Accordo sul Recovery Fund, l’Europa (per ora) è salva

Accordo recovery fund Consiglio europeo / Copyright: European Union
Accordo recovery fund Consiglio europeo / Copyright: European Union
Dopo quattro giorni di negoziati, i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi dell’Unione hanno trovato un accordo (che comunque non ha precedenti nella storia) sulle risorse da stanziare nel post-emergenza Covid. Un Recovery fund da 750 miliardi di euro da destinare soprattutto alle economie che più hanno risentito degli effetti della pandemia.

Alla fine l’accordo è arrivato all’alba di ieri, martedì. Il Consiglio europeo, che riunisce i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi Ue, ha trovato l’accordo su una bozza di intesa sul Recovery fund. Gli ultimi giorni sono stati una vera e propria “battaglia diplomatica” che ha visto da un lato schierarsi gli Stati “frugali”, spinti in primis dall’Olanda, e dall’altro gli Stati membri dell’area mediterranea.

I primi che chiedevano al Consiglio maggiore rigore, soprattutto nell’assegnazione della parte di contributi a fondo perduto, mentre i secondi (capitanati dall’Italia, seguita da Spagna, Francia, Portogallo e Grecia) che reclamavano maggiore discrezionalità nell’utilizzo delle quote.

Cosa contiene l’accordo?

Il pacchetto prevede una consistente iniezione di liquidità (diretta e indiretta) da ben 750 miliardi di euro. Di questi 360 miliardi saranno prestiti ai singoli Paesi, mentre la fetta più consistente (ben 390 miliardi) saranno contributi a fondo perduto per agevolare la ripresa delle economie nazionali.

Nella sostanza la somma totale, che sarà garantita dal bilancio pluriennale europeo del 2021-2027, non è stata variata. Ad essere variata, dopo una lunga mediazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e del cancelliere tedesco Angela Merkel (che dal primo luglio è presidente di turno del Consiglio Ue), è stata la suddivisione delle quote. Inizialmente, infatti, erano previsti sussidi a fondo perduto per 500 miliardi (ora ridotti a 390) mentre sono cresciute le quote dei prestiti passati a 360 miliardi (erano 250 nella bozza iniziale).

Il cancelliere tedesco Angela Merkel / Copyright: European Union
Il cancelliere tedesco Angela Merkel / Copyright: European Union

All’interno della bozza siglata dai 27 sono previsti anche una serie di “rebates”, di sconti, sui versamenti futuri al bilancio europeo da parte dei Paesi frugali. L’intera somma prevista potrà essere disponibile non prima della prima metà del 2021, ma i fondi potranno anche essere utilizzati per spese e coprire investimenti già sostenuti a partire dall’inizio della pandemia.

Il nodo del controllo e della governance

E proprio sul nodo dei controlli e di monitoraggio dell’utilizzo dei fondi che in questi giorni si è giocata la battaglia principale. L’Olanda del premier Mark Rutte, infatti, aveva proposto l’istituzione del cosiddetto “freno di emergenza”, ovvero la possibilità di bloccare i singoli piani nazionali (necessari per l’erogazione dei fondi). Questo procedimento al termine delle trattative è stato sostanzialmente alleggerito. Non saranno più i singoli Stati in seno al Consiglio europeo a valutare i piani nazionali, ma bensì la Commissione europea e solo dopo una valutazione dell’Esecutivo il Consiglio potrà esprimersi a maggioranza qualificata.

In casi eccezionali, però, uno o più Paesi potranno comunque sollevare dubbi e chiedere al Consiglio europeo di ridiscutere i piani nazionali che non saranno considerati “in linea” con la programmazione comunitaria.

I commenti

Ovviamente soddisfatto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel che per tutta la durata della negoziazione ha lavorato per garantire un piano che tenesse conto delle esigenze di tutti e 27 gli Stati membri, a partire da quelli che più hanno risentito della crisi economica e sanitaria.

Abbiamo raggiunto un accordo sul pacchetto di risanamento e sul bilancio europeo. Questi erano, naturalmente, negoziati difficili in tempi molto difficili per tutti gli europei. Una maratona che si è conclusa con successo per tutti e 27 gli Stati membri, ma soprattutto per il popolo europeo. Abbiamo mostrato responsabilità collettiva e solidarietà e abbiamo anche dimostrato la nostra fiducia nel nostro futuro comune. E questo accordo invia un segnale concreto che l’Europa è una forza d’azione.

Un buon risultato anche per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen che negli ultimi giorni del negoziato non ha nascosto le perplessità sull’effettivo raggiungimento di un accordo comune e capace di soddisfare le richieste di tutti i Governi nazionali.

Che dal Consiglio europeo sia uscito un buon compromesso, che ha messo i Paesi del vecchio continente di fronte alle urgenze di questo periodo di difficoltà, lo ha confermato anche il presidente del Parlamento europeo, l’italiano David Sassoli.

Il Consiglio europeo ha confermato la nostra visione di una risposta europea comune. Per il Parlamento europeo ora ci sono tre questioni principali da migliorare: la governance del fondo di risanamento, le risorse proprie e il Quadro Finanziario pluriennale. Non possiamo tagliare in settori come la ricerca o Erasmus che sono fondamentali per le giovani generazioni.

Insomma, la partita si è chiusa a livello di “dibattito” tra Stati, ma ora procederà nell’iter di discussione da parte del Parlamento che proprio domani – giovedì – si riunirà in Plenaria per valutare con i presidenti di Commissione e Consiglio di quanto approvato lo scorso lunedì notte.

E adesso? Più competenze all’Europa

Ora l’Unione europea, non senza difficoltà, si è trovata a dover far fronte a un problema reale: quello legato a un’emergenza sanitaria.

I continui distinguo degli Stati membri hanno dimostrato tutti i limiti che l’Unione ha, primo fra tutti lo stesso ruolo del Consiglio europeo. Un organo che riunisce tutti i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi i quali – e sarebbe strano il contrario – devono rispondere ai propri singoli elettori.

Non possiamo che chiederci, a questo punto, a cosa serva avere un organo (il Consiglio europeo per l’appunto) che “blocca” ripetutamente ogni passo avanti verso una maggiore integrazione europea.

Il premier olandese Mark Rutte, in piena campagna elettorale per le elezioni legislative del prossimo 2021, ha puntato i piedi più volte (trascinando dietro a sé anche Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia) proprio per “rosicchiare” voti e consenso al nazional-sovranista Geert Wilders. E lo ha fatto cercando di mettere in difficoltà le economie più deboli dell’Europa, tra cui proprio l’Italia.

E’ stata una battaglia senza esclusione di colpi. Da un lato appunto i “frugali” al seguito dei Paesi Bassi, dall’altro i “mediterranei” che hanno appoggiato la linea italo-francese di una maggiore flessibilità.

La vecchia Europa ha dovuto quindi fare i conti con un problema “nuovo” (il coronavirus) ma utilizzando sistemi e modalità “obsolete” (l’eccessiva lungaggine dell’apparato istituzionale).

Questo ha messo i 27 Paesi di fronte a un rischio serio: se alcuni grandi Paesi non fossero stati supportati nella ripresa, a rischio ci sarebbe stata l’intera economia europea e di tutta l’area Euro.

E’ proprio in questa linea che la stessa cancelliera Merkel (presidente di turno del Consiglio dell’Ue) ha messo da parte – per una volta – il rigido rigorismo teutonico a fronte di una soluzione più malleabile per limitare le ripercussioni che l’emergenza sanitaria avrebbe potuto avere su tutto il vecchio continente.

Ma da questi lunghissimi e interminabili giorni di trattativa è uscita un’esigenza molto più forte: quella di una maggiore integrazione europea. Un’integrazione che metta da parte le (seppur legittime) rivendicazioni nazionali per puntare a una gestione ottimale, come in questo caso, delle risorse economiche per far fronte a un’emergenza.

Oggi il problema si chiama Covid-19, domani il problema potrebbe essere una guerra o un conflitto bellico con qualche altra potenza mondiale. In questa sciagurata ipotesi, l’Europa pensa di “giocare” con 27 piccole pedine diverse (e che difficilmente dialogano tra di loro), o con una sola grande (e potente) pedina? Staremo a vedere.

(in copertina il Consiglio europeo / © European council-Eu)

di Omar Porro