Yemen, la guerra continua

Supporters of Ahmed Ali Abdullah Saleh, the son of Yemeni former President Ali Abdullah Saleh, hold their weapons as they chant slogans during a demonstration demanding presidential elections be held and the younger Saleh run for the office, in Sanaa, Yemen, Tuesday, March 10, 2015. (AP Photo/Hani Mohammed)

In Yemen la guerra va avanti e agli sviluppi militari si accompagna una crisi umanitaria senza precedenti. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca potrebbe inoltre rimescolare le carte del conflitto e secondo l’Onu ora il Paese è a rischio carestia. 


Ci siamo occupati più volte di Yemen, spiegando le ragioni e le dinamiche del conflitto in corso (qui, qui e qui), che oggi attraversa una nuova fase, sia militare che umanitaria.

Dal punto di vista militare, gli scontri bellici si sono concentrati nella battaglia per la città portuale di Mokha, a sud-ovest della capitale Sana’a, dal novembre 2014 in mano ai ribelli Houti, fedeli all’ex Presidente Saleh (dimessosi durante la Primavera araba) e sostenuti in tutto e per tutto dall’Iran. Ai primi di gennaio è iniziata l’offensiva per riconquistare la città, lanciata delle forze fedeli al Presidente Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto dalla Coalizione internazionale a guida saudita. Dopo tre settimane di duri combattimenti l’operazione ha avuto successo.

Mappa militare dello Yemen, aggiornata al gennaio 2017. Credits to: Al Jazeera.
Mappa militare dello Yemen, aggiornata al gennaio 2017 – Credits to: al-Jazeera.

La riconquista della città da parte delle truppe del governo Hadi, sostenute dall’aviazione saudita, segna una vittoria importante, sia perché taglia una delle vie di rifornimento principali usate dai ribelli Houti per trafficare armi all’interno del Paese, sia perché contribuisce a uno degli obiettivi primari del fronte governativo, ossia mettere in sicurezza lo stretto di Bab el-Mandeb, da cui passano ogni giorno circa 4 milioni di barili di petrolio.

La situazione però resta complicata, dato che al governo riconosciuto di Hadi dal novembre 2016 si oppone un governo autoproclamato dai ribelli Houti, che controlla un’area di territorio che include la capitale Sana’a, dove vive più della metà della popolazione yemenita. Senza contare la presenza nel Paese di AQAP (al-Qaeda nella Penisola Araba), gruppo islamista responsabile, tra le altre cose, dell’attacco terroristico alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo nel 2015.

Dal punto di vista umanitario, il prezzo che la popolazione civile sta pagando è altissimo: secondo ultime stime Onu, sarebbero almeno 10mila i morti del conflitto e oltre 3 milioni gli sfollati, su una popolazione totale di circa 27 milioni. Secondo dati Unicef, quasi 2,2 milioni di bambini in Yemen soffrono di malnutrizione e ogni 10 minuti uno di loro muore di fame o di malattia, portando mortalità infantile al 63%, un dato che non ha precedenti e che aumenta talmente velocemente che l’Onu ha lanciato l’allarme carestia per il 2017.

Numeri della crisi umanitaria in Yemen aggiornata al gennaio 2017. Credits to: BBC.
Numeri della crisi umanitaria in Yemen aggiornata al gennaio 2017. Credits to: BBC.

Inoltre, nel conflitto vengono impiegate armi proibite dal diritto internazionale, come le bombe a grappolo, di cui si conosce l’utilizzo da parte della Coalizione a guida saudita. L’Arabia Saudita ha ammesso, per la prima volta, di aver usato in Yemen bombe a grappolo di fabbricazioni britannica, come da tempo denunciato a Ong quali Amnesty International e Human Rights Watch; l’Arabia Saudita non ha ratificato la Convenzione sul bando delle bombe a grappolo. Tuttavia, l’uso indiscriminato di queste armi costituisce un crimine di guerra a prescindere dalla ratifica. Il Governo saudita ha annunciato tra le perplessità della comunità internazionale che smetterà di utilizzare simili munizioni. Allo stesso modo, anche i ribelli Houti sostenuti dall’Iran stanno impiegando armi vietate dal diritto internazionale, come le mine anti-uomo, commettendo anch’essi crimini di guerra.

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Il Presidente Trump considera l’Iran il proprio principale avversario in Medio Oriente, e lo Yemen potrebbe diventare il campo di battaglia inevitabile di questa sfida.
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La guerra sembra lontana dalla sua conclusione e nessuno dei due schieramenti è riuscito e limitare le possibilità avversarie di recare danni rilevanti al proprio fronte. Agli inizi di febbraio una fregata classe al-Madinah della flotta saudita, di passaggio al largo dello Yemen, è stata colpita dai ribelli, che hanno anche dimostrato in un altra occasione – un attacco balistico contro una base militare non distante dalla capitale saudita Riad – di disporre di sempre migliori armamenti e di essere in grado di utilizzarli.

Gli Stati Uniti – che con l’Amministrazione Obama sono sempre rimasti ai margini di questo conflitto, in un ottica di distensione con l’Iran – potrebbero cambiare strategia con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. Il Presidente americano considera l’Iran il proprio principale avversario in Medio Oriente, e lo Yemen potrebbe diventare il campo di battaglia inevitabile di questa sfida. Le prime avvisaglie di questo cambio di passo sono già rilevabili dall’aumento del supporto militare alla coalizione a guida saudita. Nei giorni scorsi l’Amministrazione Trump ha approvato l’invio nelle acque yemenite di un cacciatorpediniere classe Burke e, scrive Foreign Policy, è molto probabile che nei prossimi mesi l’attività americana di contrasto ai ribelli Houti in Yemen si rafforzerà con un maggior impegno di droni e operazioni delle Forze speciali e della Marina.

Operazioni militari statunitensi in Yemen non sono peraltro una novità, ma fino ad oggi, con l’Amministrazione Obama, l’impegno strategico era focalizzato al contrasto di al-Qaeda, più che al contenimento della presenza Houti.

Il primo ordine militare esecutivo di Trump ha causato inoltre una piccola crisi diplomatica tra Governo yemenita e Stati Uniti. L’ultima domenica di gennaio un raid delle Forze speciali Usa ha causato la morte di decine di civili e di un Navy SEALs americano, mancando però l’eliminazione dell’obiettivo principale dell’operazione, Qassim al-Rimi, leader di al-Qaeda in Yemen.

Il raid è stato definito un fallimento e il Governo yemenita ha dichiarato – successivamente alla pubblicazione della notizia, poi smentita, di una revoca totale del permesso concesso agli americani di operare sul territorio nazionale – che si dovranno rivedere i termini della cooperazione militare anti-terrorismo tra i due Paesi.

di Samantha Falciatori e Lorenzo Carota