Che aria tira nei Balcani

Credit Boris Grdanoski/Associated Press
Non buona, in effetti. Da qualche mese si assiste ad un inasprirsi delle tensioni diplomatiche nella regione dei Balcani. Le radici di queste tensioni sono le stesse di sempre, e hanno a che fare con i nazionalismi mai sopiti, i conflitti etnici e la voglia di rivalsa di alcuni attori. L’Europa, timidamente, osserva.

“Still, the situation in the former Yugoslavia and Southeastern Europe more broadly is not stable. The crisis plaguing the Balkans then is a crisis of governance and a lack of substantive democracy.”

Jasmin Mujanovic su American Interest

Il 24 maggio si terrà a Roma una conferenza indetta dal Ministro degli esteri italiano Angelino Alfano, con i Ministri degli esteri dei principali paesi balcanici per appianare una situazione politica e diplomatica sempre più complicata. Nella regione infatti si registra un aumento delle criticità nei rapporti diplomatici, dovuto a tensioni etniche e politiche non ancora del tutto superate.

In questo contesto, la Macedonia sta attraversando una profonda crisi politica, la Croazia è impegnata nel miglioramento del proprio arsenale militare e in Kosovo e in Albania si registrano tensioni sempre più forti con la Serbia, che sulle proprie testate giornalistiche paventa la possibilità di una guerra nei Balcani. In Kosovo inoltre il governo è stato fatto cadere con un voto di sfiducia parlamentare: si vota l’11 giugno. Ecco cosa sta succedendo.

Macedonia

La Macedonia sta vivendo una crisi politica che si è concretata nei giorni scorsi in un’irruzione all’interno del parlamento da parte dei sostenitori del partito di Nikola Gruevski, la VMRO. Nell’irruzione sono stati feriti il leader del partito di opposizione Zoran Zaev ed il suo vice. La crisi Macedone ha avuto inizio con le elezioni del dicembre 2016, vinte dal Partito nazionalista di Gruevski, il quale non ha ottenuto però la maggioranza dei seggi sufficienti a governare a causa delle divergenze con lo storico partito alleato, la DUI (partito della minoranza albanese), che si è spostato verso la piattaforma politica composta da altri partiti albanesi.

La Costituzione macedone, dopo gli scontri tra i due gruppi etnici verificatisi in passato, prescrive la necessità di una doppia maggioranza: per alcune leggi non è sufficiente la maggioranza parlamentare ma è necessaria anche la maggioranza dei deputati dei partiti albanesi.

Dopo aver aderito a questa composizione politica, il partito di minoranza albanese ha richiesto, come obiettivo programmatico, l’introduzione dell’albanese come seconda lingua ufficiale in Macedonia, richiesta immediatamente rigettata dalla VMRO. L’incapacità di dialogare con il Partito nazionalista di Gruevski, ha portato la DUI (guidata da Ali Ahmeti) ad allearsi con il Partito socialdemocratico di opposizione, guidato da Zoran Zaev. Nonostante si sia così configurata la possibilità di comporre un esecutivo, il presidente della Repubblica Giorge Ivanov – vicino alle posizioni della VMRO – non ha concesso a Zaev l’incarico.

La crisi è definitivamente scoppiata con l’irruzione dei sostenitori della VMRO nel parlamento quando nonostante un metodo di votazione alternativo basato sull’accordo in aula tra i deputati è stato eletto, con i voti dei socialdemocratici e della DUI, un presidente del parlamento membro del partito di minoranza albanese.

Sostenitori del Primo ministro macedone Nikola Gruevski a Skopje – Credits: Reuters / Marko Djurica
Serbia, Kosovo e Albania.

Il 14 gennaio, per l’inaugurazione di una nuova linea ferroviaria, la Serbia ha inviato in maniera provocatoria verso Pristina (capitale del Kosovo) un treno con i colori della bandiera serba e lo slogan “il Kosovo è serbo”, ripetuto in diverse lingue – tra cui pure l’albanese.

Le autorità kosovare hanno impedito al convoglio di raggiungere la città di Mitrovica, ed il treno – dopo aver fatto tappa a Raska, l’ultima fermata serba prima del confine – è rientrato a Belgrado. Questo screzio, che riporta alla luce vecchi rancori, unito all’acquisto da parte della Serbia di armamenti russi (secondo alcuni una corsa agli armamenti con la Croazia), sta facendo salire ulteriormente la tensione.

L’attuale presidente serbo, al tempo Primo ministro, in merito alle operazioni di riarmo sostenute dal suo governo, già nel 2015 aveva dichiarato: “compito del governo di Belgrado è difendere il paese nei confronti delle provocazioni cui viene sottoposto. Il governo serbo osserva quanto sta accadendo negli altri Paesi della regione e non deve permettere che venga abbattuta l’attuale proporzione di forze presenti sul territorio”.

Inoltre è stata diffusa con toni sensazionalistici dalle principali testate serbe filogovernative, la notizia secondo cui la CIA sarebbe preoccupata per l’aumento delle probabilità di una guerra nei Balcani. Questa notizia, sebbene non collocabile in un reale e profondo contesto di crisi, ha fatto seguito al riacutizzarsi delle tensioni tra Serbia e Kosovo. La caduta del governo kosovaro e le elezioni anticipate che si terranno l’11 giugno aggiungono altre incognite, come ad esempio un rinvio dei colloqui sui confini tra i due paesi, iniziati con fatica due anni fa. Il riconoscimento di confini formali è tra l’altro una condizione posta dall’Ue per concedere al Kosovo visti facilitati per i paesi comunitari, un passo propedeutico all’ingresso nell’Unione.

Già il 18 aprile 2017, il Primo ministro albanese Edi Rama, in un’intervista rilasciata alla rivista Politico.eu dichiarò che se le prospettive di integrazione europea dei Balcani tramontassero, l’unione tra Albania e Kosovo potrebbe diventare realtà.

Questa ipotesi aveva trovato da subito favorevole il leader kosovaro Hashim Thaçi. Thaci ha sottolineato il malcontento di Pristina per lo scarso impegno dell’UE in merito all’integrazione dei paesi balcanici, ed ha affermato che la formazione di un unico stato sarebbe la logica conseguenza nel caso in cui i due paesi non dovessero entrare nell’Unione europea.

Anche se le dichiarazioni di Rama sembrano per lo più funzionali al prossimo appuntamento elettorale previsto per il 18 giugno, le sue parole hanno suscitato una dura reazione da parte della Serbia che disconosce l’autorità di Pristina e considera il Kosovo parte integrante del proprio territorio. Il presidente serbo Vucic ha dichiarato “irrealizzabile” il progetto di unificazione dei due stati, ed ha richiamato Bruxelles ad intervenire nella questione esprimendo la propria disapprovazione alle parole di Rama e Thaçi. Anche il ministro degli esteri Ivica Dačić è intervenuto in modo molto ostile affermando che “l’unione tra Kosovo e Albania è solo un sogno, però i sogni spesso si trasformano in incubi”.

di Giacomo Quartaroli