FONOP: l’insufficiente contrasto all’egemonia di Pechino nel Mare cinese meridionale

The aircraft carrier USS George Washington (CVN 73), center-right, leads the George Washington Carrier Strike Group. US Navy photo by Mass Communication Specialist 3rd Class Ricardo R. Guzman/Released
Le missioni statunitensi FONOP affermano la libertà di navigazione nel Mare cinese meridionale, dove Pechino sfida i principi del diritto internazionale del mare.

Rimane alta la tensione nel Mar Cinese Meridionale, nelle cui acque vediamo continuare ad affrontarsi due diverse visioni del mondo e dei confini marittimi. Se gli Stati Uniti infatti continuano a rivendicare il libero passaggio in quelle che vengono considerate dal Diritto Internazionale vigente come acque internazionali, dal canto suo la Cina non sembra essere minimamente intenzionata a modificare le proprie rivendicazioni di sovranità sull’enorme porzione di mare compresa nella Nine Dash Line.

Cina Nine-Dash line. CSIS/David Choi/Business Insider

La Cina avanza su tutta l’area da essa delimitata, delle rivendicazioni di carattere storico, prive però secondo l’UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) di qualunque fondamento legale internazionale. La Corte Internazionale di Giustizia si è anche espressa in tal senso nella sentenza emessa nel 2016 nel caso Filippine vs. Cina che riguardava proprio l’indebita appropriazione cinese di porzioni di piattaforma continentale appartenenti al governo di Manila. In tale sentenza il Tribunale dell’Aia ha considerato in violazione del Diritto Internazionale le misure adottate da Pechino, che secondo il giudizio della Corte hanno provocato “Danni irreparabili all’ambiente marino, messo in pericolo navi battenti bandiera filippina, impedito la pesca e interferito con l’esplorazione petrolifera”.

Il governo di Manila nel corso del 2017 si era visto costretto ad accettare la proposta di “sviluppo congiunto” avanzata dal governo cinese per quanto riguarda l’esplorazione delle risorse presenti nella zona del Reed Bank, secondo l’UNCLOS inequivocabilmente situato in una porzione di piattaforma continentale appartenente alle Filippine. Considerando le necessità energetiche del paese, ma non potendo non considerare l’esplicita minaccia di guerra avanzata da Pechino nel caso non si fossero sospese le esplorazioni, Manila si era vista costretta ad accettare la proposta cinese. Una proposta che nonostante l’ottimismo con il quale era stata presentata da entrambe parti non ha trovato alcun seguito, lasciando congelata la situazione sul campo.

La decisione del tribunale olandese non ha comunque interferito con le operazioni portate avanti dal governo del Dragone Rosso, che tramite azioni coercitive ha continuato a imporre la propria visione del diritto marittimo ai propri vicini. Anche il Vietnam si è visto costretto ad interrompere operazioni di esplorazione petrolifera nel luglio 2017 e ancora nel marzo 2018 proprio a causa della minaccia dell’uso della forza avanzata da Pechino nei confronti delle navi impegnate nelle operazioni di ricerca. Una interferenza che si è dimostrata molto dura nei confronti delle compagnie occidentali, ma un po’ più morbida nei confronti di quelle russe. Una situazione che ha portato la Cina in rotta di collisione con gran parte degli stati rivieraschi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale.

A questa assertività cinese gli Stati Uniti rispondono con quelle che vengono definite missioni FONOP (Freedom Of Navigation Operations) attraverso le quali viene rivendicato quello che da secoli è considerato uno dei capisaldi del diritto del mare: la libertà di navigazione. Tramite queste operazioni viene quindi riaffermato questo diritto, e viene inoltre evitata la formazione di una acquiescenza delle rivendicazioni cinesi.

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L’ultima FONOP risale al mese di maggio 2018, e aveva visto il passaggio per questo contestato tratto di mare di un cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke, la USS Higgins, e di un incrociatore classe Ticonderoga, la USS Antietam. Le navi avevano condotto un passaggio ravvicinato nella zona delle isole Paracels, suscitando le ire di Pechino. Fino a questo momento, la marina militare cinese pur avvicinando e mantenendo sotto stretto controllo le navi americane durante i loro passaggi, si erano mantenute ad una certa distanza di sicurezza.

Ma nel corso dell’ultima missione, programmata per la fine di settembre, qualcosa è andato storto: il 30 settembre infatti il comando della US Pacific Fleet ha fatto sapere che nei pressi del Gaven Reef, situato nelle vicinanze delle contestate isole Spratly, il cacciatorpediniere classe Arleigh-Burke Decatur è stato avvicinato da un incrociatore cinese di classe Guangzhou. La nave militare della marina cinese, da quanto riportato, una volta raggiunta la nave battente bandiera statunitense avrebbe cominciato una serie di “manovre aggressive incrementali” mentre al vascello americano veniva ordinato di abbandonare l’area. Il vice Presidente Mike Pence giovedì 4 Ottobre ha commentato aspramente l’episodio della Decatur sottolineando come lo stesso, rappresenti l’aggressività cinese nell’area. Parlando per la Casa Bianca ha aggiunto, non ci faremo intimidire e non ci tireremo indietro.

Manovre che avrebbero portato le navi della marina di Pechino e di Washington ad avvicinarsi a meno di quaranta metri l’una dall’altra forzando la Decatur a una brusca virata per evitare l’impatto. La distanza è davvero ravvicinata se si considera che si tratta di navi che dislocano rispettivamente 5,850 e 8.400 tonnellate.

Ricordiamo che nel corso del 2017 il comandante della US Pacific Fleet era stato portato ad abbandonare il comando in seguito a due gravi incidenti navali. Infatti nel giugno di quello stesso anno sette marinai erano morti in seguito alla collisione del cacciatorpediniere USS Fitzgerald con una nave porta-container in prossimità delle acque giapponesi. E ad agosto un nuovo incidente era costato la vita di dieci marinai imbarcati sul cacciatorpediniere John McCain, rimasti vittime della collisione della loro nave con un una petroliera.

Una serie di incidenti di cui questi due i più gravi, ma non gli unici, che dimostrano come nonostante i potentissimi strumenti tecnologici di bordo l’errore umano possa sempre essere in agguato, soprattutto quando si è costretti ad operare in situazioni di stress, che porta ad una imperfetta applicazione di regolamenti e procedure. Una situazione – che da quanto è emerso da alcuni rapporti – non è affatto estranea alla settima flotta statunitense. Errori di navigazione o di valutazione che se dovessero essere commessi da navi militari potrebbero avere pesanti ripercussioni sulla stabilità locale. Ma che dato il calibro delle parti in causa potrebbero riverberarsi anche su quella globale.

Prosegue a montare la tensione tra Stati Uniti e Cina. Solo pochi giorni prima dell’incidente tra le due navi militari, alcuni bombardieri strategici B-52 erano decollati dalla base statunitense di Guam per condurre operazioni di addestramento sul Mar Cinese Meridionale e sui cieli dell’Oceano Indiano, anche in quel caso suscitando le ire di Pechino. 

Tutte operazioni – si è argomentato – che seppur tese ad opporsi alle pretese cinesi sull’area, rischiano di non rivelarsi strumento di pressione sufficiente per portare Pechino a modificare le rivendicazioni avanzate su quell’enorme tratto del Mar Cinese Meridionale o l’atteggiamento assertivo tenuto nei confronti dei paesi vicini.

Un brutto momento, quindi, per le relazioni tra Stati Uniti e Cina, che vivono in questo periodo una tensione alimentata anche dallo scontro commerciale tra i due paesi. Un confronto che vede Pechino rispondere colpo su colpo ai dazi commerciali imposti da Washington. Un clima ulteriormente inasprito dalla denuncia di Trump, secondo il quale Pechino starebbe lavorando sottobanco per interferire con le elezioni di mid term americane in programma per il novembre 2018, oltre che dalla disputa su Taiwan, tornata in questo periodo elemento di tensione tra le due amministrazioni.

Insomma, dopo un primo momento in cui sembrava che tra Trump e Xi Jinping potesse esserci un’intesa di fondo, i punti di frizione emersi tra i due presidenti hanno portato il presidente americano ad affermare in una conferenza stampa, che il presidente cinese “potrebbe non essere più mio amico”. Una situazione di incomunicabilità che non sarà facile da sbloccare. E che rischia di precipitare rapidamente, se qualcosa nei molti episodi di confronto diretto tra le marine delle due superpotenze dovesse andare storto.

Di: Andrea Cerabolini