Cosa si sono detti i leader europei a Versailles

(From L) Spanish Prime Minister Mariano Rajoy, German Chancellor Angela Merkel, French President Francois Hollande and Italian premier Paolo Gentiloni deliver joint statements following an informal summit of heads of continental Europe's biggest economies focusing on the Brexit, on March 6, 2017 in Versailles. / AFP PHOTO / Martin BUREAU (Photo credit should read MARTIN BUREAU/AFP/Getty Images)
Il 5 marzo, poco prima di un importante traguardo per l’Unione europea – il suo sessantesimo compleanno – i leader di Germania, Italia, Francia e Spagna si sono riuniti a Versailles per un importante vertice sul futuro dell’Europa.

La dichiarazione conclusiva del vertice di Versailles ci consegna ufficialmente la teoria dell’Europa “a due velocità”, che già da tempo circolava tra gli accademici dell’Unione Europea. Ufficializzare questa teoria, quando ancora brucia la ferita della brexit, potrebbe comportare una battuta di arresto al processo di integrazione europea congiuntamente all’incremento della diffidenza degli Stati membri che non appartengono alla vecchia Europa – quella dei padri fondatori – e che già ultimamente si sono uniti in movimenti che concorrono alla frammentazione interna dell’Unione Europea (come i paesi facenti parte del Gruppo Visegard).

Ma cosa significa Europa a due velocità?

Dal glossario dell’Unione Europea: “è il termine usato per descrivere l’idea di un metodo d’integrazione differenziata nell’Unione europea. Esso ammette che, soprattutto a causa del numero quasi raddoppiato di membri dell’UE in meno di un decennio, possano esserci differenze insanabili fra paesi e che dovrebbe esistere il modo di risolvere tale situazione di stallo, per consentire a gruppi di paesi che desiderano perseguire un determinato obiettivo di farlo, permettendo a quelli che si oppongono di non aderirvi“.

Pertanto, il concetto di Europa a due velocità altro non è che un variazione della teoria dell’integrazione europea secondo la quale gli Stati più evoluti economicamente o politicamente decidono di procedere ad una cooperazione più avanzata.

La Reggia di Versailles, dove si è svolto il vertice – credits: Musement S.p.A

Questo concetto, se poteva funzionare quando teorizzato da Jacque Delors, oggi potrebbe non funzionare, finendo per dare l’ennesimo colpo al processo di integrazione continentale.

Quando la Commissione Delors, operativa tra il 1985 e il 1995, introdusse per la prima volta il concetto di “integrazione a geometria variabile”, lo fece con una funzione ben specifica, ovvero quella di permettere agli Stati fondatori – all’interno degli allora pochi Stati membri della Comunità Europea – di agire da volano dell’integrazione e di mettere la propria expertise a servizio delle Istituzione europee.

Ciò sembra non esser stato colto dai leader riuniti a Versailles, in particolare da Francois Hollande. Infatti, il Presidente francese nella sua dichiarazione afferma che “elles aspiraient à la paix mais l’unité de l’Europe apparaissait comme une utopie (essi [i padri fondatori, ndr], desideravano la pace, ma l’unità dell’Europa è apparsa come un’utopia).

Se da un lato si celebrano le conquiste dell’Unione europea, in particolare con riferimento alla commistione dei principi dello Stato di diritto all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, dall’altro, continua il Presidente francese “l’unité n’est pas l’uniformité (l’unità non è uniformità)” ed è per questo che è necessario sostenere una cooperazione differenziata che permetta che alcuni Stati vadano più veloci di altri (“qui fassent que quelques pays puissent aller plus vite“).

Il vertice di Versailles potrebbe rappresentare il canto del cigno dell’Unione europea anche per un’altra ragione. Ovvero quella di evidenziare ancora una volta la mancanza di dialogo e la sempre più evidente frattura tra le Istituzioni europee e gli Stati membri, fisiologicamente restii nel delegare potere all’Ente sovranazionale in favore della creazione dell’Unione politica.

Infatti, le volontà politiche emerse dal Vertice di Versailles si scontrano con quelle della Commissione Juncker recentemente diffuse nel “White Paper on the Future of Europe“.

Negli ultimi mesi vi era grande attesa intorno al Libro Bianco della Commissione Europea, infatti se ne era già parlato nell’ultimo “Stato sull’Unione” quando il Presidente Juncker aveva affermato che: “..vi ho detto che non c’è abbastanza Unione in questa Unione […] l’Europa può funzionare solo se lavoriamo tutti per l’unità e la condivisione, dimenticando le rivalità tra competenze e istituzioni. Solo così l’Europa potrà essere più della somma delle sue parti. E solo allora l’Europa potrà essere più forte e migliore di oggi. Solo allora i leader delle istituzioni dell’UE e dei governi nazionali saranno in grado di riconquistare la fiducia degli europei nel nostro progetto comune”.

Emerge del contraddittorio tra gli intenti del Libro Bianco e la direzione incanalata dei leader riuniti a Versailles. Infatti, la volontà politica della Commissione Europea si condensa in alcuni passaggi del discorso di Juncker al Parlamento di Strasburgo per la presentazione del White Paper, ovvero “è l’inizio del processo, non la fine, e spero che adesso verrà avviato un dibattito onesto e di vasta portata. Una volta definita la funzione, la forma seguirà. Il futuro dell’Europa è nelle nostre mani”.

Manifesto italiano che pubblicizza la firma dei trattati di Roma, 25 marzo 1957 – © Unione europea, 2017

Il White Paper della Commissione propone infatti diversi scenari possibili.

Tra i cinque paventati il più interessante – in relazione alla volontà delle Istituzioni europee di promuovere e sviluppare l’integrazione europea – è proprio il quinto: “Gli Stati membri decidono di condividere in misura maggiore poteri, risorse e processi decisionali in tutti gli ambiti. Le decisioni di livello europeo vengono concordate più velocemente e applicate rapidamente”.

In estrema sintesi, la Commissione Juncker con il punto cinque ritiene fondamentale che l’Unione Europea e i suoi Stati membri continuino a trovare terreni di dialogo comuni attraverso i quali superare la strada dell’isolamento che possa in primo luogo portare ad un’Unione di difesa e ad una politica estera condivisa.

È chiaro che un’Unione di difesa e di politica estera potrà aversi solo laddove gli Stati membri decidano di delegare all’Ue altri ambiti della propria sovranità. Tema su cui, cautamente, la Commissione Europea non si è espressa, ma per la quale sarà inevitabile esprimersi nell’ambito del Vertice di Roma che si svolgerà il prossimo 25 Marzo.

D’altra parte, avendo una vasta platea di governi con potere di veto, non è sempre possibile poter trovare accordi su cui vi sia un univoco consenso. Per questo motivo alcuni sostengono che – stanti le cose, e vista la reticenza di alcuni paesi a partecipare al processo di integrazione – un’Europa a più velocità potrebbe giovare all’integrazione europea.

[tabs labels=”Gli argomenti di chi è a favore,Gli argomenti di chi è contrario”]
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  • permettere agli Stati proattivi ( in particolare Germania e Francia) di giungere effettivamente ad uno step dell’integrazione europea facendo così da motore di traino agli Stati reticenti;
  • le differenze tra gli Stati membri sono evidenti ed è necessario permettere agli Stati più evoluti istituzionalmente, economicamente e politicamente di procedere nel cammino verso l’integrazione;
  • l’Europa a due velocità altro non rispecchia che la realtà attuale; sarebbe pertanto una mera formalizzazione.

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  • implementa le divisioni tra gli Stati membri;
  • lede fortemente al concetto di unità europea, bloccando l’integrazione verso gli Stati Uniti d’Europa;
  • aggrava ulteriormente il già macchinoso e iperburocraticizzato processo decisionale europeo.

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A poche settimane di distanza emerge come ancora una volta le Istituzioni europee e gli Stati membri non condividano le medesime volontà politiche sul processo di integrazione europea.

I leader degli Stati membri riunitesi a Versailles immaginano un’Europa a due velocità, più vicina al terzo scenario previsto dalla Commissione Juncker: “Chi vuole di più fa di più – L’UE a 27 continua secondo la linea attuale, ma consente agli Stati membri che lo desiderano di fare di più assieme in ambiti specifici”).

Altri, invece, immaginano un’Europa coesa senza fratture interne, pronta a rinnovare i Trattati e ad entrare in una nuova fase dell’integrazione europea priva di frammentazione interna e di disuguaglianze formali e sostanziali tra gli Stati membri, provando così a rispolverare i sogni dei padri fondatori nel ricordo dell’affermazione di Robert Schuman “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“.

di Ilaria Rudisi