Da immigrati a schiavi: l’agromafia in Italia

African migrant workers harvest tomatoes in farmlands in Puglia. Analysts said the risk of labour exploitation is likely to worsen in Italy over the next year, with agriculture a key sector of concern. Photograph: ROPI/Alamy

La presenza della criminalità organizzata nel comparto agricolo italiano è nota con il nome di Agromafia. L’80 % dei lavoratori impiegati nel settore agroalimentare (il più colpito da sfruttamenti, illeciti, e violenza) è costituito da profughi che troppo spesso diventano schiavi.


Pare che la schiavitù sia stata abolita secoli fa, eppure statistiche recenti sostengono il contrario. In Europa si registrano oltre un milione di persone che vivono in condizioni di schiavitù, vittime del traffico di esseri umani, di abusi sessuali e costrette ai lavori forzati. L’Italia, insieme a Bulgaria, Cipro, Grecia e Romania, è uno dei paesi europei dove le cifre relative al moderno lavoro forzato sono molto significative.

Il rapporto “Modern Slavery Index 2017“, redatto dal British Study Centre Verisk Maplecroft, mette in evidenza la stretta relazione che intercorre tra la presenza di profughi sulle coste europee e il crescente problema della schiavitù, con particolare riferimento ai paesi di primo approdo. La condizione di vulnerabilità in cui versano i migranti entrati illegalmente in Europa, spesso li spinge tra le braccia di uomini senza scrupoli che li adescano con la promessa di permessi e soldi facili e li inseriscono nel circuito della criminalità organizzata. Dopo aver affrontato un pericoloso viaggio in mare, li attende un soggiorno in centri d’accoglienza precari e un difficile percorso d’integrazione nel paese ospitante. Per alcuni di loro il “Benvenuto Europeo” consiste in lavori forzati, sottopagati, e spesso maltrattamenti.

Da immigrati a schiavi

In Italia i migranti sono vittime di un business noto come “Agromafia” (termine che sta a indicare le attività mafiose nel settore agricolo) che, nel 2013, ha fatturato circa 14 miliardi di euro. Il sindacato italiano FLAI-CGIL è incaricato di supervisionare e proteggere i diritti dei lavoratori del settore agricolo. Il Professore Jean René Bilongo, responsabile del coordinamento immigrati del FLAI-CGIL, intervistato da Words in the Bucket, ha dichiarato: “I profughi che lavorano nell’agricoltura sono spesso vittima di sfruttamento”, e ciò non riguarda solo il Sud Italia. La schiavitù inizia prima del loro arrivo. La criminalità organizzata, attraverso intermediari locali in Africa e Medio Oriente, fissa il prezzo del viaggio in migliaia di euro, obbligando i migranti a lavorare e a vivere in condizioni spaventose. Oltre ad essere costretti ai lavori forzati per ripagare il debito, subiscono la minaccia di essere denunciati alla polizia con il conseguente rimpatrio forzato.

Agromafia

Il grande mercato agroalimentare italiano, in cui l’80% dei lavoratori è costitutito da profughi, è il più colpito da sfruttamenti, illeciti e violenza. Secondo il Rapporto “Caporalato e Agromafie” a cura di FLAI-CGIL, 400.000 persone lavorano in condizioni di semi-schiavitù e 700.000 nel mercato illegale del settore agricolo nazionale. Invitato a definire cosa si intenda per “condizioni di schiavitù” , il Professor Bilongo ha spiegato che si tratta letteralmente di “vivere e lavorare come schiavi: giornate lavorative estenuanti, salari inesistenti, sistemazioni inadeguate, solitudine forzata e violenza”. Ovvero le condizioni di vita dei migranti nell’agricoltura. Il pubblico ministero di Foggia Vincenzo Russo ha sostenuto, sul Fatto Quotidiano, che la domanda di lavoro è enorme, ma l’elevata tassazione, il costo del lavoro e la crisi economica in Italia, spingono molti a scegliere l’illegalità. La schiavitù è presente in tutto il paese, dalle piantagioni di pomodori e olive al Sud ai vigneti delle migliori case produttrici di vino al Nord. Non è tuttavia possibile realizzare su base nazionale una mappa dettagliata del fenomeno, in quanto presente in maniera “sistemica e mutevole”. Il Professor Bilongo sostiene che lo sfruttamento dei lavoratori rappresenti “un’emergenza” e evidenzia come la criminalità organizzata sia “pienamente coinvolta nel sistema del caporalato e dello sfruttamento”.

Vista aerea di un campo di pomodori in Sicilia dove sono impiegati illegalmente Immigrati clandestini. 2015, Credits to [Al Jazeera]

Anche il silenzio è criminale  

L’Espresso ha pubblicato un’inchiesta nel Settembre 2017 dal titolo: “Chiedevamo protezione, ora siamo schiavi”, che racconta una giornata tipo tra i migranti ospiti di un centro d’accoglienza in Sicilia. I Centri d’Accoglienza Straordinari (Cas) sono strutture private riadattate per la prima accoglienza dei migranti. Gli abusi rappresentano la quotidianità, recentemente le forze dell’ordine hanno arrestato due persone a Taranto con l’accusa di sfruttamento del lavoro. Il Professor Bilongo spiega come “35 lavoratori rumeni vengano pagati 1,50 euro all’ora per 17 ore al giorno e senza giorno di riposo”, al chiuso in stanze prive dell’accesso ai servizi igienici, con la certezza di essere picchiati in caso di lamentele.

L’Espresso ha spiegato come la burocrazia e l’impunità per i crimini commessi nei Cas stiano alimentando la diffusione del sistema criminale noto come “caporalato”, una forma illegale di reclutamento svolto da intermediari che ricevono tangenti. È un’intricata ragnatela fatta di sistemi criminali, assenza dello Stato, omertà, corruzione e complicità delle autorità locali.

Il ruolo della legge

A partire dal 2016 in materia di agromafia e caporalato il Parlamento italiano ha introdotto un quadro giuridico che aggiunge nuovi reati, e sanzioni all’interno del codice penale. Il cambiamento legislativo sembra avere un impatto positivo: le nuove operazioni condotte dalle forze dell’ordine, incentivano i lavoratori sfruttati a denunciare la loro condizione alle autorità. Il Professor Bilongo sostiene che “E’ diventato molto comune – quasi un fatto quotidiano – leggere sui giornali di persone arrestate per lo sfruttamento dei lavoratori, pare quindi che la strategia di reprimere e punire stia dando risultati”. La legge è comunque solo un primo passo per eradicare il problema. È fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica, in modo tale che ognuno diventi consapevole del ruolo che svolge nella creazione di una società più equa e giusta. La schiavitù e lo sfruttamento odierni cancellano i progressi che la protezione dei diritti dell’uomo ha fatto in tutto il mondo e ci ricordano le profonde contraddizioni presenti nelle società moderne.


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Di Stefania Mascolo, Traduzione di Alister Ambrosino