La tensione in Turchia è senza strategia

Adam Berry/Getty Images
Di Angelica Kaufmann
Si possono rintracciare somiglianze tra l’operato del governo di Erdogan e una forma di strategia della tensione senza cadere in evidenti contraddizioni, ma determinare in modo arbitrario chi reciti quale parte è pericoloso e tutto fornisce meno che una spiegazione che non sia parziale.

Neal Ascherson intitola un articolo del 23 ottobre 2011, apparso sul quotidiano britannico The Indipendent,Bombs will not push angry Italians to anarchy”, “Le bombe non spingeranno gli italiani arrabiati verso l’anarchia.” Questa è la convinzione di Ascherson, di fronte all’elenco degli attentati di cui l’italia era stata vittima nel corso di numerosi decenni. Gli italiani non si sarebbero abbandonati a uno stato di anarchia cosi da permettere l’ascesa di un governo autoritario.

I fatti accaduti in Turchia tra il 5 giugno e l’11 ottobre 2015, sono stati descritti da alcune fonti come caratteristici della messa in atto di una cosiddetta strategia della tensione. Questo temine, familiare alla storiografia italiana del secondo dopoguerra, viene coniato da Ascherson e ripreso da Leslie Finer in un articolo apparso sul settimanale inglese The Observer, il 14 dicembre 1969, il giorno successivo alla strage di Piazza Fontana.

Ma di cosa si parla quando si parla di strategia della tensione? Per strategia della tensione si intende una categoria di operazioni condotte o promosse da organi governativi sotto copertura con lo scopo di destabilizzare e separare le parti di un governo oppure di gruppi di popolazioni, o di regioni territoriali. Il bersaglio della strategia della tensione è l’opinione pubblica; lo scopo della strategia della tensione è la manipolazione dell’elettorato tramite la propagazione di un senso di minaccia nazionale che legittimi uno stato di guerra, e che infine suggerisca l’indispensabile invocazione di un leader forte. Questi scopi si raggiungono tramite diversi mezzi, tra i quali attacchi terroristici, compiuti sotto falsa bandiera, i cui esecutori, (per non parlare dei mandanti) sono difficilmente identificabili. In Italia, tutti i fatti contrassegnati dall’arma stragista tra il 1969 e il 1984, e che hanno avuto per la precisione 208 morti e 817 feriti, sono stati definiti come manifestazione di tale strategia della tensione. Oltre allo stragismo, le principali espressioni di questo fenomeno passano attraverso la creazione di strutture segrete, come ad esempio, Rosa dei Venti, Nuclei di difesa dello Stato, loggia P2, o ancora al livello extraterritoriale, Gladio e stay-behind.

Questi sono alcuni degli strumenti teorici per determinare in quali circostanze si possa parlare di strategia della tensione. Quali di questi strumenti sono apertamente utilizzati nella politica turca? Un’ipotesi è la seguente.

La definizione coniata da Neal Ascherson, allievo dello storico Eric Hobsbawm, aveva come scopo quello di descrivere la politica degli Stati Uniti, che con l’appoggio del regime militare greco, avrebbero voluto destabilizzare i governi democratici delle nazioni con particolare valenza strategica nell’area mediterranea, quindi in particolare Italia e Turchia – anch’essa come l’Italia teatro di stragi tra il 1915 e il 1993.

Analogamente, oggi, la maggior parte delle fonti concorda sul fatto che l’operato del governo di Recep Tayyip Erdoğan, leader dell’AKP, contenga elementi tali da essere definito un esempio di strategia della tensione. Una parte minore trova questa linea di interpretazione scorretta, o almeno insoddisfacente.

Il padre fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, disse che “a meno che la vita di una nazione non sia a repentaglio, la guerra rappresenterebbe un omicidio”.

I turchi, nei cui cuori batte all’unisono un forte rispetto nei confronti del loro padre, sono stanchi di vivere soggetti a una perenne ambiguità che contraddistingue l’azione del governo nella gestione dei rapporti con le regioni del territorio a maggioranza curda (e la rispettiva rappresentanza di questa parte della popolazione nelle istituzioni), ma anche nelle relazioni con il PKK (che si erano stabilizzate al punto da inaugurare un processo di pace poi bruscamente interrotto), con l’oceanico flusso migratorio proveniente dalla Siria e con quella che a tutti gli effetti dovrebbe essere considerata una minaccia, l’ISIS.

Quest’ambiguità che contraddistingue le relazioni intrattenute dal governo dell’AKP con i soggetti sopra citati, si manifesta nella promiscua attribuzione di colpe degli episodi di violenza che si sono verificati tra lo scorso giugno e oggi. La domanda che è lecito porsi è se le bombe spingeranno i turchi verso l’anarchia? E’ risaputo che Erdoğan ambisca a ricoprire il ruolo di nuovo padre della Turchia. In ragione del secolare nazionalismo turco e dell’attaccamento dei cittadini al ‘primo’ padre, Mustafa Kemal, sarebbe quantomeno controproducente condurre la Turchia in uno stato di anarchia. Si potrebbe paragonare la Turchia al teatro delle ombre, dove gli attori in scena sono rappresentati da forze ambivalenti: una nazione che seguirebbe obiettivi molto meno lineari e unitari di quanto potrebbe apparire ai suoi stessi cittadini.

Photo taken in Ankara, Turkey, August 2015 by Angelica Kaufmann
Photo taken in Ankara, Turkey, August 2015 by Angelica Kaufmann

Si possono rintracciare somiglianze tra l’operato del governo di Erdogan e una forma di strategia della tensione senza cadere in evidenti contraddizioni, ma determinare in modo arbitrario chi reciti quale parte è pericoloso e tutto fornisce meno che una spiegazione che non sia fuorviante su uno stato di cose che a un osservatore (anche interno) appare altamente ambiguo. Dall’osservazione della realtà emerge la doppia faccia di una nazione che dietro alle apparenze è molto meno unita di quanto appaia ai suoi stessi cittadini.

Infatti, se un comune denominatore si può trovare nel concetto di strategia della tensione che rispecchi l’operato del governo turco, questo termine è ‘ambiguità’ e viaggia insieme a quello di “irrisolutezza“. In questo senso, sì, si può parlare di stategia della tensione, ma il passo da questo alla conferma dello stragismo è lungo e si affaccia su una voragine di disinformazione. Conserviamo la tensione in questo teatro turco ma parlare necessariamente di strategia è una conclusione priva di fondamenta solide.

Forse all’indomani dei risultati delle prossime elezioni anticipate al 1 novembre 2015, si capirà quale direzione la Turchia abbia deciso di intraprendere, e di conseguenza, se la definizione di strategia della tensione, sia fedelmente applicabile alla descrizione delle intenzioni del suo futuro governo.