I Cani di Ares – Corsari di Grecia / capitolo 5

Corsari
Credits: The Zeppelin

5 marzo, Atene, ore 22:00

Nico uscì in strada, la cravatta non lo faceva respirare bene ed il colletto stretto della camicia bianca gli stava irritando la pelle appena rasata.

Giacca e cravatta d’ordinanza dell’hotel Grande Bretagne gli davano sempre fastidio ma la sensazione di estrema eleganza che emanava non gli dispiaceva affatto. Stava iniziando ad allungare il passo quando notò Eleni uscire dall’androne del palazzo. Nico era in anticipo, casualmente osservò meglio il volto di Eleni. La ragazza aveva un’aria stralunata, tutto l’opposto rispetto alla persona arrogante che aveva di fronte pochi minuti prima, ed era irresistibile. Nico era curioso, era sempre stato curioso come una scimmia quindi rallentò il passo di proposito per vedere come la ragazza avrebbe reagito vedendolo, ma Eleni non lo poteva riconoscere vestito e pettinato così. Ad un tratto Nico fece finta di fermarsi a guardare una vetrina bloccandosi di scatto, la ragazza quasi gli andò addosso. A quel punto lo riconobbe.

«Hey tu!» disse con voce quasi allegra.

Nico non sapeva se infastidirsi per come lo aveva chiamato, in modo così superficiale, oppure mettersi a ridere. Si voltò con fare confuso, come se fosse caduto dalle nuvole. Vide quegli occhi enormi e rossi.

I casi erano due o era allergica all’aria di Atene, oppure aveva appena finito di piangere. Nico sentì un impulso irrazionale a tirarla verso di sé per abbracciarla, ma fece finta di nulla e si limitò a salutarla fingendo stupore: «Ciao! Ma sei già andata via?»

«Sì sono stanca, voglio andare a casa.»

«Ma ti senti bene? Mi sembri un po’ pallida.»

«Mh, sei gentile. Grazie tutto bene, solo un po’… cioè no, in realtà non sono proprio ok, però va beh, lasciamo stare…»

«Ah mi spiace, ma come mai? Voglio dire, scusami, se posso chiedere?»

«Ma sì… niente un po’ di stanchezza. Lo studio, sono sotto esame da una settimana, tutto il giorno in casa sai com’è. Lo stress, esci un attimo per divertirti e ti senti quella sensazione di nausea nello stomaco, sai che dovresti stare a casa a studiare, invece senti che stai buttando via del tempo.

«Non lo so, mai provata» disse Nico ridendo, come per farle intendere che lui fosse libero dalle ansie dello studente comune. Mentiva.

«Dove vai a quest’ora? E poi vestito così?» chiese Eleni. «Stai bene, sei bello…» la ragazza si chiese se forse fosse stata troppo sincera.

Nico diventò rosso, lei lo vide e sorrise. Di nuovo quel sorriso. Lei era bellissima, e Nico stava andava a fuoco.

«Hey, te l’ho detto che lavoro! Faccio il cameriere al bar del Grande Bretagne.»

«Davvero?! Wow! Quel posto è stupendo…» la ragazza fece un’esclamazione, ma subito dopo abbassò gli occhi rossi, e le tornò un’aria di sconforto.

Qualche passo e i due si rimisero a parlare del più e del meno, avevano iniziato a camminare insieme, sempre più vicini, ogni tanto le punta delle dita si sfioravano.

«Senti, non voglio farmi gli affari tuoi, ma sei sicura che vada tutto bene? Hai una faccia un po’ triste, i tuoi occhi mi sembrano gonfi.»

«Lo so, ho un po’ pianto prima…»

«Ah, mi spiace…» fece Nico un po’ imbarazzato.

«Non mi chiedi perché?» rispose Eleni. Aveva un modo di fare a tratti impertinente che la rendeva unica.

«Non lo so non vorrei sembrare invadente.»

«No, è ok» Eleni continuava ad usare quell’espressione, è ok, così poco greca e Nico con stupore si rese conto che le conferiva un aspetto ancora più sensuale.

«Mi hanno appena detto che non ci sono i fondi per il mio progetto, quello di cui ti parlavo prima, ricordi no?»

«Ah cazzo mi spiace. Sì sì, mi ricordo, la storia di Facebook» Nico non si ricordava chiaramente niente e si vedeva, Eleni lo sapeva, ma fece finta di niente.

«Questo governo di idioti e le sue cazzate sta affossando definitivamente il paese.»

Improvvisamente Nico sentì un leggero fastidio. Eleni era bella, intelligente, aveva fascino ed al tempo stesso con quell’espressione abbattuta gli sembrava così indifesa, ma politicamente rimaneva il suo opposto, e la cosa non sarebbe mai cambiata.

Il ragazzo non disse nulla, non voleva esporsi su questioni politiche.

Da quando era iniziata questa storia dei corsari, stranamente, aveva smesso di interessarsi alla politica. Era come se fosse passato in una sfera diversa. Dalla teoria alla pratica. Ormai parlare di politica era solo qualcosa di inutile. Che senso aveva perdersi in discussioni quando si faceva il sabotatore?

«Non ti piace questo governo eh? Immaginavo, non fa impazzire neanche me a dirla tutta. In generale la politica attuale non mi interessa più.» Cazzate.

Per alcuni attimi ci fu silenzio, i due camminavano fianco a fianco nell’aria fresca della serata.

«Hai sentito della richiesta di risarcimento alla Germania?» Fece Nico.

«300 miliardi di euro, pensa se te ne dessero un po’» le disse cercando di sfotterla, ma non lo disse con cattiveria. Voleva essere un po’ ironico.

«Sì certo… pagheranno sicuramente… che pagliacci, e poi non sarebbe neanche giusto, non sono più i nazisti che ci hanno invaso.»

«Questo è vero, però loro ci hanno danneggiato, e i danni, come i debiti e le ricchezze, si ereditano. Dopo la guerra, mentre la Germania, coi soldi di altri, è stata ricostruita, noi siamo rimasti in piedi sulle rovine…»

«Ma hai sentito di quei pazzi?» disse improvvisamente Eleni.

«Chi?» disse nico. «Di chi parli?»

«Quegli idioti che hanno messo quella bandiera fascista sul Partenone!»

Per Nico fu come un pugno nello stomaco. Non si sarebbe mai aspettato che qualcuno li paragonasse a dei fascisti. «Ma chi, non capisco?» rispose Nico cercando di dissimulare la sensazione improvvisa di malessere.

«Ma sì! Ne parlano tutti, quei pazzi che hanno pestato un camionista tedesco e messo una bandiera sul Partenone, una specie di striscione. Ho sentito in Tv che quella è una bandiera nazionalista, la usano anche i fascisti di Sole Radioso. Altri delinquenti… poi ci stupiamo se facciamo ridere il mondo.»

Nico fu improvvisamente colto dallo sconforto. Aveva ragione. Non aveva riflettuto che la bandiera dell’indipendenza venisse spesso utilizzata dalle bande di sole radioso. In più il teschio ed il colore nero potevano essere ulteriormente scambiati con la simbologia dell’estrema destra. Era stato superficiale. Effettivamente nessuno aveva ancora parlato di corsari, neanche di pirati.

Eppure Ares aveva chiamato la sede del Makedonia leggendo esattamente il comunicato che il fratello più piccolo gli aveva preparto, e Nico era sicuro di avere messo dei riferimenti ai corsari.

…Ne era sicuro.


5 marzo, Salonnico, Commissariato centrale di polizia, ore 18:00

«Signori, vi presento il professor Koumoundouros, docente emerito dell’università di Atene. Ci aiuterà ad analizzare questa storia che per ora ci è costata un rogo in autostrada ed una foto sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Il commissario capo Zaimis era di poche parole. Non amava perdere tempo.

«Buon pomeriggio dottori.» Disse il professor Alexandros Koumoundouros. Gli ispettori presenti ed il responsabile dei servizi segreti di Salonicco si fecero avanti stringendo mani.

Il colonnello Papagos prese subito la parola. Era il responsabile regionale dei servizi segreti e non intendeva farsi impressionare dalle maniere dure dei colleghi poliziotti, verso i quali provava un discreto disprezzo.

«Siamo lieti che il Ministero dell’Ordine pubblico e della Protezione dei Cittadini l’abbia invitata a questa riunione, come suggerito dai Servizi. Siamo contenti di constatare che i rapporti tra corpi di sicurezza siano improntati al rispetto reciproco ed all’ascolto.

Il commissario capo Zaimis aggrottò la fronte con fastidio ascoltando quelle parole.

Il suo gesto non passò inosservato tra i suoi uomini che di risposta mimarono sguardi infastiditi ed altezzosi. Gli ispettori, tutti uomini molto più giovani dei due pezzi grossi e del professore universitario, erano per l’occasione ben sbarbati ed inamidati e rimanevano in piedi, a fianco della grossa scrivania alla quale sedeva Zaimis, come fossero un contorno alla portata principale, il loro boss.

«La prego professore, so che ha già pronto un dossier sulla faccenda, se ce lo vuole esporre anche subito le saremmo grati» lo incalzò il commissario capo.

«Esatto» disse asciutto Koumoundouros.

«Ho analizzato sia testo dei volantini ritrovati sul luogo dell’aggressione, che quel documento inviato alla sede del giornale ed alle ambasciate in Atene. In primis direi che questi non sono sciocchi, e neppure ignoranti. I testi sono scritti con un chiaro intento ironico ma significativo, che solo una persona di cultura e con un un certo gusto potrebbe produrre. Oserei dire, che avrei potuto scriverli io stesso.

Sembrano opera di esperti di storia o di politica. Deve averli scritti una qualche mente che sa il fatto suo. In particolare dalla retorica, dal lessico si deduce che sono persone che studiano, che conoscono la società. Io penserei ad un gruppo di eletti immersi in una visione romantica della realtà. Si rifanno a non si capisce quale giustizia morale a loro avviso frustrata dalla contingenza dei tempi, nei quali verte la nazione. Inoltre…»

«Sì, bene professore» lo interruppe Zaimis. «Ci sembra di aver capito che per lei non sono una banda di delinquenti di bassa lega. Non i soliti frequentatori di spalti di stadio o i balordi che inseguiamo nelle piazze il sabato pomeriggio…»

«Esatto, il mio pensiero si può riassumere così.»

«E voi… caro Papagos. Voi dei Servizi che ne dite? So che anche voi avete già pronte delle osservazioni in merito giusto?»

«Certamente commissario» rispose Papagos. Il colonnello indossava gli occhiali da sole scuri anche in ufficio. Aveva una malattia genetica agli occhi che gli era insorta dopo i quarant’anni. Le sue palpebre avevano un colore vitreo ad anche la luce dei neon gli poteva provocare dolorose irritazioni.

«Diciamo che noi abbiamo badato più agli aspetti operativi della cosa, piuttosto che al contenuto dei volantini…» fece l’uomo dei Servizi, osservando il professore da dietro i suoi occhiali scuri.

«Le modalità sono curiose. Riteniamo che il gruppo operi diviso su più cellule, almeno tre, ma in questi casi sono sempre molte di più, divise tra dormienti ed attive, pronte a rimpiazzarsi in caso di cattura o eliminazione fisica» pronunciando quella parola il colonnello posò il suo sguardo apatico sui volti degli ispettori, voleva osservarne le loro reazioni, ma i giovani non si scomposero, rimanendo ritti dietro le loro cravatte azzurro-grigie.

«La certezza è che sono esperti, o comunque hanno una certa esperienza nel muoversi e nell’organizzarsi. Sono coordinati, hanno inventiva ed anche un discreto gusto dell’azione se si pensa alla sceneggiata della bandiera sulla murata del Partenone… certo una messinscena che ci si sarebbe potuti risparmiare se solo la municipalità di Atene dedicasse più attenzione ai luoghi simbolo della nazione» concluse il colonnello.

«Purtroppo la municipalità di Atene non gode delle risorse economiche che i governi da 70 anni riversano allo stato maggiore della difesa nazionale.» Rispose a muso duro Zaimis, proseguendo:

«Dunque signori, credo che possiamo concordare su un punto preciso. Non siamo di fronte ad uno scherzo di carnevale. Siamo sulle tracce di almeno, azzarderei tre, quattro cellule, composte da circa 4 persone l’una. Dotate di strategia organizzativa paramilitare, esperienza, senso dei tempi e spessore ideologico non comuni. Quasi certamente personaggi non nuovi a questo genere di azioni.»

Il colonnello Papagos annuì, il professor Koumoundouros si limitò a fare un cenno di assenso con la mano, gli ispettori annuirono in sincrono.

Zaimis riprese e concluse: «Possiamo concordare dicendo: Un fatto del genere non è opera di una banda di disoccupati!»

Continua…