Il Cile di Bachelet: tra corruzione e indignazione

Carabineros
credits: U.UNO
A poco più di un anno dal suo insediamento il Governo di Michelle Bachelet, al suo secondo mandato (2006-2010), è entrato in una fase di crisi a seguito di un grave scandalo di corruzione che ha colpito buona parte della “squadra” di governo, coinvolgendo la stessa Presidenta.

Il Governo di centrosinistra della Nueva Mayoría, la coalizione che riunisce Partido Socialista, Partido Demócrata Cristiano, Partido Por la Democracia, Partido Radical Social Demócrata, Partido Comunista de Chile, Izquierda Cristiana e il Movimiento Amplio Social, a un solo anno dall’insediamento (datato 11 Marzo 2014), vive giá il suo primo momento di crisi istituzionale.

Per far fronte a un calo di consensi e dinanzi a una possibile impasse¸ agli inizi di maggio, Michelle Bachelet ha esortato l’intera squadra di governo a presentare le proprie dimissioni. Tale decisione è maturata a seguito di uno scandalo riguardante la corruzione, che ha coinvolto Ministri e perfino  il figlio della Presidenta. Il figlio di Bachelet, Sebastian Dávalos, sarebbe accusato di aver utilizzato la propria influenza politica per promuovere interessi economici milionari personali; avrebbe partecipato alla riunione presso la Banca Centrale cilena in cui si sarebbe concesso un prestito fiduciario  di circa 10 milioni di dollari ad una società immobiliare di proprietà della moglie. Il prestito sarebbe servito per l’acquisto di un terreno, in seguito rivenduto a cifre molto maggiori con una significativa plusvalenza per la società di famiglia. Oltretutto, il fatto sarebbe avvenuto il giorno seguente dell’elezione di Bachelet, il 13 Dicembre 2013.

Di fronte alla pressione dell’opposizione al Congresso e all’ondata di indignazione popolare, i rappresentanti della coalizione hanno preso le adeguate contromisure: il figlio di Bachelet, Sebastian Dávalos e consorte sono stati espulsi dal Partido Socialista. Oltre a questa misura radicale, stupisce, la fermezza mostrata dalla stessa Presidenta, nei confronti del figlio: dinanzi alle critiche parlamentari o alle interrogazioni dei giornalisti, non ha mai speso pubblicamente un parola in suo favore. Un atteggiamento di per sé significativo.

Nel 2015 in Cile l’intero potere politico ed economico è stato sommerso dagli scandali. Destra e sinistra sono stati ugualmente coinvolti senza distinzione di colore politico. Tali esempi di corruzione bipartisan hanno posto fine alla questione morale (teorizzata in Italia da Enrico Berlinguer) e alla presunta superiorità morale del centrosinistra alla prova di governo.

La sinistra cilena aveva fatto della legalità e della trasparenza il cuore della propria battaglia politica proprio per sconfiggere una destra (politica ed economica) che più volte si era distinta per scandali di corruzione. Tali priorità programmatiche si erano imposte nella coalizione di governo per permettere una reale trasformazione del Paese; cosí facendo, si sarebbe potuto creare un nuovo modello di giustizia sociale, in grado di rispondere alle profonde domande di cambiamento provenienti da numerosi settori della società civile cilena, a partire dalle mobilitazioni studentesche del 2011.

Eppure, come in molte altre parti del continente (in primis il Brasile di Dilma Rousseff) e del Mondo, anche in Cile, la sinistra istituzionale e di governo non ha saputo resistere al fascino della mazzetta, al potere, e così è incappata in più di uno scandalo politico. Di conseguenza, i numerosi casi di corruzione che hanno investito il Paese negli ultimi mesi hanno rischiato di far precipitare la situazione, imponendo al Governo Bachelet alcune soluzioni drastiche. Gli indici di gradimento dei singoli ministri e della stessa Presidenta avevano ultimamente raggiunto i minimi storici; secondo alcune recenti statistiche del Centro de Estudios Públicos (uno dei più influenti think tank del Paese), solo il 29% della popolazione approva l’operato del Governo, mentre la Presidenta Michelle Bachelet godrebbe di un 31% di approvazione. Si tratta di un indice molto basso, se si considera che al termine del primo mandato (2010) Bachelet godeva del consenso di circa l’80% della popolazione.

Oltre agli scandali politici ed economici, negli ultimi tempi il Cile ha dovuto far fronte a due improvvise emergenze: l’eruzione del Vulcano Calbuco, per molti anni inattivo, e il ricorso del Governo di Evo Morales presso il Tribunale Internazionale dell’Aja contro lo Stato cileno per la restituzione dell’accesso al mare. Dopo aver affrontato entrambe le emergenze, Bachelet ha infine optato per un rimpasto di Governo che è stato comunicato in maniera inedita in un paese come il Cile: è stato annunciato nel corso di un’intervista a un programma televisivo di intrattenimento popolare, diretto dal celebre Don Francisco (un Pippo Baudo locale, diciamo) il che ha lasciato senza parole buona parte dell’opinione pubblica cilena e la stessa opposizione parlamentare.

Dopo un fine settimana di intensa riflessione e dibattito partitico, l’11 maggio 2015 sono stati resi noti i nuovi ministri del Governo Bachelet. Buona parte dei ministri sono stati sostituiti, a cominciare dal Ministro degli Interni, Rodrigo Peñalillo, ritenuto da molti un fedelissimo e un intoccabile rappresentante del Governo. Inoltre, il Ministro del Tesoro Alberto Arenas è stato rimpiazzato, cosa mai avvenuta prima fin dai tempi della transizione democratica nel 1990. Ulteriore segnale della gravità della situazione è la cancellazione della viaggio della Presidenta, attesa in Paraguay per una visita ufficiale.

Nonostante le misure d’urgenza implementate dal Governo, nel frattempo, in Cile è cresciuta l’indignazione popolare. La principale opposizione del Governo Bachelet è costituita dagli studenti che, a partire dal 2011 (ancora sotto la Presidenza di Sebastian Piñera), hanno goduto di un crescente consenso popolare; da allora hanno saputo capitalizzare e sfruttare il malcontento popolare, orientando lo sdegno e la collera della società nei confronti dell’intera classe dirigente cilena.

Gli studenti sono stati tra i primi a defilarsi e a smarcarsi dalle politiche governative, mantenendo una posizione critica sul Governo; fin da subito, ai loro occhi, era apparso chiaro che neppure un governo di centrosinistra si sarebbe rivelato un interlocutore credibile, capace di assecondare le loro richieste e trasformare il sistema scolastico cileno – tra i più diseguali e dispendiosi dell’intero continente latinoamericano –  Tra l’altro, non c’è mai stato alcun endorsement da parte del movimento studentesco nei confronti del Governo, sebbene alcuni suoi precedenti rappresentanti abbiano saputo sfruttare la popolarità guadagnatasi nel corso delle mobilitazioni del 2011-2013 a proprio favore, e infine ottenere un seggio al Congresso.

Nel 2015 sono aumentate le mobilitazioni dei movimenti sociali cileni ed è cresciuto il livello di conflittualità. Il primo maggio 2015 Santiago è stata teatro di due imponenti manifestazioni: una oficialista che, pur essendo organizzata dai sindacati di base (la Confederación Unitaria de los Trabajadores C.U.T.) che appoggiano apertamente le politiche del Governo Bachelet, è stata oggetto di contestazioni dagli stessi manifestanti.

La seconda, marcha clasista, riuniva le diverse voci della sinistra extraparlamentare e di movimento, ed è stata duramente repressa dalle forze dell’ordine sulla principale arteria di Santiago, la Alameda, all’altezza dell’Universidad de Santiago de Chile, luogo símbolo delle proteste cilene.

Giovedí 14 maggio, gli studenti hanno convocato una nuova mobilitazione nazionale per rivendicare una riforma del sistema educativo cileno e, al tempo stesso, denunciare la corruzione del Governo Bachelet. Secondo gli organizzatori, alla manifestazione hanno preso parte circa 150.000 persone e, sempre sull’Alameda, sono scoppiati i primi incidenti tra i dimostranti e i Carabineros de Chile.

Oltre alla grande manifestazione di Santiago, anche il resto del Paese si è mobilitato. A Valparaíso, vivace città portuale a un centinaio di chilometri dalla capitale, due studenti cileni (uno dei quali militante nella J.J.C.C., Juventud Comunista sono stati uccisi a colpi di pistola da un residente, per aver realizzato un graffito nei pressi della sua abitazione. L’omicidio dei due giovani ha scatenato una sollevazione in tutto il Paese. La sera stessa, a Santiago, Concepción e nella stessa Valparaíso migliaia di persone hanno organizzato una fiaccolata in memoria dei due ragazzi assassinati.

La settimna successiva, sempre a Valparaíso, in concomitanza con le celebrazioni del 21 di Maggio e il discorso ufficiale della Presidenta alla Nazione, una nuova mobilitazione è stata repressa dai Carabineros, con un bilancio di almeno una trentina di arresti e diversi feriti di cui alcuno uno particolarmente grave.

Infine, il Governo Bachelet ha usato il ‘pugno di ferro’ il giorno 28 Maggio, nel corso di un’ulteriore manifestazione studentesca; anche in questo caso si sono prodotti scontri violenti tra liceali e universitari e la polizia cilena.

Ulteriore prova che nonostante i proclami del governo a favore di una riforma del sistema scolastico e universitario, la distanza tra la classe dirigente cilena e la sua popolazione si mantiene incolmabile, poiché il movimento studentesco conserva ancora il sostegno dell’opinione pubblica, mentre il Governo è sempre più in affanno.