I bambini soldato sono ancora un problema

Child-soldiers of the Mong Tai Army (MTA), drug warlord Khun Sa's army, during tough training with their commander. Tassos S
Esistono luoghi nel mondo dove i bambini invece che andare a scuola, combattono guerre. Nonostante gli sforzi della Comunità internazionale per debellare il fenomeno, oggi circa 300.000 bambini sono arruolati tra le fila di truppe regolari e non in giro per il mondo.

In barba alla Convezione Internazionale sui diritti dei bambini e in particolar modo il Protocollo opzionale relativo al divieto di coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati – non ratificato da Stati Uniti, Somalia e Sud Sudan – si stima che siano circa 300.000 i bambini coinvolti in un trentina di conflitti armati in giro per il mondo. Spesso utilizzati prima come spie, cuochi, sentinelle, trasportatori di armi, poi dopo una breve fase di addestramento, come soldati.

Le cause di questo fenomeno sono diverse da un paese all’altro. Tuttavia è innegabile, i  bambini sono più vulnerabili e facilmente influenzabili rispetto agli adulti, non hanno coscienza del pericolo e spesso non distinguono con chiarezza il bene dal male, per cui il loro convolgimento è totale. Costano poco da mantenere e obbediscono a qualsiasi ordine senza creare problemi di gerarchia. Alcuni si arruolano “volontariamente” per fuggire alla povertà estrema, al maltrattamento, alle varie forme di discriminazione; per alcuni la scelta delle armi sembra l’unica opzione praticabile. Per altri ancora gioca un ruolo determinante l’ideologia, inclusa quella religiosa o sentimenti di vendetta di fronte a violenze subite dalla famiglia; altre volte però come in Libia, Siria e Palestina i bambini si ritrovano semplicemente invischiati nel conflitto.

Cospicuo resta il numero di ragazzi provenienti dalle strade, rapiti perchè orfani che nessuno andrà a cercare. Costretti con la violenza a seguire gli eserciti, spesso drogati, torturati e obbligati a imbracciare le armi.

Secondo la definizione contenuta nei principi dell’UNICEF riguardanti la protezione dell’infanzia, un bambino soldato è un individuo sotto i 18 anni di età, che fa parte di qualunque forza o gruppo armato, regolare e non e che svolga qualsiasi ruolo nell’ambito militare. Nel mondo i bambini continuano ad essere impiegati in diversi conflitti; cerchiamo di capire  dove.

Africa

Il Continente Nero occupa la prima posizione per il numero di conflitti in cui vengono utilizzati bambini come soldati. I recenti conflitti in Mali, Libia, Costa d’Avorio, Centrafrica, Sudan, Congo Kinshasa e Ciad hanno visto tra i protagonisti migliaia di bambini e adolescenti in entrambi gli schieramenti. Mentre in passato molti hanno combattuto in Liberia, Sierra Leone, Mozambico, Angola, Uganda, Somalia.

Siamo a PIBOR, nel Sudan del Sud dove questi ragazzi stanno per essere dispensati e reinseriti all'interno della società civile dopo aver combattuto (Photo by Samir Bol /Anadolu Agency/Getty Images)
Siamo a PIBOR, nel Sudan del Sud dove questi ragazzi stanno per essere dispensati e reinseriti all’interno della società civile dopo aver combattuto (Photo by Samir Bol /Anadolu Agency/Getty Images)
America Latina

La Colombia presenta un triste bilancio. Nel paese sudamericano sono stati oltre 18.000 i minori impiegati nel corso di circa 50 anni di conflitto che oppone la FARC e l’esercito regolare. A Haiti i bambini sono stati usati – durante i disordini interni del 2008 – come spie, trasportatori di armi e anche negli scontri con la polizia e le truppe delle Nazioni Unite. Medesimo scenario in Paraguay e in El Salvador durante i conflitti civili, ma anche in Nicaragua, Guatemala.

Asia

In Birmania questa pratica è radicata. Il conflitto armato che oppone l’esercito regolare ai ribelli nel Myanmar ha registrato il numero più alto di bambini bambini soldato di tutto il continente. Malgrado l’impegno del governo centrale a liberare i ragazzi impiegati nell’esercito, oggi il loro numero rimane elevato.

Inoltre, Thailandia, India, Indonesia, Pakistan, Afghanistan, Filippine, Laos, Nepal utilizzano tuttora bambini nei conflitti armati. Mentre nello Sri Lanka e in Indonesia la pratica sta scomparendo lentamente.

Medio-Oriente

La delicata situazione geopolitica di tutta l’area Mediorientale prepara in un certo i bambini alla guerra. Quando intere generazioni hanno conosciuto come unica realtà, la guerra, diventa alquanto facile imbracciare un’arma, soprattutto se consideriamo conflitti eterni come quello Arabo-Israeliano, la guerra in Siria o in Afghanistan. In queste società i ragazzi diventano adulti in maniera precoce rispetto ai loro coetanei europei,anche se restano bambini costretti a vivere in un mondo che non si cura di loro.

Anche a seguito delle varie rivoluzioni arabe, parecchi ragazzini si sono trovati (e si trovano tuttora) costretti ad abbandonare i banchi di scuola per combattere. Questo semplicemente perché si ritrovano in guerra loro malgrado. I vari conflitti civili e inter-etnici in Iraq, Siria e Yemen hanno spesso visto adolescenti ai posti di combattimento sia da parte dei gruppi regolari che da parte dei ribelli e anche tra le truppe dell’Isis.

Screenshot di un video rilasciato dall'agenzia di Al-Hayat di proprietà Isis
Screenshot di un video rilasciato dall’agenzia di Al-Hayat di proprietà Isis
USA-Europa

L’arruolamento minorile – promosso solitamente dai governi – è diffuso sia in Nord America che in Europa anche se in forme diverse rispetto a quanto descritto finora. Sebbene Washington e Bruxelles abbiano adottato varie risoluzioni per evitare il coinvolgimento di minorenni nei conflitti armati, alcune Ong hanno denunciato il governo americano di sponsorizzare tecniche aggressive per il reclutamento dei ragazzini attraverso massicce campagne pubblicitarie nelle scuole. Di fatto, nella Junior Reserve Officer Training Camps viene insegnata ad adolescenti l’arte della guerra. In America, la scelta da parte di alcuni ragazzi sembra essere puramente economica visto che prevalentemente sono gli afro americani e i latini provenienti da famiglie con reddito basso a scegliere quella strada. Il governo americano ha spesso ingaggiato minorenni nei ranghi dell’esercito durante le sue missioni in Somalia, in Bosnia e durante la Guerra del Golfo.

In Europa troviamo analoghe politiche di reclutamento minorile nel Regno Unito dove diversi soldati ancora minorenni sono stati impiegati durante il conflitto con l’Irlanda del Nord o mandati in Kosovo nonostante il divieto da parte dell’Onu di arruolare minorenni nelle missioni di pace. Inoltre, il governo britannico ha ammesso di aver arruolato circa 15 soldati appena diciassettenne in Iraq durante la seconda Guerra del Golfo nel 2003.

Tuttavia, migliaia di bambini hanno partecipato nei recenti conflitti in Europa. I separatisti del PKK in Turchia hanno spesso arruolato minorenni, l’Ucraina, dopo che la Crimea venne annessa alla Russia. Durante il conflitto etnico di Nagorno-Karabakh in Azerbaigian, in Cecenia, Albania, Macedonia e in quasi tutti i paesi coinvolti durante le guerre jugoslave è stata registrata la presenza di bambini soldato.

E anche una volta terminato il conflitto, il reinserimento nella vita di tutti i giorni rimane uno degli aspetti più complessi da affrontare. Come e dove reinserire un adolescente di quindici anni che fa la guerra da quanto ne aveva sette? Strappati dal loro ambiente naturale, sono spesso stati privati di istruzione e beni primarie e le uniche abilità che hanno sviluppato sono quelle acquisite sotto le armi. I sopravvissuti riportano diverse conseguenze sul piano fisico e psicologico, e non sono abituati alla vita di tutti i giorni. Spesso ritornano in uno stato di estrema povertà. Le organizzazioni statali ed umanitarie forniscono assistenza agli ex bambini soldato attraverso vari programmi che garantiscono loro un’istruzione, e una formazione professionale, ma i ragazzi hanno spesso difficoltà ad adattarsi alla nuova vita. Inoltre, sono spesso stigmatizzati dalla società poiché considerati criminali. Molti sono orfani e a fronte di questa instabilità economica, discriminazione, mancanza di istruzione e sostegno familiare è molto facile che alcuni ritornino ad imbracciare le armi o che trovino scampo nella violenza e nelle attività criminali.

Siamo a Lakokhel nella provincia di Kandahar, dove un soldato americano addestra un adolescente afghano arruolato tra le fila dell'esercito regolare. 2015 Credits to: Ben Brody/The GroundTruth Project
Siamo a Lakokhel nella provincia di Kandahar, dove un soldato americano addestra un adolescente afghano arruolato tra le fila dell’esercito regolare. 2015 Credits to: Ben Brody/The GroundTruth Project

A oggi ci sono varie convenzioni a tutela del bambino, ma come spesso capita vengono bypassate per un qualsiasi interesse nazionale. Nel 2008 – subito dopo la nomina di Obama – il congresso approvò la The Child Soldier Prevention Act. Di fatto, nessun paese avrebbe ricevuto finanziamenti e aiuti militari da parte degli Stati Uniti nel caso in cui avesse impiegato bambini nelle guerre. Ma questo principio verrà applicato solo parzialmente. Durante tutto il suo insediamento, Obama ha spesso usato la sua autorità presidenziale per rinunciare all’applicazione delle sanzioni nei confronti di diversi stati. Di conseguenza Somalia, Sud Sudan, Yemen, Nigeria, Birmania e Iraq – paesi con il forte numero di impiego di bambini soldato nell’esercito regolare – sono tuttora nell’elenco dei governi che usufruiscono parzialmente o in maniera totale di finanziamenti e assistenza militare americana.

Nel corso dei due mandati, il numero dei governi che usano i bambini soldato sono passati da 6 a 10 – molti di questi sono sostenuti dal governo statunitense. Chiaro, l’America è il primo esportatore di armi al mondo ed è un mercato sempre in crescita e Obama non può di certo ignorare questo dato né tanto meno ignorare le lobby delle armi. Ma è altrettanto vero che nei casi dove si è deciso di applicare le sanzioni, questo ha spinto alcuni governi – Repubblica Democratica del Congo, Sri Lanka o Ruanda – a porre fine in gran parte all’uso di bambini soldato e a iniziare un processo di pace tra le parti. Una politica che avrebbe forse portato i suoi frutti sul lungo periodo, ma che necessita di coraggio e responsabilità politica che garantirebbe la salvaguardia dei bambini.

Mohamed Ali Anouar