Guerra e criminalità organizzata

credits: Reuters/Goran Tomasevic

Le organizzazioni criminali hanno tutto ciò che serve per sfruttare il caos internazionale. In ogni luogo del mondo in cui viene meno la stabilità e la sicurezza, la criminalità organizzata si impegna a riempire i vuoti lasciati dall’assenza di Stato e sovranità.


“Economicamente parlando, la guerra è un ottimo affare. Guadagni così alti non si fanno in nessun altro caso. In guerra non si pagano le tasse, non vengono considerati i diritti di nessuno, non esistono leggi che possano limitare il campo d’azione. E chi fa affari in guerra mira ad allontanare la prospettiva di pace come se fosse una malattia contagiosa.” (Da “Il serpente di Dio” di Nicolai Lilin)

Con la fine del secondo conflitto mondiale e più precisamente con la fine del conflitto in Corea dei primi anni ’50 si concluse il periodo di quelli che potremmo definire “i grandi conflitti” ovvero quei conflitti combattuti tra “Grandi Potenze”. Con l’avvento della “Guerra Fredda” e del confronto bipolare, si inaugurò un’epoca di piccoli o medi conflitti di periferia dove i due Top Dogs (Stati Uniti e Unione Sovietica) si fronteggiavano sfruttando soggetti terzi per combattersi: le così dette guerre per procura (proxy war). Con la caduta del Muro di Berlino, è stata l’iper-presenza degli Usa – paese che ha vestito i panni di “portatore di pace” prima e “poliziotto globale” poi – a sintetizzare i conflitti degli anni ’90–2000; almeno fino alla recente politica di disimpegno promossa dall’amministrazione Obama e portata avanti dal suo successore Trump.

Durante la seconda metà del Novecento non sono stati però solo gli Stati o i gruppi di combattenti, sotto varie bandiere e con varie definizioni, ad essere i soli protagonisti dei conflitti. Altri attori sono scesi sul terreno: le organizzazioni criminali.

Da un certo punto di vista si può affermare che da sempre i conflitti siano stati ricettacolo per la proliferazione di ogni genere di nefandezze e comportamenti illeciti e illegali. Da sempre, al seguito degli eserciti, si sono spostati commercianti del sesso, giocatori d’azzardo, briganti e truffatori. Le guerre della seconda metà del Novecento, partendo dalla Seconda Guerra Mondiale, hanno però registrato un’evoluzione in questo rapporto guerra–criminalità; ossia i gruppi criminali hanno cominciato a pensare in grande e a trovare negli eventi bellici una leva formidabile per far crescere i loro affari e la loro “posizione”.

Inoltre, il conflitto è, per sua natura, “portatrice di vuoti per eccellenza”. Ossia, per lo meno nel terreno su cui esso si sviluppa (che con il passare del tempo è divenuto nell’arena internazionale sempre più sconfinato), produce una serie di vuoti di vario genere: sociale, economico e politico. Sociale, perché sovverte radicalmente i rapporti normali, di convivenza civile. Economico, perché obbliga a un mutamento sostanziale dei processi economici, divenendo appunto “economia di guerra”, in cui la disponibilità dei diversi beni, anche i più comuni, può divenire un lusso. Politico, perché per il fatto stesso che vi è un conflitto in atto non vi è più un solo detentore della “forza legittima”, ma questa è distribuita tra due o più attori.

È in questa situazione nebulosa e aleatoria, che si è ancora più complicata con la guerra moderna, combattuta al di fuori degli argini del campo di battaglia, che si fanno largo le organizzazioni criminali.

Esse infatti sono detentrici di una qualità essenziale, che permette loro di essere “regine dei vuoti”, in particolar modo in un contesto bellico dove si spadroneggia attraverso l’uso della forza; questa caratteristica permette loro di essere a proprio agio in una situazione dove la violenza è l’unico metro di giudizio e dove la “legge del più forte” è l’unica regola. Grazie a questa supremazia, che le organizzazioni criminali riescono ad ottenere in contesti che divengono “criminogeni”, la guerra si trasforma per alcuni sistemi mafiosi “in un importante momento di legittimazione politica internazionale”, scrive Fabio Armao nel suo libro “Il sistema mafia” (Bollati Boringhieri, 2000). Ciò avviene principalmente nel momento in cui il conflitto prende corpo dove

  1. ci sono organizzazioni criminali territoriali;
  2. dove vi sono importanti attività criminali;
  3. dove transita un’importante rotta di traffici illegali.

Esempi del primo caso sono ciò che è avvenuto in Sicilia durante e dopo il conflitto mondiale, dove Cosa Nostra ha giocato un ruolo di una rilevanza primaria nell’operazione Husky prima e nel governo dell’AMGOT poi. Ciò che peraltro è avvenuto anche in Giappone, dove l’amministrazione MacArthur si è servita della Yakuza per domare i tumulti promossi dai sindacati e dai partiti di sinistra, dopo averla combattuta per via della sua precedente collaborazione col governo imperiale del Sol Levante.

Esempi del secondo caso sono invece il conflitto in Vietnam e le guerre in Afghanistan, a partire dall’invasione sovietica, in quanto ha permesso l’esplosione internazionale dei traffici di oppio e eroina che ancora oggi inondano gran parte del mondo.

Invece numerosissimi sono gli esempi per il terzo caso, partendo dalle guerre nei Balcani, passando per il conflitto ceceno e l’attuale conflitto ucraino, per la Moldavia, per le guerre che insanguinano il Medioriente, il centro America ed il continente Africano.

La presenza delle organizzazioni criminali nelle guerre si è fatta via via sempre più spregiudicata e importante nel corso del tempo, tanto da permettere loro di inserirsi nei rapporti internazionali e arrivando persino a creare i cosiddetti “Stati mafia”. Ciò nonostante, la loro esistenza si è resa anche invisibile e pragmatica, talvolta trovandosi coinvolta in processi di “ibridazione”, che hanno permesso alla criminalità organizzata di legarsi a gruppi politici o terroristici e di acquisire subdolamente un peso politico sempre maggiore.

Laddove si sviluppa un conflitto, espressione più evidente dello scontro fra attori internazionali, lì si nascondono anche gli interessi delle organizzazioni criminali, abili dominatrici del “vuoto bellico”. Il sistema politico internazionale si sta muovendo verso una sorta di perenne stato di guerra a bassa intensità che potrebbe favorire queste organizzazioni malavitose.

Di: Samuele Motta