Chi distrugge il patrimonio archeologico della Siria

CHRISTOPHE CHARON / AFP
Nello stato in cui si trova la Siria oggi può sembrare velleitario il tentativo di distribuire responsabilità sulla distruzione di opere storiche e archeologiche. Ma c’è anche questo nella Siria di oggi, ed è giusto raccontarlo.

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Uno dei tratti mediaticamente più forti dell’autoproclamo Califfato è stata, fin dal principio, la sistematica diffusione di video raffiguranti smantellamenti e demolizioni di reperti archeologici di epoche passate. Simboli storici e culturali rasi al suolo per conto di un’interpretazione virulenta della religione islamica, che non accetta concorrenza ideologica né testimonianze di un passato in cui l’Islam non ebbe un ruolo da protagonista nelle storie di quei popoli che per secoli hanno convissuto nell’area mesopotamica.



La diffusione di questi video fa parte della strategia comunicativa del Daesh (ne avevamo parlato qui), e serve ad aumentare la percezione di grandezza e intransigenza dell’ideologia islamista che guida le azioni del gruppo terroristico. Il picco di risonanza mediatica si è avuto qualche mese fa, quando il Daesh ha iniziato a distruggere e profanare i resti archeologici dell’antica città di Palmyra.

Anche per queste ragioni, fino ad oggi, si era pensato che la violenza contro i miti del passato fosse una prerogativa del Daesh. Una recente ricerca condotta attraverso l’analisi di immagini satellitari da Jesse Casana, e pubblicata dalla rivista American Schools of Oriental Research, smentisce questa intuitiva credenza.

Vista l’evidente impossibilità di recarsi sul territorio, Casana ha scandagliato i database di foto satellitari della Siria (con il supporto della Nasa, del Dipartimento di Stato Americano, dell’azienda satellitare Digital Globe, e del Asor’s Syrian Heritage Initiative, di cui Casana è co-direttore), mappando circa 1.300 siti archelogici sui 15.000 conosciuti. Non è stato sorprendente attraverso queste analisi vedere come nelle aree sotto controllo di Isis fossero molte le devastazioni rilevabili dalle fotografie satellitari. Molto più sorprendente è stato scoprire come significativi danni siano visibili anche in aree sotto il controllo delle opposizioni ribelli, dei curdi dell’Ypg e del governo.

Più precisamente, nelle aree sotto il controllo governativo, Casana ha trovato il 16,5% di siti archeologici con evidenti segni di danneggiamento e saccheggi, percentuale che sale al 26,6% nei territori sotto controllati dalle variegate forze ribelli, e al 27,6% nelle aree sotto il controllo delle milizie Ypg curde. Nelle aree controllate dal Daesh questa percentuale scende al 21,4%.

Satellite Imagery-Based Analysis of Archaeological Looting in Syria Author(s): Jesse Casana Source: Near Eastern Archaeology, Vol. 78, No. 3, Special Issue: The Cultural Heritage Crisis in the Middle East (September 2015), pp. 142-152
Satellite Imagery-Based Analysis of Archaeological Looting in Syria Author(s): Jesse Casana Source: Near Eastern Archaeology, Vol. 78, No. 3, Special Issue: The Cultural Heritage Crisis in the Middle East (September 2015), pp. 142-152

Nel leggere queste fredde percentuali bisogna tenere conto di alcune considerazioni. La più rilevante riguarda l’impossibilità di attribuire in maniera insindacabile – tranne in circoscritti casi – il saccheggio delle aree archeologiche ad una o all’altra fazione; dal 2011 ad oggi i fronti aperti in Siria si sono moltiplicati, e molti territori sono passati più volte da una mano all’altra.

Una seconda considerazione emerge dall’analisi di Casana, che rileva come la maggior parte dei luoghi danneggiati ad esempio in territorio curdo, siano classificati come “danni minori” (qualche buca nel terreno apparentemente dovuta a scavi superficiali con picconi), mentre quasi la metà di quelli rilevati in aree sotto il controllo del Daesh sono stati classificati come “danni gravi” (demolizioni, danni da bombardamenti, e rimozioni complete attraverso buldozer e ruspe).

Secondo alcuni analisti non è peraltro del tutto vero dire che Isis distrugge elementi archeologici antichi con la mera motivazione religiosa, perché questi saccheggi hanno anche uno scopo finanziario. L’estate scorsa il The Guardian pubblicò un’inchiesta che dimostrò come artefatti provenienti dalle zone in mano a Isis tra Iraq e Siria si potessero comprare senza troppe difficoltà sul mercato nero londinese. Per lo stesso motivo si può pensare che anche in zone dove non vi sia presenza di Isis possano verificarsi saccheggi con questo fine lucrativo.

Va ammesso che nello stato in cui si trova la Siria oggi – un paese devastato da una guerra che ha causato più di 250 mila morti – può sembrare velleitario il tentativo di distribuire responsabilità sulla distruzione di opere storiche e archeologiche. Ma c’è anche questo nella Siria di oggi, ed è giusto raccontarlo.