L’equilibrio di potenza / parte 1

balance of power
credits: David Hume Kennerly - http://www.fordlibrarymuseum.gov/
Quinta uscita della nostra rubrica sulla teoria politica alla base delle relazioni internazionali, scritta in pillole di rapida consultazione.

Per poter capire il mondo della politica internazionale, i suoi soggetti principali e le sue dinamiche, risulta necessario prendere confidenza con cinque concetti ben precisi: 1) lo Stato di Natura, 2) il concetto di “Politico”, 3) l’Anarchia internazionale, 4) l’ordine e l’equilibrio internazionale, 5) l’equilibrio di potenza. Qui parleremo dell’equilibrio di potenza: quando conviene allearsi, con chi e perché.

Leviatano

L’EQUILIBRIO DI POTENZA – parte 1

In un ambiente in cui vi sono una molteplicità di nazioni autonome che competono l’una con l’altra per il potere, l’equilibrio tra queste diviene la logica, oltre alla spontanea, conseguenza. Un “equilibrio” si crea al fine di mantenere la stabilità del sistema senza, nel contempo, distruggere la molteplicità degli elementi che ne fanno parte. Infatti se lo scopo fosse la sola stabilità, questa potrebbe essere raggiunta con il sopravvento di un attore su tutti gli altri. Ma siccome l’obiettivo non è solo la stabilità, ma anche la preservazione degli elementi del sistema bisogna evitare che un qualsiasi attore del sistema accresca troppo la propria forza al punto da poter spezzare l’equilibrio e sconfiggere gli altri attori.

Per Morgenthau sono quattro le opzioni da seguire al fine di mantenere l’equilibrio in un sistema internazionale:

1. Divide et impera

Si ottiene cercando di dividere – o mantenere divisi -, i propri nemici, evitando così possibili alleanze destabilizzanti per l’ordine di distribuzione delle forze di un dato sistema internazionale. Un’altra soluzione percorribile può essere anche quella di sposare la coalizione debole o lo Stato debole al fine di controbilanciare il vantaggio dell’alleanza più forte o del nemico più forte. A riguardo, un esempio classico è l’azione della Gran Bretagna. Scrive Kaplan: «l’equilibratore è quel ruolo che serve a mantenere intatto l’equilibrio del sistema. Evita dunque la formazione di alleanze preponderanti all’interno del sistema».

2. Le compensazioni territoriali

Prevede sostanzialmente una compensazione territoriale a favore di una potenza in seguito all’acquisizione di territori o di un territorio da parte di un’altra potenza; acquisizione quest’ultima che crea ovviamente un disturbo dell’equilibrio preesistente e che necessita di un riequilibrio tra le forze. Esempio storico di compensazione territoriale può essere il Trattato di Utrecht del 1713.

3. La riduzione degli armamenti

Implica il mantenimento dell’equilibrio attraverso un patto fra le potenze che si impegnano di comune accordo a diminuire il proprio esercito e i propri armamenti al fine di rassicurarsi l’un l’altro, in modo da non perdere potenza relativa. Tuttavia questa strategia non ha mai riscontrato un particolare successo se non nel Trattato Navale di Washington tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Francia e Italia del 1922. Prima della crisi in Ucraina, Stati Uniti e Federazione Russa (precedentemente l’Urss) avevano perseguito l’obiettivo di ridurre condizionatamente le proprie capacità militari mantenendo inalterata la deterrenza; sforzi lodevoli che però si sono arenati negli ultimi due anni.

4. Le alleanze

È sicuramente l’opzione più utilizzata e anche quella che necessita di maggiori spiegazioni e approfondimenti.

Le alleanze si formano per due motivi: in primo luogo, perché ogni Stato mette a repentaglio la sua stessa sopravvivenza se non frena in tempo un potenziale egemone. La strategia più sicura diventa quindi quella di allearsi con chi non può dominare i propri alleati una volta scongiurata la minaccia, anche per evitare che un membro dell’alleanza possa, in seguito, dominare chi ha sposato la sua causa nei confronti dell’egemone di turno: il balance of power. Tuttavia, si sono verificati, e si verificano, anche alleanze con il più forte, ovvero il cosiddetto bandwagoning. Generalmente, i motivi che portano al bandwagoning (“salire sul carro del vincitore”) sono due: primo, la volontà di non entrare in conflitto col più forte al fine di evitare un suo attacco nei propri confronti; secondo, perché alleandosi col più forte (essendo consci della propria debolezza), l’idea di poter ottenere dei vantaggi, (cioè delle ricompense per la fedeltà offerta al più forte), può risultare molto allettante. Che si parli dunque di balance o di bandwagoning, la motivazione resta sempre quella che uno Stato, per far fronte ad una minaccia portata da un’altra polity forte, decide di unirsi a esso, o a una coalizione di resistenza.

Non esiste nessuna legge che permetta di affermare con certezza che il bandwagoning debba essere scartato se si ha la possibilità di agire, anche perché, attuando in realtà una politica di balance of power si ragiona allo stesso modo di quando si opta per il bandwagoning: nessuno Stato si allea con un altro con l’idea di indebolirsi; uno Stato si allea con un altro perché lo ritiene vantaggioso, ed i vantaggi compensino le debolezze. Dunque si sceglierà nella maggior parte dei casi l’alleato che si suppone lascierà maggiore libertà; in questo caso la potenza minore spera che la propria Sovranità verrà salvaguardata dal potenziale futuro egemone del sistema. Balance of power e bandwagoning restano entrambe scelte che comportano uguali vantaggi allo Stato che decide e, pertanto, entrambe scelte percorribili a seconda delle diverse situazioni che i diversi stati si trovano ad affrontare.

Di Giorgio Croci