La battaglia per Raqqa

Milizie dell'YPG. Credits to: War Is Boring
Milizie dell'YPG. Credits to: War Is Boring
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
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L’offensiva per la liberazione di Raqqa da ISIS è entrata nelle sue fasi cruciali. Chi la governerà una volta liberata dalla morsa degli uomini del sedicente califfo?

 

La battaglia per liberare Raqqa dall’ISIS, che ne ha fatto la sua “capitale”, è entrata in una fase forse decisiva in cui la coalizione delle Forze Democratiche Siriane (SDF), composte prevalentemente e guidate dalle milizie curde YPG, ma anche da fazioni di ribelli arabi siriani, sta avanzando su Raqqa, circondata da tre lati.

Numerosi distretti della periferia ovest ed est sono stati conquistati, mentre a nord si combatte per la base militare della 17° Divisione. Le SDF, con l’aiuto dei raid aerei della Coalizione Internazionale a guida americana, stanno inesorabilmente stringendo il cerchio sull’ISIS. Con il nome in codice “Ira dell’Eufrate”, l’operazione per la presa di Raqqa si inserisce in un quadro militare più ampio, in cui concorrono la battaglia per al Bab, conclusasi a favore dei ribelli siriani sostenuti dalla Turchia, con l’assedio di Deir ez Zor, e in Iraq con la battaglia per Mosul.

battaglia per Raqqa
Mappa militare di Raqqa aggiornata al 10/06/2017. Credits to: South Front.

La battaglia per Raqqa è però un unicum, perché costituisce una delle maggiori sfide non solo dal punto di vista militare ma anche etnico: strappare Raqqa all’ISIS sarà solo l’inizio.

Infatti, Raqqa è una città quasi interamente di etnia araba, mentre le forze che la stanno liberando sono prevalentemente curde. Questo avrà delle ripercussioni, che hanno già inasprito le tensioni tra Stati Uniti e fronte YPG da un lato e Turchia e milizie ribelli arabe dall’altro, le quali temono che la popolazione di Raqqa subirà quanto altre popolazioni arabe dei villaggi conquistati dall’YPG hanno già subito, ossia l’allontanamento forzoso e la distruzione dei beni. Cosa che tra l’altro la società civile di Raqqa denuncia da tempo: in particolare, il gruppo locale Raqqa Is Being Slaughtered Silently (vincitore nel 2016 del Premio Internazionale per la Libertà di Stampa) denuncia saccheggi e distruzioni da parte dell’YPG nella periferia di Raqqa man mano che avanza. Il timore sembra rafforzato da quanto annunciato dal comando YPG già prima della battaglia, ossia che una volta presa Raqqa questa sarà inglobata nel Kurdistan, sebbene non sia una città curda.

Inoltre, dato che Raqqa fu una delle prime città a essere prese dai ribelli FSA, nonché una delle prime a sperimentare dopo 45 anni di dittatura un auto-governo civile ed elezioni locali libere, prima di cadere nelle mani dell’ISIS in avanzata dall’Iraq nel 2014, sarà molto difficile che i ribelli FSA la lascino facilmente alle milizie curde. Per evitare di aprire un nuovo fronte dopo la liberazione di Raqqa, e per tranquillizzare la Turchia, la leadership dell’YPG ha recentemente annunciato che Raqqa potrebbe godere di molta autonomia nell’ambito di un sistema federale da istituire all’interno dello stesso Kurdistan. Ciò sembra però in contraddizione con quanto stabilito dal Comando delle SDF, che già ad aprile scorso ha formato il suo Consiglio Civile che dovrà governare Raqqa e le aree limitrofi dopo la liberazione.

Mappa militare della Siria aggiornata al 1/06/2017. Credits to: Thomas van Linge.
Mappa militare della Siria aggiornata al 1/06/2017. Credits to: Thomas van Linge.

La questione di chi controllerà Raqqa dopo ISIS è cruciale non solo per evitare di aprire un altro fronte tra YPG e ribelli siriani, ma lo è anche sul piano geopolitico del conflitto, in particolare per quanto riguarda i rapporti con il regime siriano, e i suoi alleati russi e iraniani, e gli Stati Uniti. Secondo Hossam Abouzahr, direttore associato presso il Centro Rafik Hariri di Atlantic Council, la governabilità di Raqqa potrebbe rivelarsi uno strumento per fare pressione non-militare sul regime siriano affinché faccia delle concessioni politiche. Abouzahr ha dichiarato:

La questione se gli Stati Uniti spingeranno le SDF a mantenere il controllo della città è una questione di come gli Stati Uniti sono disposti a utilizzare la loro influenza, [perché] potrebbe essere un modo per esercitare pressioni sul regime siriano a cedere in determinati punti, ma farlo acuirebbe le tensioni con il regime e i suoi sostenitori russi e iraniani, cosa che gli Stati Uniti hanno sinora evitato.

Resta comunque da vedere cosa realmente intende fare di Raqqa l’YPG, alla luce del fatto che con il regime siriano ha dei rapporti in linea di massima non conflittuali, basti pensare che nel 2011 fu lo stesso regime siriano a concedere Hasaka e le aree limitrofi al partito curdo PYD, di cui YPG è il braccio armato, a concedere a 300.000 curdi la cittadinanza per ottenerne la neutralità nelle proteste di piazza, e che i funzionari del PYD continuano ad oggi a essere stipendiati dal regime. Sebbene il regime siriano sia apertamente ostile a un Kurdistan autonomo o a una Siria federata, non è da escludere un’evoluzione dei rapporti sul futuro di Raqqa.

Inoltre, non si può ignorare il prezzo che la liberazione della città sta comportando e che avrà pesanti ripercusisoni su una Raqqa post-ISIS. Sebbene finora la strategia bellica americana sia stata molto più oculata di quella russa nel non causare vittime civili, come avevamo analizzato qui, negli ultimi mesi, sotto l’amministrazione Trump, le vittime civili causate dalla Coalizione Internazionale si sono moltiplicate esponenzialmente, soprattutto nell’area di Raqqa, dove nei giorni scorsi è stato usato per la prima volta da aerei della Coalizione il fosforo bianco.


Bombardamenti della Coalizione internazionale con il fosforo bianco su Raqqa, 8/06/2017. Credits to: XXVII

Non è la prima volta però che fosforo bianco viene usato nel conflitto: ne ha fatto ampiamente uso l’aviazione russa durante le operazioni su Aleppo e Idlib (ad esempio questo video mostra fosforo bianco su Aleppo sganciato nel giugno 2016). Il fosforo bianco è un’arma incendiaria che brucia la carne fino all’osso provocando quelle che il diritto internazionale riconosce essere “sofferenze inutili” ed essendo indiscriminata è un’arma proibita quando usata contro la popolazione civile. Il suo uso sui civili è inequivocabilmente un crimine di guerra.

Il Comando Centrale americano ha recentemente ammesso di aver finora causato la morte di 484 civili nelle sue operazioni in Iraq e Siria. Secondo un rapporto ONU a marzo 2017 erano 42,000 i profughi fuggiti da Raqqa, che descrivono una città infernale dove si muore non solo per mano della brutalità dei miliziani dell’ISIS, ma anche per i raid della Coalizione. Nello specifico, la percentuale di vittime civili causate in Siria dalle operazione aeree della Coalizione Internazionale dall’inizio delle operazioni nell’agosto 2014 al maggio 2017 sarebbero 1% del totale secondo le stime del Violation Documentation Centre e 0,5% (a marzo 2017) secondo stime del Syrian Network for Human Rights. Sebbene siano percentuali ridotte rispetto al totale dei morti in 6 anni di guerra, sotto Trump sono in crescita e se continueranno ad essere usate anche armi proibite come il fosforo bianco saranno destinate a salire.

Giustificate come “vittime collaterali della lotta all’ISIS”, lasceranno profonde ferite che renderanno la liberazione di Raqqa ancora più difficile. Dopo di essa sarà necessario avviare un governo inclusivo che disinneschi i risentimenti etnici e tenga conto dei diritti di tutti i suoi cittadini, e che non segua l’esempio iracheno dove le milizie irachene, man mano che liberano le città da ISIS, si vendicano sui civili compiendo, come ampiamente documentato e denunciato, crimini e torture di barbara efferatezza. Nonostante le sfide, una visione a lungo termine e una pianificazione attenta che comporti anche la repressione dei crimini commessi, saranno essenziali per far sì che ISIS o altre fazioni estremiste non ritornino nuovamente nella zona, facendo di Raqqa un auspicabile esempio di successo.

di Samantha Falciatori