ISIS e terrorismo palestinese secondo Netanyahu

REUTERS/Ibraheem Abu Mustafa Palestinian protesters hurl stones at Israeli troops during clashes near the border between Israel and Central Gaza Strip October 17, 2015.
Di Marta Furlan
Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu commentando gli attacchi terroristici che hanno colpito l’Europa ha dichiarato che esiste una connessione diretta tra ISIS e terrorismo palestinese. Le cose però non sono così semplici.

Gli attacchi terroristici che hanno colpito il 22 marzo Bruxelles e, più in generale nei mesi scorsi l’Europa intera, sono stati seguiti da messaggi di supporto e vicinanza da leader politici ed esponenti religiosi di tutto il mondo. Tra questi messaggi, particolare riflessione suscita quello del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il giorno dopo gli attacchi al cuore dell’Europa, il leader Israeliano ha tenuto via satellite da Gerusalemme un discorso indirizzato all’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) nel quale ha affermato che esiste una connessione diretta tra gli attentati di Bruxelles e il terrorismo palestinese – riferendosi probabilmente alla lunga serie di accoltellamenti a danno di cittadini e militari israeliani compiuti da palestinesi. Secondo le parole di Netanyahu, il terrorismo salafita-jihadista incarnato da ISIS e gli attacchi perpetrati da cittadini palestinesi negli ultimi mesi, sono espressione dello stesso fenomeno, hanno le stesse radici e perseguono lo stesso obiettivo: 

“[…] il terrorismo non è causato dall’occupazione e dalla disperazione, ma dalla speranza – la speranza dei terroristi dello Stato Islamico di stabilire un Califfato islamico in tutta Europa [e] la speranza dei terroristi palestinesi che avranno successo nello stabilire uno Stato Palestinese nell’intero territorio dello Stato di Israele”.

L’approccio di Netanyahu agli attentati di Bruxelles e il parallelismo proposto tra causa salafita-jihadista e causa Palestinese appaiono tuttavia fuorvianti, specialmente se l’obiettivo è quello di comprendere un nemico che l’Europa dovrà fronteggiare nei prossimi anni.

Senza addentrarsi in questa sede nell’analisi della causa palestinese, basti sottolineare la principale differenza tra la realtà degli attacchi palestinesi e la realtà del terrorismo di ISIS. Da un lato, vi è un popolo che ricorre – secondo una logica chiaramente deprecabile, ma non totalmente incomprensibile – alla violenza per difendere un inalienabile diritto alla costituzione di un proprio Stato Palestinese – peraltro riconosciuto a parole ma mai garantito di fatto dalla comunità internazionale – che ha in un Israele che nega, occupa, e discrimina il proprio unico nemico, e che riconosce nella Palestina il proprio unico teatro d’azione.

Dall’altro lato vi è un gruppo terroristico nato da una costola di al-Qaeda e più tardi auto-proclamatosi “stato” che – ispirato da un’ideologia estremista di ispirazione jihadista – ricorre (anche) al terrorismo per colpire in modo indiscriminato e plateale; che identifica come propri nemici tutti gli “apostati” che rifiutano l’interpretazione distorta, deviata e estremista dell’Islam sunnita; e che sta sempre più allargando il proprio teatro operativo.

Poliziotti israeliani perquisiscono giovani palestinesi nella città vecchia di Gerusalemme – credits: Ahmad Gharabli/AFP/Getty Images

In particolare, è quest’ultimo elemento – ossia la ridefinizione e l’estensione del proprio spazio operativo da parte di ISIS – a qualificare e distinguere il terrorismo incarnato dal gruppo di al-Baghdadi. Ciò dovrebbe instillare particolare attenzione in un’Europa che si sta rivelando un semplice bersaglio.

Perdendo una buona parte del proprio territorio in Iraq e Siria, ISIS ha difatti individuato come necessario adattare il proprio modus operandi alla sua scoperta vulnerabilità e adottare una nuova strategia. Come provato dagli ultimi attacchi a Bruxelles, ISIS sta cercando di compensare le perdite territoriali nel Levante aprendosi ad una strategia più globale: non più solo attacchi localizzati in quella zona di origine che è Iraq e al-Sham e indirizzati contro i nemici regionali, ma ora anche attacchi terroristici (peraltro elaborati e ben pianificati) contro soft target in paesi stranieri, il cui scopo è quello di dare al gruppo – nonostante le sconfitte sul campo – visibilità propagandistica, autorevolezza nell’universo jihadista, e legittimità agli occhi dei sostenitori.

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A differenza di quanto sostenuto dal Primo ministro Israeliano, quello di ISIS è dunque una forma di terrorismo peculiare, multiforme, locale e globale al tempo stesso, pericolosamente versatile e sofisticato, che richiede una risposta ad-hoc sia nel Levante da parte della comunità internazionale, sia in Europa da parte dell’Unione.

Fallire nel riconoscere le specificità che ogni espressione di terrorismo manifesta, e ricorrere ad una semplicistica etichettatura, significa fallire nel conoscere il proprio nemico, e quindi, fallire nell’elaborare un’efficace risposta. Un fallimento che l’Europa non può permettersi di sostenere.