Agenda 2030: assicurare un lavoro dignitoso

L’ottavo Goal dell’Agenda 2030 ha come obiettivo sostenere la crescita economica, incentivare la piena occupazione e assicurare un lavoro dignitoso.


Uno sguardo agli sforzi di codificazione internazionale

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) è stata istituita nel 1919 nell’ambito del Trattato di Versailles, per affermare che una pace duratura ed universale è possibile solo se realizzata sulla base della giustizia sociale. La Costituzione fu redatta dalla “Labour Commission”, istituita dalla Conferenza di Pace di Parigi e composta dai rappresentanti di nove Stati: Belgio, Cuba, Cecoslovacchia, Francia, Italia, Giappone, Polonia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America. In quanto Paese fondatore, l’Italia ha fin da subito condiviso gli obiettivi fondamentali dell’OIL, quali il riconoscimento a livello internazionale dei diritti umani e del lavoro, la promozione della giustizia sociale e dell’opportunità per donne e uomini di ottenere un lavoro dignitoso e produttivo, in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità.

Non di meno, come spesso è accaduto, a questo sforzi di codificazione internazionale non è corrisposto un effettivo ed uniforme innalzamento della qualità del lavoro.

Los Angeles, California 2018. Impiegati nel settore della ristorazione partecipano a una protesta nazionale per l’aumento dei salari e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Credit to: Lucy Nicholson/Reuters

Oltre 50 anni fa, sul New York Times, il premio Nobel per l’economia Friedman pubblicava un articolo dal titolo “La responsabilità sociale delle imprese è aumentare i profitti”. Secondo la riflessione dello studioso, le aziende hanno come obiettivo quello di fare, nel rispetto delle leggi e delle regole (quindi anche quelle ambientali e lavoristiche), quanti più profitti possibili. E’ poi compito dello stato, che ha un ruolo politico, occuparsi attraverso le imposte pagate dalle imprese di problemi sociali dopo un processo democratico. Oppure dei singoli, che usano i loro soldi per le iniziative sociali o di beneficenza che ritengono più meritevoli.

Il lavoro oggi, nella nuova concezione di impresa

Oggi, ovviamente, il modo in cui l’impresa è concepita, così come le aspettative che la società ha nei confronti del settore produttivo, sono cambiati. Ce lo dimostra l’uso sempre più diffuso della nozione di Corporate Social Responsibility, definita nel 2001 dalla Comunità Europea come «l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate».

Questo ruolo fondamentale delle imprese per il progresso sociale, che si manifesta in un potere di influenza prima ancora che in una responsabilità, finalmente riconosciuto dalle autorità nazionali, europee e internazionali, ha consentito lo sviluppo di numerosi casi virtuosi, che chi volesse approfondire può consultare questo link.

L’Unione europea, in quanto ‘economia sociale di mercato’ ha da sempre cercato di bilanciare esigenze di crescita economica a istanze legate ai diritti sociali, quali appunto quelli legati al lavoro.

Leggi anche: La difesa dei principi fondamentali dell’Unione europea

Un esempio interessante di questo modello, il cui successo è comunque messo fortemente in discussione tanto dagli studiosi quanto dagli osservatori non tecnici, è il sistema chiamato Generalized Scheme of Preferences. Esso si fonda sull’assunto che l’Unione europea abbatta i propri dazi in entrata per le merci provenienti da paesi in via di sviluppo che ratifichino e inizino ad implementare 27 diverse convenzioni internazionali relative a diritti umani, diritti dei lavoratori, protezione ambientale e buon governo. Nuovamente, però, ci si trova dinnanzi al divario tra gli impegni ratificati tramite le convenzioni sopra dette e la realtà quotidiana del mondo lavorativo, che spesso conosce condizioni lontane dalla soglia della dignità, nei paesi in via di sviluppo e anche nei paesi occidentali.

Leggi anche: Da immigrati a schiavi: l’agromafia in Italia

Proprio per cercare di andare ad individuare le molte implicazioni del lavoro e della crescita economica, il goal 8 dell’Agenda 2030 si articola in 10 target, che riflettono la sua complessità e le molte sfaccettature che può assumere il suo contenuto.

Sostenere la crescita economica pro capite e in particolare una crescita annua almeno del 7% del prodotto interno lordo nei paesi in via di sviluppo

Il primo di questi target si prefigge l’obiettivo di aumentare la crescita economica pro capite in accordo con la situazione del Paese e, in particolare, accrescere almeno del 7 percento il prodotto interno lordo nei Paesi meno sviluppati. Ciascuna impresa può impegnarsi per favorire il raggiungimento di questo obiettivo innanzitutto crescendo e sviluppandosi, provvedendo a pagare regolarmente le tasse, favorendo lo spillover, ed i mercati inclusivi, creando per quanto possibile occupazione nella supply chain, soprattutto tra i lavoratori  marginalizzati.

L’Agenda fa riferimento, come indicatore per la crescita economica collegata al maggior benessere, al PIL, uno strumento che non trova d’accordo tutti gli esperti, ma che ha il pregio di essere universalmente conosciuto, anche se altri e più appropriati indicatori di benessere si stanno facendo strada.

Raggiungere standard più alti di produttività economica attraverso la diversificazione, il progresso tecnologico e l’innovazione,

Il secondo target si occupa di prevedere un innalzamento dei livelli di produttività attraverso la diversificazione, lo sviluppo della tecnologia e l’innovazione, anche attraverso un focus sulle professioni ad alto valore aggiunto e settori ad alto impiego di manodopera. Un’impresa potrebbe, per impegnarsi in questo campo, investire nell’innovazione tecnologica e magari collaborare con una start-up, cercare soluzioni al negativo impatto sull’impiego di un’elevata automazione tramite uno studio interno specifico e favorire la libera scelta dei percorsi di studio e lavoro dei propri dipendenti e dei loro figli organizzando o promuovendo la partecipazione a corsi di orientamento.

Promuovere politiche orientate allo sviluppo, che sostengano le attività produttive, l’imprenditoria, la creazione di posti di lavoro dignitosi, la creatività e l’innovazione

Nel terzo target si parla di promozione di politiche orientate a supportare le attività innovative o creatrici di lavoro, oltre che incoraggiare lo sviluppo della micro, piccola e media impresa. Nel panorama imprenditoriale italiano, questo si può realizzare intraprendendo il dialogo con le forze politiche, cercando nel modo più proficuo i finanziamenti per lo sviluppo, combattendo la criminalità che spesso si appropria di quei finanziamenti e diffondendo il proprio know how.

Migliorare entro il 2030, l’efficienza globale nel consumo e nella produzione di risorse e tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale

Nel quarto target ci si occupa di migliorare progressivamente l’efficienza delle risorse energetiche nel consumo e nella produzione e impegnarsi a separare la crescita economica dal degrado ambientale. Questo si può fare promuovendo all’interno dell’impresa politiche di economia circolare, ponendo particolare attenzione al proprio impatto ambientale, sviluppando piani di sostenibilità e mediante l’informazione diretta ai propri acquirenti tramite incontri o eventi a tema organizzati magari in cooperazione con altre imprese.

Leggi anche: Agenda 2030: assicurare l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili e  sostenibili

Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e un lavoro dignitoso per tutti

Il quinto target si propone di ottenere il pieno produttivo impiego, oltre ad un lavoro dignitoso ed equamente retribuito per tutti, comprese le categorie di minoranza o quelle attualmente discriminate. Questo target si può raggiungere ad esempio adottando al proprio interno politiche di parità salariale e assumendo persone appartenenti alle categorie protette anche ove non obbligatorio, adottando politiche interne di whistleblowing in ordine ai reati sessuali, violenti e di discriminazione o facendosi promotori di buone pratiche circa diritti umani oltre che prestando particolare attenzione alla provenienza di ciò che si acquista, evitando prodotti di aree ove dilagano il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori.

Ridurre entro il 2030 la disoccupazione giovanile e la dispersione scolastica, e  eradicare il lavoro forzato.

Il sesto target si occupa dei giovani: l’obiettivo è quello di ridurre, entro il 2030 il numero di giovani che non lavorano, né studiano e per raggiungerlo l’impresa può favorire l’assunzione al suo interno di giovani anche senza esperienza occupandosi della loro formazione lavorativa, oltre che rendersi disponibile ad accogliere i percorsi di alternanza scuola-lavoro. Il settimo target si propone di eradicare il lavoro forzato, la schiavitù ed il traffico di esseri umani, oltre al lavoro minorile, compreso lo sfruttamento dei bambini soldato.

Leggi anche: L’amoralità del Kalashnikov. L’immoralità del bambino

Questo obiettivo si raggiunge eliminando qualsiasi forma di lavoro non regolare, ponendo attenzione alla provenienza di merci e materie prime e attivandosi in caso di evidenza di violazioni dei diritti umani. Inoltre, si può porre attenzione all’assunzione di persone che potrebbero essere state vittime di traffico di esseri umani e che spesso accettano qualsiasi condizione lavorativa pur di avere le risorse per vivere. Se le condizioni economiche o normative rendono troppo difficoltoso assumere collaboratori che non siano “in nero”, l’unica soluzione possibile è quella di combattere questa situazione a monte, non cercare di aggirare la legge.

Concepire e implementare entro il 2030 politiche per favorire un turismo sostenibile che crei lavoro e promuova cultura e prodotti locali

Il nono target si occupa del turismo sostenibile e rispettoso delle culture locali. Spesso il lavoro creato dal turismo è esclusivamente stagionale e sottopagato, inoltre il turismo di massa sta causando lo spopolamento dei centri storici delle nostre città, soprattutto quelle in cui si concentra il passaggio, e sviando l’attenzione da quelle che invece non vengono incluse nei principali itinerari turistici.

I dati registrati prima della pandemia di Covid-19 stimavano che la città di Venezia avrebbe ospitato 38 milioni di turisti all’anno entro il 2025. Credit to: Venezia Autentica/Sebastian Fagarazzi

L’imprenditore che non lavori strettamente nel settore turistico può favorire il turismo di prossimità mediante l’informazione, può formare associazioni per il ripopolamento dei centri storici proponendo di aprire succursali per fornire servizi al cittadino e non esclusivamente al turista. Inoltre può coordinare la pianificazione delle ferie dei propri dipendenti e collaboratori in modo che non siano tutti in ferie nello stesso periodo, garantendo continuità nel servizio e scoraggiando il turismo di massa che spesso lascia una scia di degrado nei luoghi ove si concentra e non è quasi mai fonte di arricchimento culturale né di vero riposo della mente.

Favorire l’accesso ai servizi bancari, assicurativi e finanziari

Infine, il decimo target si propone di rafforzare la capacità degli istituti finanziari domestici ed incoraggiare la possibilità di accesso a questi servizi da parte di tutti. Per questo target l’imprenditore può facilitare l’accesso dei propri dipendenti e collaboratori ad istituti assicurativi e finanziari mediante convenzioni, prediligendo magari servizi finanziari indipendenti e scoraggiando le pratiche di eccessivo indebitamento.

Questo goal è impegnativo, ma decisamente ricco di spunti, sta al singolo individuare quali sono i target dove è possibile impegnarsi sin da subito e stabilire obiettivi concreti e misurabili per raggiungere i risultati che l’Agenda 2030 si prefigge.


Proponiamo di seguito un questionario che aiuti a verificare l’impegno di ciascuno nel raggiungimento di questo ottavo goal dell’Agenda 2030:

  1. Conosco i sistemi di misurazione del benessere diversi dal PIL?
  2. Sono certo che le materie prime o la merce da me acquistata non provenga da zone in cui i lavoratori vengono sfruttati?
  3. Pianifico le ferie di dipendenti e collaboratori in modo che non siano tutti in vacanza nello stesso periodo?
  4. Conosco i servizi finanziari domestici della mia area?
  5. Promuovo politiche di economia circolare nella  mia impresa?
  6. Ho mai valutato una politica di Diversity Management rivolta alle donne, ai giovani e ai gruppi svantaggiati al fine di garantire pari opportunità di sviluppo e di carriera a tutta la forza lavoro?
  7. Esiste nel mio posto di lavoro una cultura di rispetto e valorizzazione delle risorse umane? Le persone che lavorano nelle risorse umane sono formate su questo aspetto?
  8. Ho mai riflettuto sulle opportunità derivanti dall’internazionalizzazione d’impresa tanto in termini di crescita aziendale quanto in termini di promozione dei diritti fondamentali?
  9. Prendo in considerazione partnership pubblico-private con ONG, Università, settore pubblico ed altre imprese per promuovere uno sviluppo sostenibile delle economie locali?
  10. Investo in ricerca e innovazione dei processi aziendali per renderli sempre più sostenibili per l’ambiente e le persone toccate dalla mia attività?
Di: Isabella Querci, Elisa Traverso