Da Dayton a Neum: il futuro incerto della Bosnia – Erzegovina

8 Novembre 2021. Milorad Dodik in conferenza stampa dopo aver incontrato l'Assistente del Segretario di Stato Americano, Gabriel Escobar. Credit to: AP/2021 The Associated Press. All rights reserved.

La Bosnia-Erzegovina sta attraversando la crisi politica più profonda dal 1995 ad oggi. Ormai è innegabile. Allo stesso modo, appare evidente, il disinteresse internazionale per il futuro dello Stato balcanico.


I colloqui di Neum

Negli ultimi giorni di gennaio si sono aperti i colloqui nella città costiera di Neum ai quali hanno preso parte le forze politiche governative nazionali e locali (la Repubblica di Bosnia-Erzegovina si compone di due Entità nazionali: la Federazione di Bosnia-Erzegovina e la Republika Srpska).

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Scopo dei negoziati è stato quello di discutere le modifiche alla legge elettorale in vista delle prossime elezioni dell’autunno 2022. In questi primi confronti, però, le parti sono sembrate ancora molto distanti, arroccate sulle proprie posizioni e prive di un reale sentimento riconciliatorio. In tali termini, le diverse prospettive in merito alla nuova legge elettorale sembrano giovare alla propaganda scissionista dei partiti nazionalisti. In particolar modo il leader dell’SNDS (Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti), Milorad Dodik, è apparso soddisfatto dell’inefficacia dell’incontro, trovando nuova linfa per rinforzare la retorica sull’impossibile convivenza inter-etnica di bosgnacchi, serbi-bosniaci e croati-bosniaci nella stessa nazione.

In un recente intervento, il professore universitario e membro del Consiglio nazionale croato di Bosnia, Ivo Komsic ha lucidamente osservato che “fulcro di tutti i nostri problemi politici emersi” sono “i negoziati sulla legge elettorale, che sono del tutto incerti perché non c’è un accordo preventivo sui principi secondo cui questi colloqui debbano essere condotti”. “La Legge elettorale”, ha aggiunto Komsic non può “essere cambiata sovvertendo i principi per cui è stata creata. Le istituzioni giuridiche europee ci suggerisco da tempo questi principi. Le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno stabilito che la Costituzione non è democratica, che la nostra Costituzione contiene alcune disposizioni che discriminano i cittadini”.

Altrettanto preoccupata è sembrata la direttrice della celebre testata sarajevese Oslobođenje Vildana Selimbegovic, che nel suo editoriale ha evidenziato come la Bosnia si trovi davanti a “un bivio pericoloso”. La sensazione, infatti, è che dietro la discussione sulla legge elettorale si celino altre dinamiche: forse meno lampanti, ma abbastanza intellegibili. La discussione reale, ancora una volta, più che sulla legge elettorale sembra investire il futuro stesso della nazione.

I preludi: il giorno della RS

Proprio Dodik, in occasione delle celebrazioni del 9 gennaio per la commemorazione della nascita politica della Republika Srpska, ha tuonato asserendo che “la storia della Bosnia-Erzegovina civile è un’illusione che (i bosgnacchi ndr) vogliono imporci per spingere il popolo serbo nelle minoranze civiche”.

In ordine di tempo, questa è solo l’ultima di una lunga serie di minacce che ormai da vari mesi i membri della SNSD rivolgono alle strutture centrali di Sarajevo. In questo caso, a rendere ancor più grottesca la situazione è proprio il contesto in cui si sono state formulate tali asserzioni. Lo scorso 9 gennaio, infatti, i rappresentanti di Banja Luka si sono riuniti per ricordare il trentesimo anniversario del “Giorno della RS”, ovvero, quella che potrebbe essere definita l’apologia di un paradosso internazionale: la creazione di una realtà disgregativa che ledeva l’ecosistema della stessa struttura nazionale.  Ma non solo, questo appuntamento per molti evoca anche i fantasmi della pulizia etnica, del trasferimento forzato di popolazioni e della distruzione del tessuto socioculturale della Bosnia socialista.

La genealogia della ricorrenza va intercettata nel 1992 quanto, a seguito del referendum di dubbia validità giuridica del novembre del 1991 convocato dai nazionalisti serbi, l’assemblea del popolo serbo approvò la Dichiarazione sulla proclamazione della Repubblica del popolo serbo della Bosnia-Erzegovina come Entità indipendente all’interno della Bosnia-Erzegovina, creando la prima sostanziale frattura che avrebbe condotto alla guerra. A governare gli insorti di Pale c’era un manipolo di politici del Partito Democratico Serbo (SDS), tra cui i più celebri Karadžić e Momčilo Krajišnik, Presidente del consiglio del governo bosniaco eletto nel 1990. Sia Karadžić che Krajišnik saranno successivamente condannati dal TPI dell’Aia per crimini di guerra.

Le celebrazioni per la nascita della Republika Srpska, mai riconosciuta a livello internazionale durante l’arco del conflitto come, d’altronde, anche la Repubblica Serba di Krajina, hanno continuato a suscitare un diffuso malessere tra i politici della Federazione e tra i civili desiderosi di vivere in una Bosnia pacificata.

La crisi istituzionale

La giornata del 9 gennaio 2022 è stata soltanto un nuovo elemento che si anella una crisi che ormai perdura da diversi mesi e che proprio nell’ultimo mese del 2021 ha raggiunto il suo acme. Al centro del dibattito, ancora una volta, i trattati di Dayton del 1995 e la Costituzione loro annessa che, utile sottolinearlo, ancora oggi manca di una traduzione ufficiale e univoca lasciando così adito ad alcune interpretazioni giuridiche nel processo di trasposizione dall’inglese.

Da sinistra a destra. Il Presidente della Serbia Milosevic, il Presidente della Bosnia – Erzegovina Izetbegovic e il Presidente della Croazia Tudjman siglano gli accordi di Dayton il 21 Novembre 1995. Credit to: Eric Miller /Reuters

Se si volesse individuare il momento d’origine di questa crisi bisognerebbe allocarlo nel luglio del 2021, quando l’ex Alto rappresentante internazionale, Valentin Inzko, ha deciso di implementare l’azione legislativa al fine di rendere penalmente perseguibili i negazionisti del genocidio. La disposizione, ottima per fotografare nuovamente la fragilità del processo rigenerativo sociale, è stata valutata da parte dei rappresentanti di Pale come l’ennesima ingerenza internazionale negli affari interni delle Entità, innescando così il boicottaggio da parte dei membri della SDSN di alcuni lavori comuni.

Un nuovo peggioramento dei rapporti istituzionali è avvenuto nell’ottobre successivo, quando la presidentessa della RS Željka Cvijanović ha approvato un decreto secondo il quale le modifiche al Codice penale della Bosnia-Erzegovina, che puniscono la negazione del genocidio e altri reati, non risultano valide nella zona serba.

Ad acutizzare i dissapori interni sono sopraggiunti anche alcuni scandali amministrativi e finanziari come, ad esempio, quello rispetto alla presunta somministrazione dell’ossigeno industriale al posto di quello medicale destinato ai pazienti degli ospedali della Republika Srpska. Le recriminazioni reciproche tra le due Entità sulla responsabilità dell’atto sono state capitalizzate dai rappresentanti dell’SNSD che hanno strumentalizzato l’evento per disarticolare maggiormente le funzioni comuni nazionali.

In occasione del trentesimo anniversario dell’Assemblea del popolo serbo di Bosnia Erzegovina, i membri del partito di Dodik hanno annunciato l’inizio di una politica volta a ripristinare, nel quadro dei principi costituzionali e di Dayton, le competenze trasferite dalla Republika Srpska alle istituzioni centrali della Bosnia. La battaglia ingaggiata dall’SNSD ha occupato in primo luogo lo spazio pubblico, adoperando la propaganda filo partitica per evocare una campagna volta alla “difesa della RS”. Successivamente, si è poi rivolta alla funzione dell’Alto rappresentante, nel tentativo di decostruirne la funzione della stessa mansione.

Oltre alla minaccia di voler sospendere l’efficacia delle leggi emanate negli ultimi anni dall’Alto rappresentante (circa 140), l’SNSD ha più volte messo in discussione anche le prossime elezioni dell’autunno 2022, sostenendo una lettura che vedrebbe la Republika Srpska ostaggio politico della Repubblica di Bosnia-Erzegovina.

Un ulteriore forzatura del baricentro centro-periferia, pertanto, è stata inflitta proprio durante questi concitati momenti, ovvero quanto con un provvedimento anticostituzionale l’Assemblea nazionale della RS ha approvato una legge sui medicinali e i dispositivi medici che prevede l’istituzione di una propria agenzia farmaceutica, sottraendo il controllo a quella statale che opera dal 2009.

Il ripristino delle competenze della Republika Srpska

Cosa intendesse Dodik per ripristinare le competenze dell’Entità sottratte della Repubblica di Bosnia-Erzegovina è stato evidente poche settimane fa. Il 10 dicembre, in una caotica seduta, l’Assemblea nazionale della Republika Srpska (RS) ha adottato la risoluzione che predispone il trasferimento delle competenze statali al livello d’Entità nel campo della tassazione indiretta, della giustizia, della difesa e della sicurezza. Nella stessa seduta, è stata inoltre approvata anche la Dichiarazione sui Principi Costituzionali della RS, che conferisce l’incarico alle istituzioni della RS di redigere una costituzione secondo la quale Banja Luka diventerebbe la capitale dell’Ente, e che classifica tutte le leggi imposte dall’Alto Rappresentante come incostituzionali.

L’azione di forza dell’Assemblea nazionale della Republika Srpska non solo si pone in antitesi con quanto disciplinato dalla Costituzione bosniaca, ma pone in dubbio lo stesso futuro dello Stato. Il vicepresidente della Bosnia-Erzegovina, Ramiz Salkic, dell’Entità della Republika Srpska, ha dichiarato che l’adozione delle conclusioni è stata “l’’inizio della distruzione dell’ordine costituzionale e l’abbandono dell’accordo di pace e della pace di Dayton”.

Per legittimare l’azione Dodik ha fatto ricorso all’articolo III della Costituzione bosniaca, secondo il quale le funzioni e i poteri che non sono esplicitamente assegnati alle istituzioni della Bosnia-Erzegovina appartengono alle Entità, salvo diverso accordo tra le due componenti. Secondo lo stesso articolo, però, le Entità della Republika Srpska e della Federazione della Bosnia-Erzegovina non possono riacquisire autonomamente le competenze che sono state trasferite allo Stato coralmente.

Per quanto riguarda l’aspetto militare, cavallo di battaglia del leader serbo-bosniaco, il processo di dismissione della difesa territoriale al livello centrale è iniziato nel 2005, portando nel 2006 alla creazione della Forze armate della Bosnia-Erzegovina. Discoro differente invece per la questione inerente alle imposte indirette. L’ente incaricato è un’organizzazione amministrativa statale indipendente e responsabile dell’applicazione e dell’attuazione delle normative legali relative alla tassazione indiretta in Bosnia ed Erzegovina. Per tale ragione le Entità non avrebbero alcun potere per rivendicarne le funzioni.

Oggi la Bosnia è uno Stato tetraplegico, amputato delle sue funzioni costitutive, proprio da chi dovrebbe perseguire la sua piena realizzazione. Il futuro nei Balcani, ancora una volta, appare potenziale.

Di: Andrea Caira