Agenda 2030: eliminare la fame

Il secondo obiettivo dell’Agenda 2030 si prefigge di porre fine alla fame nel mondo, raggiungere la sicurezza alimentare, promuovere un’agricoltura sostenibile e migliorare la nutrizione.


Vorremmo aprire questo spazio di conversazione con un’ammissione relativa a un limite: trattare in maniera esaustiva il tema della fame nel mondo è impossibile in questa sede per evidenti motivi, né noi abbiamo l’ardire di proporre le riflessioni che seguiranno quali trattato su questo argomento iper-complesso.

Chi può agire per migliorare la situazione?

Jean Ziegler, ex-relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, ritiene che la tragica condizione in cui vive circa un nono della popolazione mondiale non sia una fatalità emergente dal casuale e inarrestabile interagire dell’umana moltitudine, ma la conseguenza di un «crimine organizzato», uno «sterminio di massa dei più poveri» prodotto da un sistema economico globale di cui sarebbero noti i meccanismi e i principali beneficiari. (Destruction massive. Géopolitique de la faim, Parigi, 2012)

Se le statistiche ufficiali non mentono, il numero degli affamati nel mondo non è significativamente diminuito rispetto agli anni Settanta del secolo scorso, nonostante l’intervenuta Dichiarazione universale per l’eliminazione definitiva della fame e della malnutrizione nel 1974. Come sappiamo, ad ogni buon conto, ogni calcolo statistico del tenore di quello sopra riportato è suscettibile di creare scenari anche molto diversi tra loro, a seconda del metodo di calcolo e di stima dei dati adottato dagli addetti alla ricerca. Questa precisazione si rende doverosa anche e soprattutto a fronte di statistiche che, alle volte, paiono indirizzare chi desidera informarsi in direzioni quasi opposte, pur esse essendo tutte formalmente corrette.

Le organizzazioni che hanno tra i propri obiettivi statutari il presidio della sicurezza alimentare, quali l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura FAO, il Programma alimentare mondiale (PAM) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (FIDA), sono sprovviste del potere di adottare decisioni vincolanti, così come la Dichiarazione non è un documento di natura obbligatoria per gli stati. La rinuncia da parte della comunità internazionale ad un diritto alla sicurezza alimentare pareva quindi propizia a un indefinito perpetuarsi della medesima oscillazione tra chi mangia troppo e chi mangia troppo poco.

Ad occupare il vuoto lasciato dalle istituzioni internazionali, secondo un famoso discorso di Reagan, devono essere “imprenditori, commercianti, e manager – sono loro il cuore e l’anima dello sviluppo. Bisogna avere fede in loro. Quando questi sono liberi di creare e costruire, ogni volta che possono contribuire personalmente nel decidere le politiche di distribuzione, e possono beneficiarne, allora le società divengono davvero dinamiche, prospere, innovative e libere” (traduzione libera ad opera delle autrici).

Come affrontare quindi, nella vita di tutti i giorni, un problema apparentemente insormontabile? Come affrancarsi da un sistema che affama e ingozza al contempo? Come farsi motore dello sviluppo così come auspicato da Reagan?

Food safety e food security

L’Agenda 2030, nel proporre il raggiungimento del traguardo zero hunger, pone l’attenzione su diversi target in cui “scomporre” questo obiettivo ed affrontarlo da diversi punti di vista. Il problema della fame, infatti, non può essere ridotto alla mera assenza di cibo. È una questione che ha a che fare con la possibilità di avere a disposizione gli alimenti necessari per vivere e che questi alimenti, oltre a non provocare danni all’organismo di chi li assume, assicurino un corretto apporto nutritivo.

Il tema è quindi legato a doppio filo anche con la possibilità di poter produrre il cibo di cui si necessita, di poterlo produrre in autonomia e nel luogo in cui serve, per non dover essere schiavi dell’importazione e di un mercato che, al giorno d’oggi, è spesso nemico del produttore. Inoltre, il cibo deve poter essere prodotto in modo sostenibile, ossia non si devono consumare risorse in quantità eccedente rispetto al necessario, per poter garantire alle generazioni future la possibilità di poter produrre a loro volta gli alimenti di cui avranno bisogno.

Cultura e alimentazione

Un argomento ulteriore è quello relativo alla questione culturale, ossia è necessario evitare di imporre ad una popolazione un tipo di alimentazione che le è estranea e al contempo fare in modo che vengano introdotte, ove carenti, tutte quelle sostanze nutritive essenziali che troppo spesso sono escluse dalla dieta di persone che vivono in povertà e che hanno a disposizione quasi esclusivamente una monocoltura. Il problema delle monocolture, peraltro, si interseca con la questione della tutela della biodiversità e con quella della libera proprietà delle sementi e si scontra violentemente con la sempre maggiore diffusione, più o meno lecita, degli OGM. Questi ultimi argomenti esulano dall’odierna trattazione, ma sono ad essa collaterali e tutt’altro che insignificanti, per cui devono quantomeno essere citati in questa sede.

Cibo o energia?

Un’altra riflessione che vogliamo porre, anche se in modo marginale in questa sede, riguarda il fatto che il cibo di origine vegetale non è sempre cibo solo per l’uomo e che spesso l’uomo considera quel vegetale non come nutrimento ma come fonte di energia vendibile. Non bisogna sottovalutare la competizione esistente tra la necessità di nutrire ingenti quantità di capi di bestiame e quella di nutrire intere popolazioni che di fatto di quel bestiame non si nutriranno, oltre all’annosa questione della competizione tra il feedstock necessario per produrre energie sostenibili e le derrate alimentari.

Lo spreco alimentare

Da ultimo, si pensi allo spreco alimentare. Dal produttore al consumatore, la quantità di alimenti che in un anno viene semplicemente gettata via corrisponde a circa un terzo della produzione e lo spreco avviene in tutte le parti della filiera, fino ad arrivare ai nostri frigoriferi, dove si annidano prodotti scaduti o avanzi di pasti abbondanti che cadono nel dimenticatoio.

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Quanto detto sinora, deve poi essere rapportato alla previsione di aumento della popolazione mondiale, per la cui nutrizione sarà necessaria una maggiore quantità di cibo (il che comprende ovviamente anche la riduzione dello spreco alimentare). Come sempre, guardare un grande ostacolo nel suo insieme può solo essere fonte di sconforto, meglio quindi vedere se vi sono asperità cui aggrapparsi per giungere alla vetta ed infine passare oltre.

Di: Isabella Querci, Elisa Traverso