Il Caucaso, l’Inguscezia e i suoi nuovi tormenti

People attend a protest against the new land swap deal agreed by the heads of the Russian regions of Ingushetia and Chechnya, in Ingushetia's capital Magas, Russia, Monday, Oct. 8, 2018. Ingushetia and the neighboring province of Chechnya last month signed a deal to exchange what they described as unpopulated plots of agricultural land, but the deal triggered massive protests in Ingushetia where it was seen by many as hurting Ingushetia’s interests. (AP Photo/Musa Sadulayev)
A dispetto delle pochissime informazioni trasmesse dai mass media nazionali, tra ottobre e novembre è montata nel Caucaso una nuova crisi politico-territoriale. E, ancora una volta, questa trova origine da quel mosaico di etnie, religioni e interessi economici che compone il territorio della Federazione Russa: parliamo dell’Inguscezia.

Per tutto ottobre nelle strade di Magas, città russa del Caucaso, capitale della Repubblica Inguscia – anche chiamata Inguscezia, la più piccola regione autonoma della Russia – si sono svolte proteste contro il governo locale e centrale, per via di un accordo approvato dal parlamento locale e da quello della Repubblica Cecena; un accordo che potrebbe portare nuovi grattacapi alla leadership politico-militare del Cremlino.

Mappa delle due Repubbliche – wikiwand.com

In modo da comprendere appieno la natura della disputa in atto, è bene fornire una panoramica riguardante la composizione territoriale e la suddivisione amministrativa di quello che in Occidente è conosciuta, semplicemente, come Federazione Russa.

Al suo interno vi sono realtà politico-amministrative di diverse tipo (difformemente, per esempio, dagli Stati Uniti o dal Canada). Nel caso sopra considerato si parla di vere e proprie Repubbliche, dotate di un parlamento e di un Capo di Stato eletto direttamente dai cittadini, di una Costituzione e di un proprio idioma nazionale, con il russo a svolgere il ruolo di seconda lingua.

Queste entità politiche sono 22, e possono essere considerate la “casa madre” di diverse minoranze etniche già presenti nell’ex impero sovietico, a cui nel corso dei decenni è stata concessa da Mosca maggior autonomia.

Le proteste in seno alla popolazione inguscia hanno origine da un accordo di rimodulazione territoriale firmato dai rispettivi presidenti – Ramzan Kadyrov e l’inguscio Junus-Bek Yevkurov – e approvato dai parlamenti delle due repubbliche il 4 ottobre scorso.

Nel testo dell’accordo ratificato si annuncia che alla Cecenia vengono assegnati un insieme di territori posti sul confine tra le due repubbliche, vicino a Dattykh; sostanzialmente ci troviamo di fronte a un trasferimento di sovranità, o rimodulazione di confini.

Tale mossa non comporta la necessità del ricollocamento di abitanti e nemmeno aggravi dal punto di vista economico, in quanto le zone sono di fatto disabitate e per lo più boschive, ma va a toccare motivazioni più attinenti al prestigio e all’orgoglio delle rispettive genti, e il loro rapporto con Mosca.

Si ricordi, infatti, che sino alla caduta dell’Unione Sovietica, le parti in causa costituivano un’unica regione autonoma, la cosiddetta Repubblica Autonoma Socialista Sovietica di Cecenia e Inguscezia. Considerando infine che i due popoli sono etnicamente affini, nonché entrambi praticanti l’Islam sunnita, queste tensioni non si possono inserire nel “solito” contesto caucasico, dominato nei secoli da scontri inter-religiosi, nonché etnici e nazionalistici.

A ciò si aggiunge che agli inizi degli anni Novanta un pezzo di territorio dell’Inguscezia (nei pressi di Prigorodnyj) fu consegnato all’Ossezia del Nord, e molti abitanti ingusci furono cacciati dalle proprie case.

La principale causa delle proteste da parte dell’Inguscezia, può essere ritrovata nel ruolo che la Cecenia ha assunto all’interno della Federazione Russa, e nel contestuale trattamento di favore che riceve dal governo centrale. A questo proposito è inutile ricordare i due conflitti che hanno opposto Mosca a Grozny, con quest’ultima alla ricerca di un’indipendenza di fatto dallo Stato Russo.

Il peso di cui gode oggi la Repubblica Cecena e il suo indiscusso leader autoritario e star dei social-network Ramzan Kadyrov, è sproporzionato. Grozny riceve da Mosca cospicui finanziamenti (che hanno portato la stessa Grozny, completamente rasa al suolo dopo l’intervento di Putin nei primi 2000, a essere interamente ricostruita), che certo non sono visti di buon occhio da parte dei più trascurati e poveri vicini.

Kadyrov ha inoltre un rapporto speciale con il presidente russo Vladimir Putin, che gli ha dato ampi margini di libertà ed autonomia, fintantoché questa permette di evitare nuove spinte secessioniste e il diffondersi dell’islamismo radicale (la Cecenia è da decenni una fucina di terroristi islamisti). Va da sé che ciò comporta un sentimento di forte disparità, soprattutto se sino a due decenni fa si era praticamente parte di un corpo unico.

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La protesta dei cittadini ingusci è stata rivolta non a caso nei confronti dei propri organi esecutivi, rei di non averli consultati tramite referendum e accusati di cedimenti di fronte a quelle che sono considerate mire espansionistiche da parte dei ceceni.

Magas, capitale della Repubblica di Inguscezia – © Sputnik / Mikhail Voskresenskiy

Una soluzione ai qui esposti eventi si troverà molto probabilmente rispondendo al seguente interrogativo: il Cremlino autorizzerà la leadership cecena a perseguire il proprio obiettivo, rischiando quindi la crescita del malumore in altri territori considerati meno rilevanti, oppure suggerirà una soluzione di accomodamento che consentirà di quietare la situazione e nel contempo soddisfare i desiderata prevenienti da Grozny?

di Luca Bettinelli