L’Europa gioca la carta turca?

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L’Unione europea, al termine del summit di Bruxelles del 29 novembre, ha concesso al governo di Ankara 3 miliardi di euro per far fronte alla gestione dei profughi siriani. Critiche e scetticità da parte di Cipro, Grecia, Ungheria e Croazia. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: “La Turchia è uno stato chiave per la lotta al terrorismo, nel 2015 ha ospitato più di 2 milioni di rifugiati ora spetta a noi aiutarla”. Riprendono, forse, le trattative per l’adesione.

La questione dei profughi e dei migranti è passata anche dal tavolo Ue-Turchia promosso dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk nel tentativo di placare e di arginare il flusso migratorio che preme alle frontiere esterne dell’Unione.
I 28 capi di stato e di governo europei hanno infatti approvato all’unanimità – e non senza qualche perplessità – domenica 29 novembre un piano di azione che prevede un aiuto iniziale di almeno 3 miliardi di euro, che Ankara dovrà necessariamente utilizzare nella gestione dei profughi che vogliono entrare in Europa attraverso il territorio turco.

“Solo nel 2015 quasi un milione e mezzo di rifugiati ha fatto ingresso in Europa illegalmente dalla Turchia – ha spiegato, a margine del summit, il presidente Donald Tusk – La Turchia, stato chiave per la lotta al terrorismo, in questi mesi sta facendo molto e ha già accolto oltre 2 milioni di richiedenti asilo”.

Una situazione, quella discussa a Bruxelles, che vede una richiesta chiara e precisa avanzata dal Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu, che ha chiesto ai 28 leader un’accellerazione anche nelle trattative per l’adesione dello Stato del vicino Oriente all’Unione (e una liberalizzazione nelle concessioni dei visti. La faccenda è però tutt’altro che semplice, soprattutto in considerazione dei pesanti veti che il governo di Cipro pone ogni qualvolta che sul tavolo delle trattative viene discusso dell’ingresso della Turchia nell’Ue.

Ma per capire realmente quale sia la storia dell’avvicendamento turco con l’Europa, bisogna tornare indietro di almeno 56 anni, quando vi furono i primi contatti tra l’allora Comunità economica europea e il governo di Ankara.
Bisognerà aspettare il 1963 per avere il primo “accordo ufficiale di associazione” tra Cee e Turchia, mentre il 1970 per il primo vero trattato bilaterale. Riconosciuta come paese candidato all’ingresso nell’Unione nel 1999 (Consiglio europeo di Helsinki), la Turchia è stata bloccata, anche a causa dei veti e delle perplessità di Francia, Germania, Cipro e Austria, sino al 2005 quando si sono aperti ufficialmente i negoziati. Da allora il processo di adesione è in stallo.

Sempre durante il vertice di Bruxelles del 29 novembre scorso si è anche parlato, come condizione del supporto di Ankara all’emergenza migranti, della riapertura delle trattative e della discussione dei punti chiave del processo di avvicinamento all’ingresso nell’Ue.

“Bisogna trovare il modo di alleviare il peso che il fenomeno migratorio ha sulla Turchia – ha spiegato il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker – Non possiamo dare dettagli e informazioni su quanti Stati membri parteciperanno a questo progetto”.

Già. Si tratta infatti di un progetto che, come dice il famoso detto popolare, fa “i conti senza l’oste”.
Infatti non tutti gli Stati membri hanno dato il loro incondizionato assenso e la loro disponibilità a caricarsi dei 3 miliardi promessi da Bruxelles, di cui solo 500 milioni saranno a carico delle finanze europee, mentre la restante parte sarà completamente a carico dei governi nazionali.
Cipro, Croazia, Grecia e Ungheria sono gli Stati che hanno già confermato il loro probabile defilamento dalla richiesta di fondi e finanziamenti.
Ad esempio il Premier greco Alexis Tsipras ha affermato che “bisognerà controllare che la Turchia faccia tutto il necessario”, mentre il presidente della Repubblica francese François Hollande ha detto che “i fondi verranno stanziati una volta raggiunti i risultati”.
Ora la palla passa nelle mani della Commissione europea che non potrà far altro che “riprendere” i lavori nelle negoziazioni del processo di adesione, processo reso ancora più tortuoso dopo gli arresti di numerosi giornalisti, accusati di tradimento per aver raccontato una realtà diversa da quella ufficiale.

Se la libertà di espressione, uno dei valori fondanti dell’Unione europea, non viene ancora completamente garantita in Turchia, questo non può che essere un ulteriore ostacolo al suo ingresso ufficiale, impedendo ad Ankara (tra le altre cose) di diventare il 29esimo Stato membro.

di Omar Porro