Artico: l’ultima frontiera

In this photo taken on Wednesday, April 3, 2019, a Russian solder stands guard as Pansyr-S1 air defense system on the Kotelny Island, part of the New Siberian Islands archipelago located between the Laptev Sea and the East Siberian Sea, Russia. Russia has made reaffirming its military presence in the Arctic the top priority amid an intensifying international rivalry over the region that is believed to hold up to one-quarter of the planet's undiscovered oil and gas. (AP Photo/Vladimir Isachenkov)

Il surriscaldamento globale ha reso l’Artico più accessibile. Le sue risorse fanno gola a molti ed è silenziosamente partita la gara per la conquista dell’ultima frontiera inesplorata del nostro pianeta.


Grazie al cambiamento climatico determinato dal riscaldamento globale, la superficie coperta da ghiacci perenni nell’Artico è diminuita di oltre due terzi nel corso degli ultimi 35 anni. I ghiacci artici si stanno sciogliendo e le conseguenze ambientali di questo fenomeno potrebbero essere catastrofiche.

[La differenza tra il Polo Nord nel 1984 e il Polo Nord nel 2016]. Credits to Vanilla Magazine

Nell’immediato però, dal punto di vista prettamente geopolitico, il ritiro dei ghiacci ha generato numerose opportunità per un ristretto numero di paesi.

La regione polare è molto importante dal punto di vista strategico. Durante il periodo della Guerra Fredda, i mari artici sono stati teatro di numerose operazioni di pattugliamento e spionaggio da parte delle due superpotenze mondiali, Usa e Urss. Il motivo è abbastanza logico: proprio in questa regione i due paesi arrivano quasi a toccarsi, basti pensare che gli Stati Uniti acquistarono l’Alaska proprio dalla Russia, per 7,2 milioni di dollari nel 1867.

Con la fine della Guerra Fredda la regione artica ha perso via via importanza dal punto di vista propriamente geopolitico. Soltanto sul finire degli anni duemila l’estremo nord del mondo è tornato al centro delle agende internazionali dei paesi litoranei e non solo.

Da cosa deriva questa rinnovata attenzione per l’Artico?

Il ritiro dei ghiacci ha reso questa regione decisamente più accessibile. Dal punto di vista economico questo è fondamentale. Da un lato consente lo sviluppo di nuove rotte commerciali. Dall’altro permette lo sfruttamento di nuovi giacimenti di idrocarburi.

Vista l’elevata posta in gioco, la regione si sta militarizzando ma le probabilità che scoppi un conflitto per il controllo dell’Artico sono decisamente scarse.

Nella regione prevale la cooperazione tra paesi, grazie anche alla presenza di alcune organizzazioni internazionali come il Consiglio Artico, del quale l’Italia è parte dal 2011.

[Simbolo del Consiglio Artico]. Credits to Twitter

Fortunatamente buona parte dei giacimenti off-shore (il 90%) si trovano già all’interno delle acque territoriali dei paesi rivieraschi, cosa che diminuisce significativamente il rischio di conflitti per le risorse.

Esistono alcune dispute relative ai confini, come quella tra Canada e Usa relativa al Mare di Beaufort e quella tra Canada e Groenlandia (territorio autonomo del Regno di Danimarca) sullo Stretto di Lincoln. La principale disputa confinaria relativa alla regione artica era quella tra Mosca e Oslo rispetto al Mare di Barents, ma la questione è stata risolta pacificamente con un accordo nel 2010. Tali situazioni non sembrano possedere in alcun modo il potenziale per infiammare la regione.

I paesi che appaiono principalmente impegnati in questa corsa all’Artico sono essenzialmente tre, anche se gli attori rilevanti nella regione sono molti di più.

I primi a volgere il proprio sguardo verso il Polo Nord dopo la fine della Guerra Fredda sono stati i russi. Il Cremlino vanta seimila chilometri di coste artiche lungo il passaggio a Nord-Est, la cosiddetta Northern Sea Route, e dal 2007 Mosca ha cominciato a sorvolare la regione con i suoi caccia.

[Le rotte artiche]. Credits to The Arctic Institute

Secondo uno studio delle Università di Berkeley e Stanford, mentre nei prossimi 100 anni il Pil pro capite globale subirà una flessione media del 23%, quello dei paesi “artici” potrà aumentare anche del 400%.

Circa un terzo dell’Artico appartiene alla Federazione Russa e ne rappresenta il 60% del Pil.

Oltre l’80% delle riserve di gas russo e il 90% dei giacimenti off-shore si trovano in questa regione.

Stando alle stime del Cremlino il valore di queste riserve si aggira attorno ai due trilioni di dollari. Inoltre il drammatico ritiro dei ghiacci ha determinato l’emersione di nuove isole nell’Arcipelago di Novaja Zemlja (nella mappa sottostante) con un guadagno territoriale stimato per la Federazione Russa di quasi 300.000 chilometri quadrati totali (per capirci, una superficie pari a quella del nostro paese).

A questi vanno aggiunti 1,2 milioni di chilometri quadrati che Mosca rivendica in base alla Convenzione dell’Onu sulla Legge del Mare. Secondo Putin ciò porterebbe ad un aumento del valore dei giacimenti presenti nella regione pari a 30 trilioni di dollari.

Il Cremlino ha costruito numerosi porti lungo le proprie coste artiche, proprio per sfruttare le nuove rotte commerciali. Il più importante è quello di Sabeta, dal quale si presume che transiteranno 80 milioni di tonnellate di merci ogni anno a partire dal 2025.

Anche a livello militare Mosca rimane molto attiva nella regione.

Recentemente sono state aperte 20 nuove basi per l’esercito russo, alcune delle quali erano state dismesse dopo la fine della Guerra Fredda, per essere poi recuperate negli ultimi anni.

Presso la penisola di Kola, vicino ai confini con l’Occidente, il Cremlino ha ammassato oltre 200 vascelli, 30 sommergibili e 1830 testate nucleari.

Sempre dal punto di vista militare, nel 2017 la Federazione Russa ha inaugurato un gigantesco complesso noto come Trifoglio Artico, avanposto delle forze armate nell’estremo nord del territorio russo, sull’Isola Aleksandra. Si tratta di una grande base in grado di ospitare centinaia di soldati addestrati per la “guerra bianca” ed avente la capacità di sopravvivere per diciotto mesi senza rifornimenti.

[Il Trifoglio Artico]. Credits to Wikipedia

Il secondo paese che pare essere maggiormente interessato ad una presenza importante nella regione artica è la Cina.

Pur non essendo una nazione litoranea, la Cina è ben consapevole dell’importanza economica dell’Artico e da molto tempo cerca di essere accreditata come attore rilevante nella regione.

Dopo la guerra di Crimea del 2014, è stata proprio Mosca ad aprire le porte dell’Artico a Pechino, in quanto i paesi occidentali hanno fermato i finanziamenti per l’esplorazione e l’estrazione di idrocarburi dai grandi giacimenti della penisola di Yamal.

Viste le ingenti quantità di petrolio che vengono estratte in quest’area, la Russia ha volto il proprio sguardo verso oriente e Pechino non ha fatto mancare il proprio sostegno.

L’investimento totale da parte della Cina è di circa 12 miliardi di dollari.

Dal punto di vista delle materie prime, la Repubblica Popolare Cinese si è inserita anche nella disputa tra la Groenlandia e la Danimarca, riguardo l’indipendenza della prima.

Le enormi riserve di metalli e uranio presenti nel sottosuolo della grande isola polare interessano fortemente Pechino. La Cina ha messo sul piatto il proprio potenziale economico per la costruzione di miniere in Groenlandia, consentendo alla colonia danese di avere abbastanza denaro da poter finalmente pensare in modo concreto alla tanto agognata indipendenza da Copenhagen.

Sebbene il comparto energetico sia di fondamentale importanza nella strategia artica del Dragone cinese, il vero obiettivo di Pechino rispetto al Polo Nord è senza ombra di dubbio quello di riuscire a controllare le nuove rotte commerciali rese disponibili dal ritiro dei ghiacci.

La Cina controlla oltre l’80% del traffico internazionale marittimo che nella quasi totalità si svolge lungo l’asse Asia-Europa-Nord America. Fino all’apertura della Northern Sea Route il naviglio doveva necessariamente transitare per Suez.

L’apertura del passaggio a Nord Est consente un grande risparmio in termini di tempi di percorrenza, visto che la distanza si riduce di due terzi, passando da 11.500 a 4.200 miglia marine. Inoltre i premi che le navi devono pagare alle assicurazioni sono sensibilmente più bassi. Oltre ad essere più breve, il percorso è anche decisamente meno pericoloso, vista la totale assenza di fenomeni quali la pirateria o il terrorismo e la maggior stabilità della regione polare rispetto, ad esempio, a quella mediorientale.

Per questi motivi la Cina ha cercato di partecipare in maniera importante negli investimenti che hanno consentito di costruire le infrastrutture necessarie al mantenimento di una rotta commerciale di questo tipo. Oltre ai finanziamenti nell’ambito dell’edificazione o del miglioramento dei porti, Pechino ha investito anche nella costruzione di linee ferroviarie per il trasporto delle merci verso l’Europa Centrale e per consentire la cablatura dell’Artico tramite la fibra ottica. Si prevede che entro il 2023, la regione diventerà quella con la più veloce connessione dell’intero pianeta.

Fa parte della strategia cinese sull’Artico anche l’accordo di libero scambio firmato nel 2013 con l’Islanda, approfittando della crisi economica che aveva investito il paese. Non è un caso che l’ambasciata cinese a Reykjavik sia la più grande, contando circa 300 dipendenti.

[L’ambasciata cinese in Islanda]. Credits to Iceland Monitor

Il terzo paese che possiede interessi diretti nella regione artica è la Norvegia.

Oslo sembra essere profondamente preoccupata dall’intensificarsi delle attività militari nell’area da parte russa. È per questo motivo che, negli ultimi anni, la Norvegia ha fatto sentire la propria voce all’interno dell’Alleanza Atlantica. Dal 2016 la NATO dispone di una sofisticata nave-spia che si occupa di intercettare i russi pattugliando ininterrottamente le acque norvegesi ed internazionali.

[La nave-spia Marjata IV della NATO]. Credits to FleetMon

Gli Stati Uniti possiedono inoltre importanti sistemi radar situati presso l’isola di Vardø, in grado di monitorare le attività di Mosca. Queste strutture sono talmente efficaci che il Cremlino ritiene la loro presenza una minaccia alla sicurezza nazionale, in quanto sono in grado di inibire quasi completamente il potenziale di risposta ad un attacco nucleare subito dall’Occidente, potendo facilmente intercettare vettori in partenza dalle basi settentrionali della Federazione Russa. I norvegesi ospitano anche sempre più contingenti di marines americani con turnazioni semestrali.

Nonostante queste attività Washington non sembra avere una strategia reale per contenere l’espansione dell’influenza russa nella regione artica e appare piuttosto in ritardo rispetto al Cremlino e alla Cina. Basti pensare che mentre Mosca possiede 40 rompighiaccio, alcune delle quali a propulsione nucleare, gli Stati Uniti si trovano dietro a paesi come Finlandia, Canada, Svezia e Cina, disponendo di due sole navi di questo tipo.

[Nave rompighiaccio nucleare russa]. Credits to arctic.ru

In ambito civile la Norvegia spera di rendere ben presto il porto di Kirkenes come la Singapore del Nord e per questo motivo l’Unione Europea ha investito 1,3 miliardi di euro. Kirkenes diventerebbe un’infrastruttura strategica perché si trova lungo la Northern Sea Route ed essendo ai confini con la Federazione Russa può fungere facilmente da collegamento tra l’Europa e l’asse russo-cinese.

Un ultimo effetto determinato dallo scioglimento dei ghiacci artici, che potrebbe portare a contrasti internazionali, è il previsto aumento della pescosità dei mari polari.

Si prevede infatti che i banchi di pesci tenderanno a spostarsi verso le gelide acque settentrionali aumentando l’indotto dei paesi rivieraschi derivante dalla pesca.

di Riccardo Allegri