In Spagna, il 26 giugno, si è votato per rinnovare il Parlamento e per cercare di dare governabilità al Paese. Gli spagnoli erano stati chiamati alle urne lo scorso dicembre ma da quella tornata elettorale non era uscita nessuna maggioranza in grado di governare. La stessa situazione si è ripetuta anche questa volta.
C’è ben poco da dire. Anche in Spagna, come già accaduto in Italia durante le elezioni politiche del 2013, è giunto il momento di pensare alla creazione di una gran coaliciòn.
Il premier in pectore Mariano Rajoy, reduce da una “vittoria zoppa” alle elezioni generali del dicembre 2015, anche a questo giro, pur avendo conquistato la maggioranza relativa del Congresso dei deputati, con molta probabilità non riuscirà a formare un Governo, se non con l’appoggio del Partito socialista guidato da Pedro Sanchéz, arrivato secondo contro le previsioni che lo davano dietro Unidos Podemos – partito nato dall’unione di Podemos di Pablo Iglesias e altre formazioni della sinistra radicale spagnola.
Una vera e propria situazione di stallo quella spagnola che, come già accaduto in Italia nel 2013, ha subito il forte colpo dei movimenti “antisistema” come, appunto, Podemos a sinistra e Ciudadanos al centro.
Già, l’osservato speciale è stato proprio il movimento fondato da Pablo Iglesias nel 2014 sull’onda delle proteste contro la dilagante corruzione e con lo scopo di creare una vera società fondata sulla “democrazia diretta” e partecipativa. Il vero colpo di scena è stato il mancato sorpasso, ventilato sia dagli analisti politici che dagli stessi exit poll, da parte di Unidos Podemos del Partito socialista di Sanchéz che si è fieramente piazzato, con il suo 22.66%, dietro i popolari di Rajoy.
Una situazione di totale ingovernabilità insomma, che nei fatti impedisce al premier uscente di formare un governo che possa avere la piena fiducia del Parlamento.
Su 350 deputati spagnoli infatti, il Partito popolare si è aggiudicato solo 137 seggi, seguito dagli 85 del Partito socialista, dai 71 di Iglesias e dai 32 dei centristi di Ciudadanos. Un’impasse istituzionale molto simile a quella registrata nel 2015, impasse che ha portato a queste successive elezioni in pochi mesi.
La causa principale di questo “stop” forzato all’avanzata dei tradizionali partiti politici è dovuta all’ingresso sulla scena politica nazionale, a gamba tesa, di Podemos che ha nei fatti “scippato” una buona fetta di delusi al Partito socialista, colpevole di non dare una vera e propria risposta al suo tradizionale bacino elettorale. Cosa che invece non sembra essere accaduta tra il Partito popolare e la lista “concorrente” di Ciudadanos: forse grazie agli appelli alla responsabilità e al “voto utile” richiamati da Rajoy, che ora riceverà il mandato da Re Filippo IV per il primo tentativo di formare un Governo.
Rivendichiamo il diritto di governare, perché abbiamo vinto le elezioni – questo il commendo del premier eletto Mariano Rajoy – Da domani inizieremo a parlare con tutti gli interlocutori; la Spagna ha bisogno di un Governo con un solido appoggio parlamentare
Parole, quelle del Primo ministro, che puntano i riflettori sull’opportunità della creazione di una grande coalizione, mirando al senso di responsabilità chiesto proprio al Partito socialista e ai centristi di Albert Rivera con lo scopo di escludere gli estremismi e l’avanzata dei sostenitori di Pablo Iglesias.
Il mancato successo della lista Unidos Podemos – che si è dovuto accontentare di un terzo posto e degli stessi seggi delle scorse elezioni, nonostante l’accorpamento in questa tornata con altre liste di sinistra – è ricondotto da alcuni analisti anche a quanto accaduto in questi giorni in Gran Bretagna.
L’effetto Brexit dello scorso 23 giugno ha di fatto “spaventato” gli elettori spagnoli che, per scongiurare ripercussioni politiche e soprattutto economiche, hanno preferire tenere la barra a dritta, dando una seconda possibilità al Mariano Rajoy premiandolo con 14 seggi in più al Congresso rispetto alle elezioni dello scorso inverno.
La paura delle proposte “antisistema” avanzate da Iglesias, il timore di una frenata della già debole ripresa dell’economia spagnola e lo spettro di una possibile speculazione finanziaria, hanno attenuato il voto di protesta.
Il prossimo appuntamento che, come accaduto in Spagna, vedrà scontrarsi i movimenti euroscettici con le forze moderate e riformiste europee, saranno le elezioni presidenziali francesi del 2017. Qui, molto probabilmente, sarà in corsa per l’Eliseo anche la stessa leader del Front National Marine Le Pen.
In Spagna, invece, ora la palla passa ufficialmente nelle mani del premier incaricato che dovrà in tutti i modi riuscire a convincere gran parte degli ex avversari a creare una “grande coalizione” per formare un Governo e dare, finalmente, stabilità a un paese gravemente provato dalla crisi economica globale.
di Omar Porro