Grand Theft Europe, la truffa del secolo

Correctiv.org ha riunito un team di 63 giornalisti provenienti da 30 paesi europei per fare luce su una delle frodi più redditizie dei nostri tempi. L’inchiesta prende le mosse dalla storia di un giovane immigrato afgano che in pochi anni è diventato milionario, entrando a far parte di un sistema che ha consentito di evadere tasse nei paesi dell’Unione Europea per un totale di 50 miliardi di euro ogni anno. Tutto ciò nella quasi totale indifferenza dei governi dei paesi membri, che soltanto recentemente hanno iniziato ad arginare il fenomeno.


L’evasione fiscale è una piaga che affligge tantissimi paesi a livello globale. In Italia ne sappiamo qualcosa, ma l’inchiesta Grand Theft Europe di Correctiv.org ha portato alla luce un sistema, geniale quanto semplice, per aggirare il pagamento della VAT, acronimo di Value-Added Tax (la nostra IVA) in molti paesi europei.

Il sistema è talmente semplice che questa tipologia di frode fiscale è alla portata di chiunque, ed i guadagni sono potenzialmente molto ingenti. Le stime della Commissione Europea sulla truffa che ci apprestiamo a raccontarvi parlano di un ammanco, per le casse dei paesi membri, di 50 miliardi di euro all’anno.

Nonostante questo dato allarmante, non sembra che i paesi dell’Unione siano preparati a far fronte al problema. Il che sarebbe già grave di per sé, vista la quantità di soldi occultati ai sistemi fiscali Ue, ma diventa ancora più grave quando si scopre che una parte di questi soldi finiscono nelle tasche di organizzazioni criminali e terroristiche.

Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, che ha collaborato all’inchiesta, sembra che qualcosa si muova sul fronte delle istituzioni europee. Stando alla legge di delegazione europea 2018, i paesi membri avevano nove mesi per conformare le rispettive norme nazionali con l’obiettivo di arrivare pronti al 21 novembre 2020, giorno nel quale inizierà i suoi lavori la super Procura europea che si occuperà, tra le altre truffe, anche delle frodi IVA.

Grazie alla collaborazione con altre istituzioni come Eurojust ed Europol, la Procura avrà straordinari strumenti per contrastare questo genere di attività criminali.

Il sistema

Per capire meglio come funziona il meccanismo che sta alla base di questa grandissima frode, basta partire da un semplice assunto, un dato di fatto noto a tutti coloro che possiedono un PC ed una connessione internet: è quasi sempre più economico comprare online piuttosto che dal commerciante alla fine della filiera distributiva.

Tra chi ha saputo approfittare di questa banale considerazione, vi è un giovane immigrato afgano, residente i Germania, che chiameremo Amir Baha (il nome è fittizio).

La storia di Amir, che non è mai arrivato ai vertici del sistema, rimanendo un “giocatore” di medio livello, è molto interessante. Al momento del suo arresto nel 2016, il giovane Amir gestiva undici società registrate mediante l’utilizzo di prestanome, era di casa nei migliori locali di Dubai e viaggiava soltanto in prima classe. Niente male per un giovane immigrato, partito dal nulla.

Si calcola che Baha abbia sottratto alle casse dello stato tedesco tra i 110 milioni di euro dichiarati da un suo collaboratore ed i 40 milioni di euro accertati dal tribunale che lo ha giudicato colpevole di frode. Sin da giovanissimo Baha aveva dimostrato un’ottima propensione per gli affari, mettendo in piedi varie attività legate soprattutto all’e-commerce.

Il giovane immigrato sembrava possedere anche una certa spregiudicatezza nel muoversi tra i meandri della legislazione legata al sistema fiscale tedesco. Ben presto però si era trovato nei guai: le autorità gli stavano col fiato sul collo e con loro anche i creditori.

Per uscire dai guai, Amir iniziò a comprare svariati beni in Lussemburgo ed Olanda per rivenderli in Germania senza riportare l’IVA. Lo schema della frode è stato reso possibile dal un complesso sistema di accordi fiscali tra paesi europei.

All’interno di ogni paese dell’Unione Europea, l’IVA è ad un tasso differente. In Germania, ad esempio, si attesta al 19%, mentre in Italia è al 22%. Con l’introduzione del Mercato Unico Europeo, datata 1 gennaio del 1993, si è deciso di permettere che gli scambi commerciali tra due paesi membri dell’Unione Europea non prevedessero il pagamento dell’IVA. Questo significa che se io acquisto un bene dalla Francia, non pago l’Imposta sul Valore Aggiunto. Ma quando rivenderò questo prodotto all’interno del mio paese, dovrò pagare l’IVA prevista.

Tassazione e IVA nell’Unione Euroopea – Credits to European Parliament

Lo schema della frode fa leva su questo semplicissimo meccanismo. Prevede infatti che una società fittizia, quindi avente come titolare un prestanome (che spesso è un senzatetto o, come nel caso di Amir, un parente), importi un bene o acquisti un servizio da un altro paese membro della Ue, dunque senza pagare l’IVA. Questo bene (o servizio) deve poi essere venduto ad un’altra società del proprio paese, che può essere vera o fittizia.

La prima società, quella che ha acquistato il bene dall’estero, non deve dichiarare la successiva vendita in modo da non pagare l’IVA. Essa anzi, una volta completata la transazione, deve sparire nel nulla, così com’è nata. Quando il fisco si accorgerà che qualcosa non quadra, sarà troppo tardi, la suddetta società sarà scomparsa già da lungo tempo. Per questo motivo viene chiamata “missing trader”.

Nel frattempo il bene deve continuare ad essere venduto a varie società, per rendere più tortuoso il suo percorso. Deve risultare quasi impossibile seguirne gli spostamenti. Infine, il bene viene acquistato da una società che viene definita “distributore”.

Quest’ultima vende il bene ad un acquirente in un altro paese dell’Unione. Poi chiede al fisco il rimborso dell’IVA, poiché, essendo venduto all’estero, il bene non è tassato ma si presume che il distributore abbia pagato l’imposta quando lo ha acquistato. Il fisco generalmente paga questi rimborsi senza ulteriori indugi e controlli. Tutte le società intermedie, cioè quelle che si trovano tra il “missing trader” – la società fittizia di partenza – ed il distributore, sono dette “buffer”, ovvero “cuscinetto”.

Tutte le compagnie controllate da Amir Baha fungevano da “buffer”.
Non c’era nemmeno la necessità che facessero riferimento ad un conto bancario, in quanto tutte le transazioni avvenivano tramite piattaforme di vendita online. Una volta terminato il giro e ottenuto il rimborso dallo Stato, i profitti venivano divisi in qualche modo e distribuiti ai vari partecipanti.

Ci sono diverse varianti di questo tipo di frode, alcune che coinvolgono addirittura paesi extracomunitari. Persino i beni scambiati sono di diversa natura. Inizialmente, stando a quanto riporta Pedro Seixas Felicio, ufficiale dell’Europol intervistato da Correctiv.org, si utilizzavano prodotti agricoli come cipolle e patate. Si è poi passati ai metalli ma, con il trascorrere del tempo si è preferito optare per beni che avessero un prezzo mediamente elevato ed occupassero poco spazio, come cellulari o componenti di computer. Altro bene che fa al caso di questo genere di truffa, sono le automobili costose. Si è infine arrivati a scambiare beni immateriali, come schede telefoniche prepagate o permessi di emissione di anidride carbonica.

Il passaggio da una categoria di prodotti all’altra si è velocizzato al punto che mentre gli investigatori stavano ancora cercando di capire come funzionasse lo schema della compravendita di cellulari, Amir era già approdato al mercato dei certificati di emissione.

Il giro d’affari in questo campo è notevole. In soli dieci mesi a cavallo tra il 2009 e il 2010 la Germania ha perso 800 milioni di euro, mentre l’Unione Europea nell’insieme è stata truffata per una cifra che si aggira attorno ai sette miliardi di euro.

Stando a quanto dice Rod Stone, un investigatore del fisco britannico intervistato da Correctiv.org, i paesi membri dell’Ue erano consapevoli di quanto stava succedendo nel mercato dei certificati di emissione già nel 2009, ovvero ancor prima che Amir entrasse nel business.

Giurisdizionalmente rimaneva però responsabilità di ogni singolo stato muoversi affinché le cose non precipitassero. I primi ad accorgersi della situazione furono gli inglesi, che avevano visto movimenti sospetti nel mercato dei certificati, soprattutto da parte di società che erano già invischiate a vario titolo in qualche frode fiscale. Seguendo i movimenti di denaro erano arrivati in Francia dove avvertirono le autorità locali del fatto che ci fosse qualcosa che non andava nel loro mercato dei certificati di emissione.

Come funzionano i certificati Co2 – credits to tco2.com

Il modo più semplice per cercare di arginare la frode consiste nel ricorso all’addebito inverso, che prevede che solo il compratore finale paghi l’IVA. Gli scambi lungo la catena commerciale non sono tassati in modo che non ci sia bisogno di richiedere rimborsi allo Stato. Non appena la Francia ha attivato questo meccanismo i truffatori si sono orientati verso il Regno Unito, che, nonostante non si fosse fatto trovare impreparato, ha registrato ammanchi fiscali per quasi 300 milioni di euro. Era evidente che presto o tardi le speculazioni sarebbero migrate verso altri paesi ma non era ancora chiaro quale fosse il successivo bersaglio.

Il governo tedesco non sembrava particolarmente preoccupato o interessato alla cosa, tanto che quando i primi rapporti sulla frode iniziarono ad arrivare, si decise di prestar loro attenzione quando l’ammanco per lo Stato avesse raggiunto in 100 milioni di euro, non prima. Ecco perché è facile capire che il bersaglio successivo fu proprio la Germania. Il paese di Amir.

I certificati di emissione erano stati ideati per incentivare le aziende a produrre meno Co2, che notoriamente provoca il surriscaldamento globale. Erano stati introdotti dopo la firma del Protocollo di Kyoto, nel 1992, e si calcola che il 90% di essi venisse scambiato in modo fraudolento. Erano il prodotto perfetto. Perché? Erano digitali e potevano essere scambiati molto velocemente, il tempo di un click.

Baha fu attratto in questo business dai lauti guadagni ma capì soltanto molto tempo dopo di essere in realtà un membro marginale del sistema e, come tale, di ottenere soltanto guadagni limitati. Come dirà durante il processo, la parte che gli spettava, seppur cospicua in termini economici, equivaleva al solo 0.1% dei profitti derivanti da un’operazione. Arrivava al massimo allo 0.3, come chi fungeva da missing trader. Un suo collaboratore ha però affermato che questi dati non siano affidabili e che è più probabile che Amir guadagnasse dieci volte quello che ha dichiarato.

Nel frattempo in Germania le cose non andavano bene. La stessa Deutsche Bank era caduta nella trappola della frode. Aveva iniziato a commerciare in certificati di emissioni senza curarsi troppo delle fonti dalle quali li acquistava. Quando poi li rivendeva chiedeva il rimborso dell’IVA allo Stato. I dirigenti dell’istituto di credito non avevano prestato grande attenzione a chi li aveva avvisati del rischio a cui andavano incontro. Avevano avuto più o meno la stessa reazione del governo. Il risultato fu che sette alti dirigenti di Deutsche Bank furono processati e messi in carcere, mentre la banca ha dovuto restituire 220 milioni di euro al governo tedesco nel 2018.

Deutsche Bank – credits to Milano Finanza

Ci volle un po’ prima che quest’ultimo si svegliasse dal letargo ed agisse per chiedere all’Ue il permesso di introdurre il sistema dell’addebito inverso, e ciò avvenne soltanto nel 2010. Come abbiamo visto prima, questa indolenza è costata alla Germania 800 milioni di euro in soli dieci mesi.

A questo punto gli investigatori tedeschi decisero di agire e avviarono l’operazione Odino. Avevano raccolto migliaia di faldoni di prove, intercettato ore e ore di telefonate, condotto perquisizioni in centinaia di sedi di società in ben sei giurisdizioni, anche extra-europee. Amir era tra i 14 ricercati per le frodi sull’IVA ma il fatto che ormai vivesse tra Dubai e gli Stati Uniti lo poneva al di fuori del raggio d’azione della polizia tedesca.

Secondo Rod Stone, l’unico modo per bloccare completamente questo schema fraudolento, sarebbe quello di armonizzare l’IVA in tutti i paesi dell’Unione Europea. Un’idea chiaramente difficile da mettere in pratica vista le difficoltà nello sconfiggere la diffidenza di alcuni paesi dell’Unione nel mettere in comune bilanci e tassazioni, in modo da arrivare ad una fiscalità condivisa tra tutti i membri Ue – la cosiddetta “unione fiscale”.

Per questi ultimi sembra difficile riuscire a collaborare anche solo per cercare di arginare il fenomeno, non riuscendo a trovare un compromesso su quali beni tassare anche se provenienti da un altro paese membro e su chi eventualmente dovrebbe riscuotere la tassa.

Il Regno Unito è riuscito a ridurre di molto gli ammanchi dovuti alla frode cercando di rendere impossibile la vita dei truffatori. Perquisizioni a qualsiasi ora del giorno e della notte, arresti, inasprimento delle pene, congelamento delle risorse.

Per quanto riguarda Amir, dopo aver intrapreso la carriera immobiliare negli Stati Uniti, è stato arrestato. La Germania ha ottenuto l’estradizione e dopo un anno di detenzione negli Usa è tornato a casa. Qui è stato processato e condannato a 5 anni e mezzo. Il giudice ha tenuto conto del fatto che ha collaborato con gli inquirenti e che, sebbene abbia iniziato le sue attività illegali sedotto dai facili guadagni, più tardi è stato costretto a continuare a causa del sistema nel quale era coinvolto.

Dopo aver pagato una multa da mezzo milione di euro e aver passato tre mesi dietro le sbarre (in aggiunta ai due anni di detenzione preventiva tra Usa e Germania) ora è di nuovo un uomo libero, e secondo quanto scrive Correctiv.org, il suo stile di vita non sembra essere peggiorato rispetto agli anni migliori.

di Riccardo Allegri