionale o la libertà, che sembrano essere “minacciati” da alleanze regionali o globali. Il raggiungimento di questi obiettivi sembra prescindere da tutto. Da qualsiasi umana cosa, inclusa la legalità. A certe persone ad esempio la xenofobia e il razzismo – reati perseguibili nel maggior parte dei paesi occidentali – non sembrano rappresentare un limite. C’è talmente tanto malcontento che costruire muri e divisioni non fa paura, anzi, genera tranquillità. E siamo a soli 27 anni dalla caduta del muro di Berlino.

Aaron P. Bernstein/Getty Images
Aaron P. Bernstein/Getty Images

Questi sono fatti. I tradizionalisti erano rinchiusi in una bolla di certezze che con la vittoria di Trump è scoppiata, saltata, esplosa. Non ci sono più sondaggi attendibili, giornali, media e TV tardano ad andare dietro all’istantaneità della diffusione delle notizie e al confronto su internet e sui social network perdendo il contatto diretto con le masse che vivono un appiattimento intellettuale e culturale devastante. Perché l’approfondimento, lo studio e l’analisi di temi complessi come la politica internazionale – senza valutare il fatto di possedere o meno prestigiosi titoli di studio – richiedono una risorsa fondamentale della vita di tutti che oggi vale 100 volte più del denaro: il tempo.

Le persone non hanno tempo (in realtà ne hanno, ma non lo vogliono investire così). Quindi leggere un articolo di giornale, o leggere più di un giornale magari di schieramento diverso per farsi un’idea imparziale è meno preferibile di una veloce ricerca su internet o una sporadica “scrollata” della nostra Facebook newsfeed, dove si può leggere cosa commentano i nostri “amici”. Questo si ritiene sufficiente per prendere una posizione. A volte la propria posizione si difende in un dibattito intellettualmente elevato, rispettoso e il risultato è sicuramente produttivo e spinge a riflettere entrambe le parti. Purtroppo altre volte – e indubbiamente più spesso del caso precedente – il confronto si trasforma in scontro mosso da posizioni prevenute, argomentazioni scarne, fonti poco attendibili e non verificate, che generano un vero e proprio odio nei confronti della parte che la pensa nell’altro modo. I fatti sembrano non contare più, tanto che questo mese, l’Oxford Dictionary ha dichiarato come “parola dell’anno” post-truth – post verità.

Basti pensare alla famosa frase di Trump attribuitagli da non si sa chi in un’ipotetica intervista rilasciata al magazine People nel 1998: “If I were to run, I’d run as a Republican. They’re the dumbest group of voters in the country. They believe anything on Fox News. I could lie and they’d still eat it up. I bet my numbers would be terrific”. Lungi da me difendere il magnate, ma la verità è che questa frase Trump non l’ha mai detta e quell’intervista nemmeno esiste (ne ha detta un’altra, più recentemente, non molto diversa: “I could shoot somebody and I wouldn’t lose any voters”, e questa l’ha detta sul serio).

Ad ogni modo, tale superficialità alimenta una gravissima semplificazione dei temi di attualità, nazionali e internazionali. Il risultato è che le orecchie sembrano più predisposte ad ascoltare le promesse sviluppate sulla base di un drastico appianamento di questioni enormemente complesse generate da cause ancora in divenire. Anzi, la forza dei movimenti populisti e anti-sistema risiede proprio nel fatto che il populista spiega al proprio elettore come il suo movimento abbia la bacchetta magica per risolvere le difficili vicende nazionali ed internazionali. Un esempio palese è l’approccio verso l’immigrazione. “Li rimanderemo a casa loro” è 1000 volte più sexy di “ho quasi convinto l’Unione Europea ad occuparsi del problema a livello regionale”. La partita si gioca qui. Se vogliamo davvero lasciare questo pianeta un briciolo migliore di come lo abbiamo trovato, dobbiamo scordarci la destra e la sinistra. Riuscire a convincere il prossimo ad abbandonare la superficialità sarà la vera battaglia di noi millennials. Good luck folks.

di Fabrizio Gualdesi