Di Samantha Falciatori
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Nel giorno del 50° compleanno di Bashar al Assad, vi forniamo un ritratto suo e della sua famiglia. Potrà stupire constatare come colui che avrebbe dovuto essere un rispettabile oftalmologo abbia contribuito a trasformare delle proteste pacifiche in una guerra civile.
Quando Hafez Assad prese il potere con un colpo di Stato nel 1971, il suo partito Baath (Partito Arabo Socialista, la matrice del partito cui apparteneva anche Saddam Hussein), assunse il pieno controllo politico, sociale ed economico del Paese; la repressione delle opposizioni divenne endemica, in uno Paese che si andava a configurare come uno Stato di polizia e servizi segreti (mukhābarāt). Sotto Hafez il culto della personalità del Presidente venne portato all’esasperazione; si credette una sorta di divinità in terra, e fece affiggere gigantografie ovunque nei luoghi pubblici, effigi sui testi scolastici e orazioni prima delle lezioni (un po’ come accadeva nell’Italia fascista). Il Presidente aveva poteri illimitati, a partire dalla nomina del Primo Ministro e delle figure civili e militari di rilievo; aveva iniziativa legislativa e potere di veto sulle leggi adottate dal Parlamento e l’adesione al partito era necessaria per accedere all’amministrazione pubblica.
Fu il 2 febbraio 1982 però a entrare nella Storia: il massacro di Hama segnò una delle pagine più sanguinose della storia della Siria, quando migliaia di civili, tra cui donne e bambini, vennero uccisi, arrestati, torturati, mentre altre migliaia fuggivano e interi quartieri venivano rasi al suolo. Il numero preciso dei morti resta sconosciuto, molti corpi non furono recuperati e in migliaia scomparvero, ma si stima che tra le 20,000 e le 40,000 persone persero la vita. Una strage taciuta, consumata in pochi giorni, di cui si venne a conoscenza solo a posteriori grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e alla successiva scoperta di fosse comuni e qualche foto.

Ciò che scatenò la furia del padre di Assad fu la rivolta dei Fratelli Musulmani, oltre ad alcuni attentati della loro Avanguardia Combattente, tra cui uno nel 1980 diretto proprio contro Hafez. Hama era considerata la roccaforte della minaccia fondamentalista, per questo la repressione fu feroce, ma anche indiscriminata: l’assedio, guidato da Rifaat Assad, fratello di Hafez, fu totale e la popolazione massacrata senza distinzione alcuna. Da allora, chiunque parlasse dell’eccidio spariva nelle carceri del regime; così l’oblio cadde sul dolore di quella città. Ma oltre 30 anni dopo, Hama non ha dimenticato, e nel 2011 ha preso parte alle manifestazioni antigovernative. Uno dei giovani simbolo delle proteste, ribattezzato “l’usignolo della rivolta” perchè si metteva alla guida del corteo cantando, era proprio un 30enne di Hama, Ibrahim Qashoush: il 4 luglio 2011 il suo corpo venne ritrovato sul fiume Oronte, con le corde vocali strappate. Macabro monito per chiunque osasse cantare o parlare contro il regime guidato questa volta dal figlio di Hafez, Bashar Assad.

Ma Hama non fu un caso isolato: la lista dei massacri è lunga: quello nella prigione di Tadmor (Palmyra), dove il 17 giugno 1980 vennero giustiziati sommariamente 650 Fratelli Musulmani come risposta al fallito attentato contro Hafez; il massacro di Al-Qamishli, dove il 12 marzo 2004 una rivolta curda venne soffocata nel sangue; il massacro nella prigione di Sednaya, quando il 5 luglio 2008 la polizia, al comando di Maher Assad, fratello minore di Bashar, fece irruzione massacrando decine di detenuti.
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Dal 2011 a oggi i massacri si sono moltiplicati e su ognuno aleggia lo spettro di un passato ancora più lontano: Hafez Assad offrì rifugio e protezione ad alcuni gerarchi nazisti, tra cui uno degli ufficiali delle SS più ricercati al mondo, Georg Fischer, alias Alois Brunner. Nel 1954 Brunner riparò a Damasco e vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 2010, protetto da un regime che in cambio dell’ospitalità potè godere dell’addestramento delle proprie truppe alle più raffinate tecniche di tortura, tra cui la “sedia tedesca”, diffusissima in Siria.

Ma come riuscì un figlio poco promettente e per nulla carismatico come Bashar a diventare Presidente? Quasi per caso, dato che non era il prediletto. Ad Hafez sarebbe dovuto succedere il primogenito Bassil, che però morì nel 1994 in un incidente d’auto. Quando nel 2000 Hafez morì, Bashar, che studiava oftalmologia a Londra – città dove conobbe la moglie Asma, figlia di un dottore e un diplomatico, donna colta, manager di JP Morgan e Deutsche Bank: in molti la chiamavano la Lady Diana d’Oriente – venne richiamato in patria, inserito nei ranghi più alti dell’esercito (senza che avesse mai intrapreso la carriera militare) e sottoposto a un training accelerato da erede al “trono presidenziale”. L’allora vicepresidente Abdel Khaddam fu arrestato e costretto a firmare il decreto d’investitura di Bashar, mentre il Parlamento fu riunito d’urgenza per cambiare la Costituzione del 1973 e abbassare a 34 anni l’età minima per accedere alla Presidenza. In questa paradossale “repubblica ereditaria”, Bashar succedette al padre.

Bashar non fu mai autonomo come Bassil o Maher; quest’ultimo più violento e brutale, inadatto per la carica di Presidente ma idoneo a capo della 4° Divisione corazzata e della Guardia Repubblicana, due corpi di élite. E fu proprio Maher con i suoi carri armati ad assediare le manifestazioni di Deraa nel marzo 2011, tanto che finì in cima alla lista dei sanzionati, anche dall’UE, che con decisione 2011/273/CFSP del 9/05/2011 lo definì come il “principale responsabile della repressione”. Nel maggio 2011 un video immortala Maher, circondato da agenti di polizia, mentre spara contro manifestanti disarmati a Barzeh, un sobborgo di Damasco. Nell’agosto 2013, sarebbe stato coinvolto nell’attacco chimico a Ghouta. La sua brutalità, molto più simile a quella del padre, e la sua influenza sul fratello, lo rendono il vero uomo forte del regime assieme alla madre, Anisa Makhlouf, che gode dello status di grande matriarca. Non tutti sanno che la famiglia siriana è tradizionalmente matriarcale e in quella di Assad questo elemento è preponderante, anche se la vedova Makhlouf è sempre rimasta dietro le quinte. Per rendersi conto di quanto sia influente il suo nome, basti pensare che i Makhlouf gestiscono le industrie più ricche del Paese, dal settore delle telecomunicazioni/telefonia a quello bancario. Anche la moglie di Bashar, Asma, ha molto, potere, tanto dal spingerla ad autodefinirsi “il vero dittatore della famiglia,” secondo quanto emerso da email private rese pubbliche nel 2012.

Bashar avrebbe dovuto essere il volto presentabile di un regime che governa la Siria da decenni con la violenza. Vissuto e specializzatosi in Inghilterra aveva dato segnali di speranza per un rinnovamento nel Paese, ma non fu così. Il fatto che dietro di lui agiscano i poteri forti del resto della famiglia non vuol dire però che Bashar sia uno stolto o che non abbia responsabilità, volontà o potere sul sangue che scorre in Siria: in quanto Presidente della Repubblica e Capo Supremo delle Forze Armate è perfettamente al corrente di ciò che avviene in suo nome, come ammesso in un’intervista anche dall’ex inviato dell’ONU Lakhdar Brahimi che alla domanda “Bashar Assad è consapevole di come viene condotta la guerra dal suo esercito? Sa dei barili bomba sui civili, dei bombardamenti sugli ospedali, delle torture di massa?” rispose “Lo sa al 100%”. Dovrebbe essere anche il volto legittimo della Siria, in quanto Presidente eletto alle elezioni del 3 giugno 2014, vinte con l’87% dei voti. Peccato che quell’87% sia stato registrato presso un totale di votanti che non arrivava nemmeno a un terzo della popolazione siriana, in quanto si sono recati alle urne solo i siriani residenti nelle zone rette dal regime, escludendo le aree densamente popolate rette dall’opposizione e tutti i milioni di rifugiati e profughi che erano già fuori dal Paese (a eccezione dei rifugiati in Giordania che in parte poterono votare). Tant’è che il 78% degli sfollati interni e dei rifugiati in Turchia, Giordania e Libano in un sondaggio multiplo dell’Arab Center for Research and Policy Studies (ACRPS) considera illegittime le elezioni.
La famiglia Assad occupa tutte le più alte cariche dello Stato, dell’esercito e dell’economia e il suo entourage tiene in scacco il Paese da quasi 50 anni. Non tutti nella famiglia Assad sostengono il regime: è il caso della cognata di Maher Assad, Majd Jadaan, la cui testimonianza chiarisce quanto fosse e sia tuttora corrotto e violento il regime degli Assad. Non deve stupire dunque che nel 2011 la popolazione sia scesa in piazza chiedendo la fine della dittatura.
[…] detto: “Sono più estreme di ogni altra cosa che abbiamo nel nostro museo”. Come avevamo visto qui, il legame con i tempi bui dell’olocausto ebraico sono più reali di quanto si immagini: dopo […]
[…] popolo siriano è uno”. Chiedevano al governo Assad – e alla sua famiglia al potere da 40 anni – riforme, diritti umani e civili e la scarcerazione dei prigionieri politici. Affrontati con […]
[…] attacchi indiscriminati delle forze armate siriane e non intende tornare in Siria fino a quando il regime di Assad resterà al […]
[…] ma è dal 2013 che è entrato in auge per indicare tutti i gruppi che si oppongono al governo di Bashar al-Assad. Questo perchè è da quel periodo che il mosaico dell’opposizione ha cominciato a […]
[…] del governo siriano tra cui i suoi alleati russi e iraniani, tutti coloro che si oppongono ad Assad, siano essi militari o civili, sono da considerarsi terroristi. Ecco perchè la Russia sta […]
Gentile rivista online Zepplin, c’è una vera questione semantica, umanitaria e politica che sta dietro all’utilizzo del qualificativo di “Presidente” per Bashar al-Asad. Desidererei richiamare la vostra attenzione in merito. L’elezione dell’estate 2014 che lo ha riconfermato nella sua carica non era immune di imbrogli – se così gli possiamo definire. Per altro, nell’utilizzare una parola che rimanda al lessico istituzionale figlio dell’Illuminismo, uno non si immaginerebbe un’istante di essere confrontato con la realtà di repressione a tutto campo sotto ai nostri occhi. Infine, l’operazione di rilegittimazione attraverso un certo lessico “neutrale” non ha giovato di sicuro alla comprensione della situazione immane in Siria. Si sa che invece ha fatto drammaticamente “comodo” alla comunità istituzionale internazionale poter utilizzare questo qualificativo per giustificare la collaborazione con un regime sanguinario. Si tratta dunque effettivamente di “un albero che nasconde la foreste”. Johannes Waardenburg
Gentile Johannes, la ringraziamo molto per la giusta osservazione. Le elezioni del giugno 2014 sono in effetti state discutibili, se non altro perché poté votare meno di un terzo della popolazione siriana, così come discutibile fu “l’elezione” di Bashar nel 2001 che, come spiegato nell’articolo, fu più una successione dinastica di padre in figlio che una regolare e democratica elezione. La scelta di utilizzare la carica politica di Bashar al Assad deriva esclusivamente dall’oggettività di questa carica, al di là della sua legittimazione. Condividiamo tuttavia la sua osservazione.