Agenda 2030: promuovere pace, giustizia e istituzioni stabili

L’Agenda 2030 riconosce che uno sviluppo realmente sostenibile possa essere perseguito esclusivamente da società pacifiche e inclusive assicurate da istituzioni stabili capaci di promuovere la giustizia.


Il Goal relativo alla promozione della pace, della giustizia e di istituzioni stabili, ci permette di proporre una riflessione che sia, secondo la consueta dinamica dell’imbuto, attinta dal panorama internazionale e che, al contempo, inerisca un aspetto o un settore su cui ciascuno può, nel suo piccolo, dare un contributo.

Abbiamo scelto due esempi: il poco noto Kimberly Process, ovvero un processo di certificazione dei diamanti, e la vicenda che sta dietro il progetto Fair Phone. La scelta è ricaduta su queste due storie nel tentativo di unire i punti della grande e ingiusta confusione globale, che può portare a forme di de-responsabilizzazione. Pensare che ‘spetti alle istituzioni diffondere e preservare la pace e la giustizia’ è sicuramente corretto, tuttavia le sole istituzioni non sono sufficienti a raggiungere l’ambizioso 16 Goal.

Ciascuno di noi, con le sue scelte e le sue azioni, può influenzare insieme ad altri la direzione, più o meno pacifica e più o meno giusta, a livello globale. Si può dire infatti che le istituzioni divengono stabili dove esiste un diffuso sentimento di giustizia e pace tra gli ‘utenti’ delle istituzioni, ovvero i cittadini, persone fisiche e non.

Come recita la Costituzione italiana, nel suo incipit, la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e limiti della Costituzione. Le istituzioni sono mere mandatarie delle persone, che devono gestire ciò che in svariati milioni sarebbe eccessivamente lungo e complesso gestire. Deve essere il popolo sovrano tuttavia a indicare la strada da percorrere alle istituzioni, da un lato, e a legittimarne l’operato, rendendole, quindi, stabili.

Kimberly process

Partiamo quindi dal Kimberly process. Nell’ambito della politica commerciale internazionale, rientra la lotta contro i cd diamanti insanguinati, ovvero diamanti grezzi provenienti per la maggior parte dal continente africano, la cui vendita contribuisce al finanziamento di movimenti ribelli, all’acquisto di armi e provoca lo scoppio di guerre civili sanguinarie. Inoltre, la ricerca e l’estrazione di questi diamanti avviene spesso in condizioni di lavoro disumane per i minatori, tra cui spesso rientrano anche bambini e minori in generale.

Il processo di Kimberley, iniziato nel 2000 nella città da cui prende il nome, in Sud Africa, e conclusosi nel 2002 a Interlaken, in Svizzera, comporta l’adozione di un sistema internazionale di certificazione per i diamanti grezzi estratti e commercializzati legalmente. Dal 1 gennaio del 2003, data in cui è entrato in vigore il sistema, le partite di diamanti grezzi devono essere accompagnate da un certificato non falsificabile che attesti che esse non contengano diamanti insanguinati. Solo i paesi membri del Kimberly process possono commerciare queste partite di diamanti, di modo che gli Stati che non aderiscono a questo sistema vengano esclusi dal loro commercio.

Il Processo di Kimberley ha una struttura tripartita: è formato da una coalizione di governi, dall’industria diamantifera e dalla società civile, a dimostrazione del fatto che per beneficiare di istituzioni solide, queste ultime necessitano del supporto tanto del mondo produttivo (industrie, aziende, rappresentanti del business sector, etc) quanto di tutti i cittadini. Ad oggi, i partecipanti al Kimberly process sono 54, tra cui l’Unione Europea. In totale, collaborano a questo sistema 81 Paesi responsabili per il 99% della produzione e del commercio mondiale di diamanti.

Il progetto Fair Phone

Per affrontare invece la storia di Fair Phone è necessario fare un passo indietro. Le straordinarie ricchezze del sottosuolo del Congo si sono trasformate in una lunga storia di sfruttamento e di violenza; uno dei casi più recenti di questo pluri secolare sfruttamento è dato dall’estrazione mineraria della columbo-tantalite, una lega di metalli che viene utilizzata per la realizzazione delle batterie di strumenti elettronici, dai cellulari ai navigatori.

La diffusione di questi strumenti ha determinato un incredibile aumento di valore di questo minerale, presente soprattutto nella zona del Nord Kivu in Congo e facilmente reperibile poco sotto la superficie del terreno. La larga disponibilità di coltan (il Congo detiene tra il 60 e l’80% delle intere riserve mondiali) ha sollecitato lo sfruttamento indiscriminato delle risorse da parte delle grandi compagnie internazionali ma ha anche favorito l’inserimento di diversi gruppi armati nel controllo dei processi estrazione di questo materiale, i cui proventi vengono utilizzati per alimentare gli scontri per il controllo del territorio.

Complice il diffuso stato di povertà e di disoccupazione della popolazione congolese, negli impianti minerari all’interno della foresta vengono sfruttati donne, giovani e bambini, costretti a estrarre il minerale con mezzi rudimentali per paghe bassissime (anche 10 centesimi al giorno, a fronte del valore di vendita sul mercato di circa 600 dollari al kg del Coltan), prima della successiva esportazione verso i luoghi di produzione degli apparecchi finiti. Il problema del Coltan è quindi strettamente legato alle modalità di sfruttamento delle risorse congolesi e al ciclo di violenza che il paese ha attraversato in questi ultimi decenni.

 

E’ proprio su questo aspetto che interviene il progetto Fair Phone, che offre uno smartphone ecosostenibile, dimostrando le infinite possibilità che esistono per creare un futuro più equo, per tutti. Fairphone contribuisce ad aumentare il livello di consapevolezza tra le persone e i loro prodotti, facendo in modo che ci si interroghi sul reale significato del termine “equo-solidale”.

Che deduzioni si possono trarre da queste due diverse seppur in qualche modo affini vicende? Sicuramente che la filiera produttiva è estremamente importante, e che il collocarci alla estremità finale di essa non giustifica la scelta di essere ciechi nei confronti di ciò che avviene a monte del gesto di acquisto.

E’ quindi evidente che il sedicesimo goal dell’Agenda è decisamente ampio per quanto riguarda i contenuti e presenta molteplici correlazioni con gli altri obiettivi già trattati, poiché il raggiungimento di una società pacifica, inclusiva, con un equo accesso alla giustizia e con istituzioni efficaci e responsabili necessita di contributi da tutti i settori.

L’Agenda, come sempre, offre gli strumenti per rendere questo obiettivo ideale un po’ più concreto e lo fa, questa volta, con dieci target, che ci apprestiamo ad analizzare.

Ridurre la violenza in tutte le sue forme

Il primo target si propone di ridurre significativamente le forme di violenza ed il tasso di mortalità ad esse correlato. Si trovano online diverse statistiche in relazione a questo argomento e la situazione presenta una dicotomia nel nostro Paese: mentre i crimini violenti in generale sono in diminuzione, le chiamate delle donne ai centri antiviolenza sono in aumento.

Le forme di criminalità evolvono con il tempo ed in base ai cambiamenti sociali e quindi il quadro che si prospetta è mutevole. Certamente un primo passo per raggiungere l’obiettivo della riduzione della violenza è quello di eliminare il più possibile le situazioni di discriminazione e di disuguaglianza da cui questa scaturisce, per cui un’impresa dovrebbe porre alla base del suo codice etico il principio “do not harm” e favorire le pratiche di whistleblowing, in modo che eventuali casi di violenza anche solo larvata possano emergere al più presto ed essere eradicate. Può essere interessante, nell’ambito dell’organizzazione aziendale, procedere ad un vero e proprio risk assessment in materia di violenza.

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Proteggere i bambini da abuso, sfruttamento e traffico

Il secondo target si occupa specificamente di bambini e ci guida verso la fine di qualsiasi forma di violenza nei loro confronti compreso l’abuso, lo sfruttamento ed il traffico. In questo caso, il primo suggerimento che ci sentiamo di fornire è quello di controllare minuziosamente la provenienza delle merci acquistate, dalle materie da lavorazione fino alla cancelleria, per fare in modo che non provengano da zone in cui dilaga lo sfruttamento del lavoro minorile oppure per approvvigionarsi in modo specifico da associazioni o aziende che tutelano i bambini. Inoltre, garantire un equo compenso ai genitori, è un primo passo per fare in modo che i loro figli crescano senza dover lasciare o trascurare la scuola per dedicarsi a precoci attività lavorative.

Promuovere lo stato di diritto

Il terzo target si propone di promuovere lo stato di diritto a livello nazionale ed internazionale e garantire un pari accesso alla giustizia per tutti. L’Agenda propone una duplice attività per onorare questo target: “rispettare” lo stato di diritto e “supportare” lo stato di diritto. I due termini non sono sinonimi perché nel primo caso si intende il rispetto delle leggi e dei regolamenti, mentre nel secondo un vero e proprio sforzo per andare oltre il rispetto e farsi portatori di innovazioni virtuose.

Gli strumenti per le imprese in questo campo sono innumerevoli, dalla creazione di un Modello Organizzativo per la prevenzione dei reati all’adesione ai diversi protocolli e standard virtuosi proposti a livello nazionale e internazionale. Nascondersi dietro le piccole dimensioni della propria azienda ormai non è più possibile perché moltissimi standard permettono di adeguare anche le pratiche più complesse a realtà imprenditoriali anche molto piccole.

Combattere il crimine organizzato

Il quarto target si occupa della riduzione del traffico di armi e di rafforzare la possibilità di recuperare e restituire beni rubati, oltre a combattere il crimine organizzato. Nel nostro Paese, conosciamo bene il fenomeno della criminalità organizzata e non abbiamo in questa sede la velleità di insegnare come combatterla, ci limitiamo a ricordare la mentalità mafiosa è appunto una forma mentis che comportamenti quotidiani possono alimentare più di quanto possa sembrare. Riportiamo questo passaggio del pensiero di Paolo Borsellino, che meglio di chiunque altro è in grado di farci riflettere sulla questione:

“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

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Ridurre la corruzione e gli abusi di potere

Il quinto target si occupa della riduzione della corruzione e degli abusi di potere. Le imprese hanno a disposizione diversi standard internazionali da portare nell’organizzazione interna, certamente la strategia migliore per non essere coinvolti in fenomeni corruttivi è quello di proceduralizzare le decisioni che hanno in qualche modo un riflesso sul passaggio di denaro in qualsiasi forma, dalla scelta dei fornitori ai rapporti con la Pubblica Amministrazione per giungere alle assunzioni di personale.

Promuovere istituzioni efficaci, trasparenti e responsabili

Il sesto target, di respiro prettamente nazionale e internazionale, si propone di sviluppare a tutti i livelli istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti. In questo caso, poiché non tutte le imprese hanno rapporti di influenza con le istituzioni, un passo importante in questa direzione è fornire i dati di lotta alla criminalità della propria impresa, condividere le soluzioni adottare e creare una rete per cercare di uniformare il più possibile gli standard (al rialzo naturalmente) e comunicare le proprie esigenze a chi si occupa di legiferare, in modo che l’approccio del legislatore sia il più possibile fondato su dati concreti e abbia un modello di come agisce la società e dei suoi bisogni.

Assicurare la stabilità del processo decisionale

Nel settimo target, si pone l’obiettivo di garantire un processo decisionale stabile, trasparente, accessibile e partecipativo. Anche in questo caso il processo di disclosure e di cooperazione con altre imprese dello stesso settore volto alla comunicazione con il legislatore è di primaria importanza e va incentivato, così come una reale attività di stakeholder engagement con la comunità in cui è inserita l’impresa, per renderla partecipe delle intenzioni dell’azienda sul territorio e per non creare un impatto sulla società, ma creare sinergia.

Incentivare la partecipazione dei paesi in via di sviluppo alle istituzioni di governance globale

Sulla falsariga del settimo target, si pone anche l’ottavo obiettivo, ma su più larga scala: l’Agenda vuole portare i Paesi in via di sviluppo ad allargare e rafforzare la propria partecipazione nelle istituzioni di governance globale. In questo caso, non sono stati trovati indicatori, ma è fuor di dubbio che se si inizia ad avere una mentalità maggiormente inclusiva “nel nostro piccolo”, si fanno progressi anche per il raggiungimento di questo obiettivo. Bisogna fare attenzione però a cosa si intende per partecipazione e al metodo che si utilizza per raggiungerla, basti pensare all’annosa questione delle c.d. quote rosa.

Garantire a livello universale l’identità giuridica

Nel nono target, l’Agenda affronta il tema dell’identità giuridica, che deve essere garantita a tutti, a partire dalla registrazione di tutte le nascite. Anche su questo target non sono stati forniti indicatori, poiché la difficoltà di reperire dati e metodologie in alcune parti del mondo è davvero enorme. Possiamo pensare a un impegno aziendale ad esempio nell’adozione a distanza di un determinato numero di bambini, destinando una parte dei fondi per questa mission, è un buon sistema per favorire la registrazione ed il tracciamento di nuovi nati in Paesi in via di sviluppo.

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Garantire pubblico accesso alle informazioni e proteggere le libertà fondamentali

L’ultimo target, si propone di “garantire un pubblico accesso all’informazione e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali”. Questa può essere definita come una gigantesca operazione di stakeholder engagement, in cui l’impresa stessa è chiamata a farsi portatrice dei propri interessi e delle proprie esigenze nelle sedi istituzionali e a sua volta a raccogliere le idee e opinioni dei suoi portatori di interessi, per farsi da tramite e per meglio comprendere la realtà in cui è inserita. Si tratta di una chiamata al dialogo ed alla riscoperta della capacità di ascolto.

Di: Isabella Querci, Elisa Traverso