La Libia continua a rimanere un problema

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Dopo quasi un anno dall’insediamento del Governo di unità nazionale presieduto da Al Serraj, la Libia è ancora lontana dalla stabilità. Tra fazioni in lotta, interferenze straniere, fondamentalisti islamici e trafficanti di uomini, il ponte desertico tra Europa e Africa è in fiamme.

La situazione della Libia continua a essere piuttosto difficile, per usare un eufemismo. Abbiamo parlato più volte dei problemi libici (per esempio qui e qui), ma ora vale la pena fare un altro aggiornamento.

La tensione tra il governo di Fayez Serraj – appoggiato dalle Nazioni Unite, con capitale Tripoli – e quello diretto dal generale Khalifa Haftar – con capitale a Tobruk, nell’est del Paese – non s’è attenuata, anzi. Haftar, supportato dall’Egitto e da alcune milizie indipendenti, continua a rivendicare una credibilità internazionale che d’altro canto il debole governo di Serraj fatica ad ottenere.

Recentemente, anche grazie all’intervento degli Stati Uniti, la fortezza di Isis a Sirte è caduta, riducendo molto le possibilità di un piano B in Libia per il sedicente “califfato”. Negli ultimi giorni si è saputo di nuovi bombardamenti americani su un campo dove le forze di Isis stavano cercando di riorganizzarsi; gli ultimi bombardamenti autorizzati da Obama nel suo ruolo da Presidente, al limite del suo mandato.

credits to: AEI Critical Threats Project

L’intervento statunitense è solo una delle mosse della partita, e forse nemmeno il più rilevante. Il generale Haftar si è rivolto alla Russia di Putin, prendendo contatti con il Ministro della difesa russo ricevendone espressioni di stima e di sostegno e garantendo nuovamente alla Russia una presenza nell’area (con la caduta dell’Urss i russi persero due basi militari concesse dal dittatore libico). Recentemente si è parlato di un accordo tra Haftar e Mosca in cui quest’ultima si sarebbe impegnata a vendere armamenti al generale libico attraverso una triangolazione con l’Algeria, così da bypassare le sanzioni Onu.

Secondo osservatori maltesi, le forze di Tobruk si stanno spostando verso Tripoli, e il portavoce delle milizie di Haftar ha fatto sapere con un tweet che la riconquista di Bengazi è stata completata con la sconfitta nel quartiere di Ganfouda delle ultime sacche islamiste presenti in città.

Al Serraj, a cui il sostegno delle Nazioni Unite non porta fortuna, a sua volta ha cercato di intavolare trattative con l’Egitto, invadente vicino che finora ha sostenuto Haftar, ma durante una sua visita al Cairo i sostenitori di Khalifa Gwell, ex primo ministro islamista di uno dei governi sorti nel tremendo caos post-Gheddafi, hanno tentato un golpe, rivelatosi fallimentare.

Un combattente delle forze libiche alleate con il governo Serraji sventola una bandiera libica dopo la sconfitta di Isis a Sirte, il 6 dicembre 2016 – credits: Hani Amara / Reuters / Washington Post

In questo palcoscenico più che confuso l’Italia cerca di recuperare un po’ dell’influenza che aveva sulla Libia, riaprendo il 9 gennaio la sua Ambasciata a Tripoli, nonostante il rischio ancora molto elevato di attacchi, che infatti si sono verificati quasi subito: un’autobomba è stata fatta esplodere a 300 metri dalla sede dell’Ambasciata, fortunatamente senza causare feriti o danni (sono morti solo i due attentatori).

I primi risultati delle indagini – da prendere con molte cautele – hanno individuato in Haftar il mandante dell’operazione. Le indagini sono state svolte da due milizie alleate di Serraj e nemiche di Haftar, quindi non si può sapere quanto viziate da motivazioni politiche possano essere state nel loro svolgimento. La pista più probabile rimane quella di Isis o di qualche milizia islamista: l’Italia ha schierato 300 uomini a supporto delle milizie di Serraj per sconfiggere Isis a Sirte e altri gruppi islamisti nell’area di Misurata, dove è stato disposto sotto guida italiana un ospedale da campo. Nei pressi dell’Ambasciata italiana, inoltre, c’è anche l’Ambasciata egiziana, che potrebbe essere a sua volta obiettivo di potenziali attentati.

Secondo il Governo italiano, il processo di normalizzazione della Libia non può prescindere dal coinvolgimento di Haftar nei negoziati. A questo proposito l’Italia ha offerto al generale l’invio di medicinali a Tobruk: offerta sdegnosamente rifiutata dall’aspirante Raìs.

L’Italia resta (o vorrebbe restare) l’interlocutore privilegiato della Libia, sia per i grandi interessi economici riguardanti il ghiotto mercato degli idrocarburi quanto quello della ricostruzione, sia per questioni geopolitiche, tra cui il controllo dei flussi migratori.

Per chiudere il quadro, solo poco tempo fa due militari libici dichiaratisi fedeli al’ex dittatore Gheddafi hanno dirottato un aereo per raggiungere Malta, dove hanno richiesto asilo politico: un grottesco riassunto di tutte le contraddizioni che la Libia sta ancora attraversando.

di Federico de Salvo

 

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