Pascua Lama: una miniera d’oro per i movimenti sociali

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Di Giacomo Finzi
Come delle piccole comunità locali sono riuscite a fermare il grande progetto estrattivo cileno nella miniera di Pascua Lama. Una sfida al potere centrale e alla multinazionale Barrick Gold in difesa della biosfera e del territorio.

In tempi di crisi economica e finanziaria globale, il Cile rappresenta, per molti aspetti, un’eccezione: vive un periodo di crescita sostenuta e i livelli di occupazione sfiorano il pieno impiego. Eppure, ormai da tempo, il paese intero, da Arica a Punta Arenas, è attraversato da ondate di mobilitazioni che si scontrano con l’amministrazione centrale. Al centro della contestazione: le modalità di gestione delle numerose risorse naturali presenti sul territorio.

Uno dei casi più paradigmatici è quello del movimento sorto in opposizione a un mega-progetto della canadese Barrick Gold sul territorio settentrionale andino: la miniera d’oro di Pascua Lama. Il sito, che si trova nella valle del fiume Huasco, si sarebbe dovuto realizzare per metà sul versante cileno (Pascua) e per la restante metà sul lato argentino (Lama) della cordigliera. L’investimento iniziale, previsto nel 2001, ammontava a circa 950 milioni di dollari. Ma qualcosa va storto.

Nel 2012 infatti alcuni studi dimostrano come il costo della grande opera avesse già raggiunto la cifra di 8 miliardi di dollari (rapporto dell’Observatorio Latinoamericano de Conflictos Ambientales– pubblicato su El Ciudadano.cl 06 Agosto 2012). Nello stesso anno, l’agenzia di rating Standard & Poor rileva un elevato rischio che il progetto non venga portato a termine. La causa? I costi, sempre più proibitivi tanto che perfino un colosso minerario come Barrick Gold avrebbe difficoltà a sostenere.

Si comincia così a parlare dell’eventualità di rinunciare  all’opera. Al di là della lievitazione dei costi, sono altri i problemi che dovrebbero spingere al ripensamento la multinazionale canadese. Innanzitutto, il cantiere è teatro di diversi incidenti che provocano la morte non solo di decine di operai su ambedue i versanti, ma anche di alcuni tecnici della stessa Barrick Gold; ciò si traduce in proteste dei lavoratori e delle comunità di residenti su entrambi i fronti della cordigliera. Il sito, posizionato ad un’altitudine di circa 4500 metri sul livello del mare,  non sarebbe infatti stato dotato delle adeguate misure di sicurezza, mettendo a repentaglio la vita degli stessi operai.

Inoltre tra i disastrosi effetti del progetto rientrerebbe anche il rischio che il 70% dei ghiacciai contigui possa arretrare sensibilmente provocando un danno ambientale spaventoso. Secondo Hernan Calderon, amministratore locale della regione dell’ Alto del Carmen, “il ghiacciaio Guanaco si è ridotto da 80 metri di altezza a 28 nell’arco di dieci anni”. La realizzazione dell’opera ha inoltre fortemente aggravato l’inquinamento prodotto nell’intera regione: il danneggiamento delle falde acquifere, la contaminazione del sottosuolo a causa dell’uso di sostanze tossiche, la diffusione di PM10 nell’aria. I  primi a essere colpiti dai drammatici effetti della costruzione della miniera sono gli abitanti della regione.

Il movimento di opposizione al progetto di Pascua Lama coinvolge infatti ambedue le popolazioni (cilena e argentina) e da una iniziale dimensione locale la protesta divampa anche nei centri politici economici nazionali: Santiago e Buenos Aires.

Inizialmente i movimenti sono riusciti ad attrarre l’attenzione della politica e dell’amministrazione locale tramite le proteste sul posto, tanto che diversi dipartimenti universitari e organizzazioni non governative iniziano a condurre diverse analisi. Gli studi di impatto ambientale mettono in risalto la pericolosità che si nasconde dietro al progetto, contribuendo alla diffusione di una consapevolezza sul tema. Il dibattito così investe anche la classe politica nazionale, favorendo la nascita di alcune commissioni parlamentari. Infine interviene la magistratura: l’11 Aprile 2013 Pascua Lama, il progetto minerario più ambizioso di Barrick Gold, si ferma. I giudici della Corte d’appello di Copiapo, nel Nord del Cile, impongono la sospensione dei lavori finché non saranno verificate le «irregolarità ambientali» denunciate da quattro tribù indigene locali. A Maggio 2013, le autoritá ambientali cilene hanno imposto una sanzione di 16 milioni di dollari alla Barrick Gold; tuttavia, il pagamento dell’ammenda é stato sospeso nell’Ottobre dello stesso anno.

Il 22 Aprile 2015, la Magistratura cilena ha imposto infine una nuova sanzione pecuniaria alla societá Barrick Gold, sostanzialmente per violazione delle normative per il rispetto della flora, della vegetazione e della protezione dei ghiacciai. Anche per questo, nonostante le altalenanti sentenze della magistratura, il sentimento diffuso tra la maggioranza della popolazione é che la battaglia sia tutt’altro che vinta e che non ci si trovi di fronte a una decisione definitiva. Tuttavia, le battaglie legali promosse da organizzazioni per i diritti umani e gruppi ambientalisti, le sanzioni della Magistratura cilena, l’avvio di procedimenti legali anche a New York, Toronto e Montreal (gli azionisti della societá hanno denunciato di non aver ricevuto informazioni adeguate sulla realizzazione del progetto) e infine i risultati economici non incoraggianti della Barrick Gold negli ultimi anni, potrebbero far pensare a un ripensamento del colosso minerario. Nonostante tutto ció, Barrick Gold continua a credere fortemente nella realizzazione del progetto, soprattutto per le immense potenziali capacità di estrazione del sito: 850 mila once di oro e 35 milioni di once di argento solo nei primi cinque anni di attività.

Tuttavia è innegabile che la sospensione del progetto abbia costituito una parziale vittoria per un movimento costituito da piccole comunità locali capaci di sfidare e contrastare l’ambizioso progetto di un colosso multinazionale. Anche se il caso di Pascua Lama ha impiegato diversi anni per entrare al centro del dibattito politico nazionale, sembra che negli ultimi tempi, dal deserto di Atacama fino alla Patagonia, in Cile stiano fiorendo nuovi movimenti che contrastano apertamente le autorità centrali, colpevoli di aver ceduto buona parte delle proprie risorse pubbliche senza una valutazione adeguata del rischio ambientale che questa politica avrebbe comportato.

[toggle style=”outline” title=”Altre battaglie locali combattute in Cile” state=”closed”]

Le comunità di Freirina che contrastano l’inquinamento prodotto da un’industria per la distribuzione di carne suina di proprietà Agrosuper;

Le comunità di pescatori ‘artigianali’ di salmoni che sfidano l’oligopolio delle poche famiglie che ne hanno conquistato il mercato con le liberalizzazioni della dittatura;

I movimenti in Patagonia contro le centrali termoelettriche (le barricate che sono state elevate ad Aysen del 2012 sono diventate la norma così come in molte località minacciate da progetti idroelettrici, dove, tra l’altro, è coinvolta anche l’Enel);

I minatori del settore del rame (di cui il Cile è il primo produttore al mondo) e del litio, la cui potenzialità verrà sfruttata in futuro da parte delle case automobilistiche per produrre le auto elettriche e molte altre.

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Queste diverse contestazioni si sviluppano nelle realtà periferiche del paese e a volte in località realmente isolate, ma hanno obiettivi comuni, quali la democratizzazione dell’accesso alle numerose risorse naturali di cui dispone il Cile (ora in mano a poche famiglie). Il grado di successo dipenderà molto dalle capacità di coordinamento tra i singoli movimenti che dovranno essere capaci di costituire un unico e solido percorso di opposizione.

Non tutte queste campagne che riguardano la dimensione locale della cittadinanza hanno avuto ed avranno lo stesso grado di successo, ma talune hanno risvegliato nella società civile la passione per la politica e creato una sinergia nel tessuto sociale, quantomeno per una redistribuzione più equa delle risorse e per la difesa e la salvaguardia del territorio.