Come vanno le cose tra Cina e Taiwan

Chinese President Xi Jinping, right, and Taiwanese President Ma Ying-jeou, left, shake hands at the Shangri-la Hotel on Saturday, Nov. 7, 2015, in Singapore. The two leaders shook hands at the start of a historic meeting marking the first top level contact between the formerly bitter Cold War goes since they split amid civil war 66 years ago. (AP Photo/Wong Maye-E)
“Nessuna forza ci può separare, siamo una sola famiglia”, queste sono le parole pronunciate dal presidente cinese, Xi Jinping all’incontro nella neutrale Singapore del 7 novembre con Ma Ying-jeou leader di Taiwan, frase che ufficializza il riavvicinamento tra le due parti. Nel corso degli ultimi anni le due fazioni hanno rinforzato i loro legami economici portando all’aumento dell’influenza cinese su Taipei. La strategia della Cina è quella di rendere dipendente Taiwan in modo da facilitare la riunificazione politica.

l rapporto tra Cina e Taiwan

L’incontro di novembre è stato un riavvicinamento storico per le “due Cine”. Fin dal 1949 – anno in cui il Partito Nazionalista cinese guidato da Chiang Kai-shek uscì sconfitto dalla guerra civile combattuta contro il Partito comunista cinese di Mao Tse – tung il governo non comunista si ritirò sull’isola di Taiwan, a circa 150 chilometri dal continente. Si possono identificare due schieramenti nella politica interna di Taiwan: da una parte il gruppo pan-azzurro, guidato dal Partito Nazionalista cinese – Kuomintang (KMT) – che sostiene il dialogo e la collaborazione, prospettando una riunificazione con la Cina. Dall’altra parte, i pan-verdi, al cui vertice c’è il Partito progressista democratico (DPP), promotore della politica indipendentista. La relazione tra Repubblica Popolare Cinese (RPC) e la Repubblica Democratica Cinese (RDP), è visibile sia sul fronte culturale, sia su quello politico che soprattutto economico. Nel 2013 il volume di scambi tra i due paesi è stato di 197,28 miliardi di dollari, che equivale al 4,7% del volume degli scambi della Cina con i paesi esteri. Le esportazioni dal continente verso Taiwan sono costate solo 40 miliardi contro i 150 spesi da Taipei per importare le merci dalla Cina.

Le tappe del riavvicinamento

Negli ultimi anni le “due Cine” hanno avuto modo di riconsiderare i propri rapporti, storicamente tesi. Una tappa importante nel processo di riconciliazione è stato il “1992 Consensus”, una serie di incontri tra i leader dei due paesi che ha portato alla definizione del concetto di One China principle, secondo cui esiste una sola Cina in termini culturali e storici. L’occasione ha innescato una serie di contatti tra le due parti culminati negli ultimi anni con la firma di alcuni importanti accordi economici. Il riavvicinamento tra Pechino e Taipei ha subito un’accelerazione dopo il 2008, con l’elezione del presidente taiwanese Ma Ying-jeou, propenso a un’ulteriore apertura nel dialogo con la Cina. Nel 2013 è stato firmato un accordo sulla cooperazione economica, con cui le due parti si impegnavano ad abbassare o eliminare del tutto i dazi doganali su centinaia di prodotti e liberalizzare alcuni settori delle rispettive economie. Inoltre, nel 2014 è stato istituito un canale di comunicazione stabile al fine di rafforzare il dialogo tra il continente e Taipei. La strategia della Cina, quindi, è rivolta a rendere Taiwan dipendente a livello economico in modo da rinforzare il legame politico tra le due parti finché non si arriverà all’unificazione.

Crescite economiche a confronto / credits: east-west center
Crescite economiche a confronto / credits: east-west center

Le due ragioni della Cina

Le ragioni del riavvicinamento, dal punto di vista cinese, sembrano essere politiche più che economiche:

  • La RPC vuole porre fine ai contatti tra gli Stati Uniti e Taiwan togliendo ai primi un appoggio importante nell’area asiatica, specialmente per il monitoraggio delle attività cinesi. Nel 1979, gli Stati Uniti approvarono una legge che stabiliva le relazioni con la RDC (Taiwan Relations Act) pur non riconoscendo questa come uno Stato sovrano. Il provvedimento impegna gli Usa a difendere l’alleato Taiwan in caso di attacco della Cina.
  • La Cina non intende provocare tensioni negli altri paesi dell’Estremo Oriente. Il dialogo con Taiwan potrebbe mitigare le preoccupazioni per la crescente aggressività di Pechino nel Mar Cinese Orientale e Meridionale.

Le due ragioni di Taiwan

Per quello che riguarda Taipei le preoccupazioni sembrano essere di tipo economico e sociale:

  • Gli ultimi accordi commerciali hanno rafforzato il legame tra il continente e Taiwan, rendendo quest’ultimo sempre più dipendente dal primo, ma anche più attratto dalle opportunità di crescita. Dal 2009, ossia da quando è iniziata la politica di dialogo con il continente, il PIL di Taiwan è aumentato vertiginosamente come mostra il grafico.
  • Il paese sta attraversando una forte crisi demografica: da 5 anni il tasso di crescita della popolazione è inferiore all’1%. Questo ha portato il governo a valutare una riduzione delle forze armate e  l’eliminazione del servizio militare. L’abbandono di una politica militare forte da parte di Taiwan potrebbe essere il segno di resa, forse per il timore (fondato) di Taipei di non essere in grado di sostenere un possibile attacco cinese, e dalla certezza (meno fondata) che ad ogni modo l’alleato americano correrà in suo aiuto in caso di bisogno.
Spese militari di Cina e Taiwan a confronto / credits: Forbes.com
Spese militari di Cina e Taiwan a confronto / credits: Forbes.com

Il momento

Non è un caso che Pechino abbia scelto questo momento per riavvicinarsi a Taipei. Fra meno di un anno terminerà il secondo mandato del presidente taiwanese e il suo successore potrebbe non avere la medesima simpatia verso la grande sorella cinese. Ying-jeou all’incontro di Singapore, stringendo la mano al leader cinese, ha affermato che “entrambe le parti devono rispettare i valori e il modo di vivere dell’altro”. Per capire come le parti siano impegnate nell’affrontare la situazione basta dire che le delegazioni hanno impiegato alcune settimane solo per decidere come i due leader avrebbero dovuto chiamarsi a vicenda, visto che “mr. President” era escluso. Chissà se anche questa volta le ragioni economiche prevarranno sui principi.

Intanto – nota curiosa – anche il Daesh ha incluso l’isola nella “Coalizione mondiale contro lo Stato Islamico”, riconoscendo di fatto Taiwan come Stato sovrano indipendente.

di Giovanni De Gregorio