Geografia del Rischio: il sud-est asiatico

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"AFP PHOTO / CSIS Asia Maritime Transparency Initiative / DigitalGlobe"
Il Sud Est del continente asiatico continua la sua crescita globale, ma dietro lo scintillare dei nuovi palazzi del benessere finanziario, si celano antichi rancori e nuove tensioni.

Le due precedenti “Geografie del Rischio,” monitor di Zeppelin sulle criticità terroristiche che affliggono le varie regioni del globo, si erano riallacciate a specifici fatti di cronaca internazionale: gli attentati in Mali contro la presenza Onu nel paese, e i tristemente noti attacchi alla Tunisia di questa primavera.

In questa occasione, invece, si prenderà in analisi una regione apparentemente stabile, appena toccata dai fuochi del terrorismo globale e, perdipiù, avviata verso la strada del progresso e dello sviluppo economico e sociale: il sud-est asiatico.

Nel “Secolo del Pacifico”, il Sud Est dell’Asia sembra destinato a essere il nucleo pulsante dei traffici globali. Sempre più capitali, beni, persone e idee graviteranno intorno a quell’imbuto dello stretto della Malacca che delimita Oceano Indiano e Oceano Pacifico: un collo di bottiglia il cui flusso sarà sempre più vitale per gli equilibri globali, e dove, al netto delle problematiche etniche e terroristiche, una delle sfide più salienti è già oggi il controllo dei mari, evidenziato dalle rivendicazioni su tratte e isolotti artificiali avanzate dalla Cina nei confronti dei suoi numerosi vicini, vicini tutelati dalla presenza militare statunitense (è di queste ore il passaggio al largo di uno di questi tratti contesi di un cacciatorpediniere classe Arleigh Burke dell’Uss Navy, a cui la Cina ha risposto in maniera stizzita).

credit: columbia.edu

Sovranità e rivendicazioni a parte, molti Stati della regione sono afflitti da una cronica instabilità interna legata alla loro natura di nazioni crogiolo di etnie e religioni. Ferite le quali, se sapientemente salate, sarebbero in grado d’arrecare gravissimi danni alla regione e, di rimando, ai flussi di movimento mondiali.

[ecko_alert color=”gray”]Indonesia[/ecko_alert]

Partiamo dallo stato “pivot” della regione: l’Indonesia. Questo gigante insulare vanta migliaia di lingue al suo interno, più di 700, e una varietà etnica che ha pochi eguali al mondo. Al contempo, è il paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo. Questo contrasto tra il considerarsi espressione politica di   una realtà tanto composita e la prospettiva di “guidare” una delle religioni più importanti al mondo ha dilaniato l’identità indonesiana fin dalla sua indipendenza. Così, al carattere laico e multiculturale del governo centrale di Giacarta fanno da contrappeso le azioni dei vari governi locali. Tra questi, spicca quello di Aceh, lo stato più occidentale della federazione, governato secondo una legislazione condizionata da una rigidissima applicazione della Shariah coranica (che comprende, ad esempio, pene corporali per gli “adulteri”). Questa schizofrenia tra i vari livelli di governo, oltre che provocare gravi tensioni tra le varie confessioni religiose del paese, rischia di costituire un  terreno molto fertile per l’estremismo islamico, che facilmente s’inserisce al posto del governo centrale come interlocutore per quella fascia di popolazione che, non sapendo con chiarezza come definirsi “indonesiana”, preferisce aggrapparsi all’identità religiosa. A più di un decennio di distanza, il terrificante attacco terroristico in una discoteca di Bali, isola a maggioranza induista, sembra aver colto i suoi avvelenati frutti: 250 indonesiani risultano arruolati tra le file del Daesh e migliaia di indonesiani di religione cristiana stanno fuggendo dalla natia Aceh a seguito delle pressioni e delle violenze esercitate da parte delle componenti estremiste della regione islamica, spesso incoraggiate dal governo regionale: segnali allarmanti che provengono da chi, di un Indonesia multiculturale, non ne vuole proprio sapere, segnali tanto forti da condizionare le mosse di un’intera regione del paese.

[ecko_alert color=”gray”]Malesia[/ecko_alert]

Dall’altra parte dello stretto le cose, seppur non a un così alto rischio di degenerazione, non vanno al meglio. La Malesia ha appena approvato una serie di misure volte a contrastare la “propaganda Isis”. In diverse aree del paese sono spuntate raffigurazioni della bandiera nera del Daesh all’ingresso di quartieri e villaggi e alcuni elementi dell’esercito sono stati arrestati in quanto sospetti simpatizzanti del sedicente califfato, mentre settanta soldati dell’esercito malese pare si siano arruolati tra i ranghi dell’ISIS. Anche in questo caso, l’elemento multietnico del paese, il quale ha dato vita a una Islam locale aperto e tollerante, rischia di essere indirettamente la causa di una progressiva instabilità. Con una numerosa minoranza cinese al proprio interno, l’elemento maggioritario malesiano tende a identificarsi sempre più per mezzo del collante religioso.

[ecko_alert color=”gray”]Filippine[/ecko_alert]

Le criticità della parte insulare del sud-est asiatico arrivano fino alle sponde dell’isola di Mindanao, nell’arcipelago delle Filippine. Qui, la minoranza locale di religione musulmana dei bangsamoro è da decenni impegnata in una lotta per l’indipendenza contro il governo di Manila. Anche in questo caso, il carattere etnico si sta saldando sempre più a quello religioso e già da tempo sono presenti diverse sigle jihadiste nel territorio, tra le quali spicca il Movimento Musulmano per la Liberazione del Bangsmoro, nata nel 1978, la più antica organizzazione islamista armata del Sud Ear asiatico e tra le prime al mondo.


Malesia, Indonesia e Sud-Ovest delle Filippine costituiscono un triangolo al cui centro si trova, con preoccupazione, Singapore. Secondo il Premier della piccola e ricca nazione, Lee Hsien Loong, il “sud-est asiatico costituisce un centro chiave per il reclutamento dell’Isis”. Con un paio di singaporiani identificati tra i “foreign fighters” del Daesh e diversi simpatizzanti arrestati durante la primavera, la cosmopolita città-stato che domina sullo stretto (un’isola a maggioranza cinese immersa in un “mare” musulmano) comincia a temere per sé e di sé, nella fattispecie della sua cospicua e integrata minoranza islamica.

Identità etnica e religione sono le due miscele potenzialmente esplosive della regione. La religione musulmana ha costituito per secoli un elemento chiave per la definizione delle identità nazionali locali, soprattutto in contrasto ai colonizzatori europei. Il Bangsamoro si definisce erede del Sultanato di Sulu, antico regno musulmano antecedente all’arrivo degli spagnoli nelle Filippine che nei secoli ha saputo resistere alle pressioni coloniali, dando ai bangsamoro un’identità del tutto differente rispetto al resto del popolo filippino.

D’altra parte, la varietà culturale e religiosa della regione rischia d’innescare un progetto di balcanizzazione che potrebbe portare a un aumento della violenza. Malesia e Indonesia sono tra i paesi musulmani più tolleranti del mondo islamico, ma ciò non ha impedito a Singapore per la Malesia e, qualche decennio più tardi, a Timor Est per l’Indonesia, di staccarsi dalle rispettive madre patrie. Altre regioni chiave di questi paesi e di altri, come il Bangsamoro per le Filippine, potrebbero reagire allo stesso modo di fronte a una maggiore commistione tra elemento etnico e religione maggioritaria. Dal Sarawak del Borneo malesiano, a maggioranza cristiana, alla Papua Occidentale indonesiana fino all’isola di Bali la cui cultura indù costituisce anche la culla dell’identità indonesiana precedente all’arrivo dell’Islam, un intensificarsi della pressione jihadista potrebbe innescare, come sta già avvenendo in Birmania, un “contro terrorismo” di matrice cristiana, induista o animista. Col rischio che, in un futuro dove l’equilibrio globale sembra gravitare sempre più verso lo Stretto di Malacca, a circolare non sarà solo il progresso e lo sviluppo bensì i più violenti venti dell’intolleranza e del conflitto.