Stragi di migranti nel Mediterraneo: una ragionevole proposta

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credits: Massimo Sestini/eyevine
La condizione geopolitica del Sahel, del Nordafrica e del Medio Oriente è di difficile risoluzione, almeno nel breve periodo. Uno degli effetti di questa instabilità è la fuga di centinaia di migliaia di persone da guerre e persecuzioni. Il naturale sbocco di queste fughe è spesso il Mediterraneo, diventato ormai cimitero per migranti. Reti criminali stanno approfittando di questa situazione disperata per arricchirsi, creando una nuova forma di schiavismo e delineando nuovi rischi geostrategici per l’Europa. Come uscirne?

Negli ultimi due giorni quasi un migliaio di persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa dal Nord Africa. Tra i 700 ed i 900 sarebbero i morti al largo della costa libica, a 200 km da Lampedusa, in quella che se confermata nei numeri risulterebbe la più grave strage nel Mediterraneo dalla fine della  Seconda Guerra Mondiale. Ma i naufragi si susseguono; si parla di uno a Rodi e un’altro, sempre al largo della Libia. Siamo solo ad aprile, e davanti a noi c’è l’estate, periodo nel quale le traversate dei migranti nel Mediterraneo s’incrementano. L’agenzia di controllo delle frontiere europee stima che saranno 500 mila, forse un milione, le persone che nei prossimi mesi tenteranno la traversata. Una situazione insostenibile da qualsiasi punto di vista la si osservi. Quale potrebbe essere la soluzione?

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Partendo dal presupposto che non si può spostare l’Europa altrove, e che non è fattibile costruire muraglie di svariate migliaia di km in mezzo al mare, la soluzione va trovata nell’ambito della politica internazionale e nello specifico alla lotta contro chi queste tratte le organizza e le mantiene attive: i trafficanti.

Alcuni parlano di un “blocco navale” sulla Libia. Proposta assurda, se solo si avesse idea di cosa vorrebbe dire attuare un blocco navale. Se venisse applicato, il problema si aggraverebbe. Un blocco navale in acque libiche comporterebbe respingimenti di navi in stato precario, piene peraltro di persone che di tornare in Libia non ne avrebbero nessuna intenzione. Imporlo vorrebbe dire inevitabilmente essere pronti a combattere in mare aperto, con il rischio di far affondare navi piene di disperati (per poi soccorrerli, e portarli comunque in Italia), che va da sé si attrezzerebbero di conseguenza nei mesi successivi per rompere il blocco ed entrare in acque internazionali. Risultato: ancora più morti, immagine internazionale dell’Europa definitivamente compromessa – sia nel mondo arabo musulmano, con i rischi che ne conseguirebbero, che altrove -, nessun trafficante e scafista di peso eliminato ed assicurato alla giustizia. Chiaramente non è una possibilità auspicabile, ma neppure realistica, attuabile concretamente; soprattutto non si eliminerebbe alla radice nessuno dei problemi. E allora cosa fare?

C’è probabilmente un’unica soluzione percorribile che comporterebbe l’invio di militari sul territorio libico. In breve: prendere accordi con il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale per inviare un contingente militare europeo – possibilmente a guida italiana, visti i buoni rapporti che nonostante tutto il nostro paese vanta ancora con i libici – a pattugliare on the ground le coste libiche. Studiare e scoprire le basi d’appoggio dei trafficanti smantellandole, arrestarne ed interrogarne il più alto numero, così da acquisire conoscenze più dettagliate sulla rete criminale che fomenta questi viaggi della morte. Instaurare successivamente sotto l’egida dell’Onu campi attrezzati, ospedali da campo, strutture per l’infanzia e check point nei punti strategici di passaggio, come peraltro si è fatto e si fa da tempo in molte altre parti del mondo – dal Sudan, al Libano, al Ruanda e così via – in modo da offrire reale aiuto a chi ne ha bisogno. Questi campi dovranno essere dei filtri, e qui – successivamente alle prime cure – dovranno venir controllate le richieste di asilo, i documenti, lo status dei rifugiati e la non pericolosità dei soggetti. Cioè, tutte quelle operazioni che oggi vengono fatte ex post, su territorio europeo, ai sopravvissuti delle traversate.

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Ciò vorrebbe dire coniugare il legittimo bisogno di sicurezza europeo con l’imprescindibile soccorso umanitario. L’Europa nel suo insieme ha le risorse economico-militari per attuare una risposta di questo tipo all’emergenza mediterranea. Quello che manca è il capitale politico, la visione d’insieme e la sinergia di obiettivi. Deve essere chiaro che ci potranno essere delle perdite, dei costi umani oltre che economici. Si dovrà quindi far capire al cittadino europeo l’estrema necessità di azioni di questo tipo. Perché il Mediterraneo è il nostro mare, ed i paesi del Nord Africa un domani potranno essere dei partner strategici in campo economico, energetico e di sicurezza. Voltare le spalle a queste tragedie, oltre che inumano, è anche un comportamento geopoliticamente miope.

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Extra: guarda il fumetto di Makkox dedicato all’argomento. 

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