La Marina americana di fronte alle sfide del XXI secolo

La Marina americana gode dello status più elevato tra le forze americane e dell’interesse maggiore da parte del Congresso, oltre a essere in grado a sua volta di generare una lobbying consistente. Qual è il suo status e processo d’evoluzione a fronte dei mutamenti geopolitici e militari globali?


In ragione della posizione geografica statunitense, il servizio navale è fondamentale per la difesa avanzata del Paese, sia sul fronte occidentale (Oceano Pacifico) che su quello orientale (Oceano Atlantico),e per servire gli scopi economici e commerciali, così come nel XIX secolo già la Royal Navy britannica fece per il Regno Unito. Non è un caso che uno stato talassocratico come gli Stati Uniti, ossia basato sulla proiezione marina, necessiti del controllo dei mari e degli oceani per potersi assicurare le linee di comunicazione marittime utili all’approvvigionamento e/o all’esportazione dei propri prodotti. Inoltre un ulteriore punto da non tralasciare è che, come sostenuto da numerose teorie geopolitiche classiche, chi è in grado controllare le superfici liquide possiede virtualmente l’accesso a qualsiasi aerea del pianeta.

Diversamente degli articoli dedicati al Corpo dei Marines e all’Aviazione degli Stati Uniti, e in virtù del fatto che la Marina degli Stati Uniti (US Navy) è stata già trattata in modo diretto o tangenziale in una serie di altri articoli illustranti le strategie di Obama verso l’Asia, i desiderata di Trump nell’ambito della “ricostruzione” delle Forze Armate e la sfida posta dalla Repubblica Popolare Cinese, si è deciso di concentrarsi su due ambiti che gli stessi vertici navali statunitensi considerano rilevanti al fine di affrontare le sfide future: l’ambito sottomarino e quello delle unità da trasporto.

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GUERRA SOTTOMARINA – Confrontarsi con la realtà rappresentata dall’ambito sottomarino è senza dubbio affascinante anche perché, a dispetto dell’attenzione mediatica e tecnologica ottenuta dai cosiddetti aerei stealth, l’unica vera arma sostanzialmente invisibile è rappresentata ancora oggi dai sottomarini, in grado di spostarsi da un luogo all’altro del globo senza mai dover riemergere in superficie (almeno per la categoria a propulsione nucleare). Questa caratteristica li rende letali in un confronto con le navi di superficie, come dimostrò settant’anni orsono la famosa Battaglia dell’Atlantico tra convogli alleati e U-Boot tedeschi, e funzionali anche alle missioni di deterrenza nucleare nel caso si parlasse di SSBN, ossia mezzi dotati di missili balistici.

Oggigiorno la Marina degli Stati Uniti è suddivisa dal punto di vista amministrativo in Flotta del Pacifico e Comando delle Forze della Flotta, una dizione piuttosto elaborata per definire ciò che sino ai primi anni 2000 era conosciuta come Flotta dell’Atlantico. All’interno di tale suddivisione sussistono una serie di Flotte “numerate”, schierate in uno scacchiere specifico del globo e allineate con i comandi unificati, comandate da Vice-Ammiragli o Ammiragli. La distinzione si sostanzia a seconda della rilevanza attribuita a quella regione del pianeta e alcune di esse hanno missione puramente addestrativa, come ad esempio la 3a Flotta, mentre altre sono forze operative dispiegate nel teatro delle operazioni, come la 5a Flotta appartenente al Comando Centrale degli Stati Uniti, che copre l’area operativa del Medioriente.

Flotte della U.S. Navy – wikipedia.com

I sottomarini, così come le risorse di superficie e le unità aeree, sono suddivise secondo uno schema generalmente rotazionale all’interno delle diverse flotte sopracitate, sebbene di norma i mezzi collocati all’interno delle forze costituenti una delle due “flotte oceaniche” rimangono a essa legati. Solo nei casi più estremi derivanti da necessità legate a un conflitto o da riorganizzazioni del servizio si assisterà a uno spostamento.

In realtà in questi ultimi anni una delle situazioni appena menzionate ha avuto luogo, attraverso l’aumento delle unità sottomarine nell’area di responsabilità del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, in modo da reagire all’espansione numerica e di capacità da parte della Cina e della branca navale dell’Esercito di Liberazione Popolare. Infatti, nell’ottica di una possibile crisi o conflitto con il gigante asiatico – che potrebbe registrarsi in seguito a dissidi su una pluralità di fattori, Tawain e la questione dell’accesso al Mar Cinese Meridionale in primis -, la Marina statunitense è giunta alla conclusione che i sottomarini saranno la chiave attraverso la quale ovviare alla progressiva vulnerabilità delle portaerei e dei relativi Gruppi da Battaglia, i cosiddetti Carrier Strike Group, di fronte alle numerose armi offensive avversarie, come missili anti-nave a lungo raggio, batterie costiere e missili balistici superficie-superficie.

Tale incremento di risorse verso una specifica area non deve far dimenticare i pattugliamenti marittimi che sono sostenuti anche in altri scenari, specialmente in un momento storico in cui anche la Russia ha, secondo stime del Pentagono e di diversi governi alleati, ripreso le attività navali nell’Atlantico settentrionale e nel Mar Mediterraneo a ritmi non più registrati dalla Guerra Fredda. Testimoni ne sono stati, ad esempio, i lanci di missili da crociera dalle coste prospicenti la Siria contro obiettivi legati a ISIS o ai ribelli. In ogni caso, sotto questo punto di vista, l’impegno maggiore viene svolto dagli aerei per la guerra anti-sommergibile, i P-8 Poseidon, schierati nelle basi inglesi o nel recentemente ammodernato aeroporto di Keflavik (Islanda), uno dei punti d’appoggio imprescindibili al tempo della competizione con l’Unione Sovietica. Questi luoghi, infatti, rientrano nel cosiddetto Giuk Gap (Groenlandia, Islanda e Regno Unito), ossia quel passaggio obbligato per tutti i mezzi provenienti dalla basi navali russe che entrano nell’oceano Atlantico. Non è un caso, tra l’altro, che gli Stati Uniti stiano vendendo i suddetti velivoli a Gran Bretagna e Norvegia, due indispensabili alleati NATO.

Da non dimenticare, inoltre, la recente riattivazione della 2a Flotta, avente come area di operazioni proprio l’Atlantico settentrionale, chee svolge anche funzioni addestrative come quelle assegnate alla “gemella” 3a Flotta nel Pacifico.

GIUK Gap – www.defenseone.com

Ma quali sono i mezzi in dotazione, come SSN, SSGN e SSBN?

La prima categoria include i cosiddetti sottomarini d’attacco, la cui funzione primaria è svolgere operazioni contro navi di superficie nemiche, sebbene negli ultimi modelli della classe Los Angeles siano state aggiunte numerose migliorie tecniche atte a consentire che gli stessi possano dedicarsi anche a bersagli terrestri, impiegando il famoso missile da crociera BGM-109 Tomahawk, protagonista di qualsiasi operazione militare “a stelle e strisce” a partire dalla Prima Guerra del Golfo. 60 unità sono state costruite dalla metà degli anni ’70, benché solo poco meno della metà rimanga ancora in servizio, con una progressiva dismissione a favore delle classi più recenti.

Nell’inventario odierno sono presenti tre esemplari facenti riferimento alla classe Seawolf, i cui piani di costruzione furono interrotti a causa della diminuzione di fondi derivanti dalla fine della Guerra Fredda e in ragione dell’alto costo unitario – circa 3 miliardi di dollari-, che hanno tuttavia trovato ragione d’essere in missioni ad alta segretezza connesse alle attività d’intelligence (piuttosto pubblicizzato ma al contempo nebuloso il caso connesso all’USS Jimmy Carter). Infine vi è la classe Virginia, il cui numero totale nei piani dei vertici navali dovrebbe collocarsi attorno alle 50 unità.

Questi mezzi, presenti in 15 unità, pur comprendenti già tecnologie allo stato dell’arte, sono programmati per ricevere aggiornamenti che offriranno ulteriori capacità, in special modo riguardo l’impiego di droni sottomarini e l’infiltrazione ed esfiltrazione dai teatri operativi delle forze per operazioni speciali della Marina. Inoltre, al momento della dismissione degli SSGN, assumeranno anche il ruolo di strumento principale tramite il quale i comandanti avranno modo di condurre attacchi nei confronti dei territori avversari, in maniera ancor più massiccia di quanto non sia consentito alla data attuale.

Un’altra categoria di sottomarini è quella dei “lanciamissili”, che non sono altro che arsenali navali in cui sono stoccati circa 150 missili da crociera Tomahawk. La loro origine deriva dalla necessità di dismettere un certo numero di sottomarini balistici SSBN in seguito agli accordi START siglati tra Stati Uniti e Federazione Russa; fatto che a cavallo dei primi anni 2000 condusse il Pentagono a riconvertirli, sostituendo le camere di lancio verticali dei missili nucleari con quelle atte alle suddette armi convenzionali. Da tale mossa sono stati ottenuti quattro SSGN (la “G” nell’acronimo si riferisce nella terminologia militare ai guided missiles), in grado di fungere da strumenti di prima utilità in contesti in cui gli attacchi sarebbero stati condotti dal mare; un esempio lo si ha con le salve d’apertura dell’Operazione Odyssey Dawn dell’intervento in Libia. Va ricordato, tuttavia, che nel corso del prossimo decennio questa tipologia andrà progressivamente smantellata.

Sottomarino lancia UGM-109 Tomahawk – www.navy.mil

L’ultima categoria comprende i sottomarini balistici, ossia lo strumento strategico attraverso il quale il governo degli Stati Uniti si garantisce la capacità di second strike nucleare nel caso i silos missilistici posti all’interno delle pianure dello Stato venissero distrutti da un primo attacco nemico. A causa della già citata invisibilità di tali mezzi, il loro ruolo è fondamentale per mantenere un costante potere di deterrenza nei confronti degli altri Stati dotati di armi nucleari; non è quindi un caso che circa la metà degli armamenti termonucleari statunitensi sia trasportata dai 14 sottomarini facenti parte della classe Ohio. Se poi si calcola che ognuno racchiude in sé 24 missili D5 Trident dotati di 12 testate MIRV, che non sono altro che veicoli autonomi di rientro (ovvero testate singole), si capisce l’immenso potere distruttivo posto in un singolo mezzo. In ogni caso la Marina già da qualche anno si sta preparando all’introduzione di una nuova classe, la Columbia, che dovrebbe entrare in servizio alla fine degli anni ’20 e rimanervi per circa cinquant’anni.

UNITÀ DA TRASPORTO – Sebbene gli spostamenti aerei siano centrali nella realtà odierna, non va dimenticato che non tutto può facilmente viaggiare in aria. Si pensi alle unità impiegate dagli Stati Uniti durante la Seconda Guerra del Golfo: dislocare nel teatro iracheno unità di fanteria meccanizzata e corazzata non sarebbe stato possibile senza l’utilizzo di navi, dato che l’aereo da trasporto più grande appartenente all’Aviazione Americana (l’USAF), il C-5M Galaxy, può caricare solo due carri armati. Gli spostamenti marittimi, di conseguenza, risultano essere la chiave di volta anche se sotto questo fronte giacciono numerosi problemi.

Innanzitutto va sottolineato come esista, all’interno della Marina stessa, un comando specifico, il Military Sealift Command, il cui compito è affrontare le questioni di natura logistica riguardanti il servizio medesimo o gli altri all’interno del Dipartimento della Difesa, dal trasporto navale al rifornimento delle navi, passando per le ricerche oceanografiche o il supporto ai test missilistici. In ogni caso, fonte di maggiori grattacapi per il Pentagono, come dimostrato anche dalle indagini degli uffici indipendenti di valutazione, lo si ha nel “Programma per il trasporto marittimo strategico”, che cura il movimento di carichi di qualsiasi tipo, ivi compresi i carburanti, attraverso gli oceani sia in tempo di pace che di contingenze o conflitti. La differenza fondamentale, però, che si riscontra con gli altri tipi di mezzi presenti nell’inventario, deriva dal fatto che questi sono gestiti da marinai civili, a cui è possibile aggiungere personale in uniforme in caso di necessità specifiche. In pratica ci si trova di fronte a una buona parte di navi e personale “a contratto”.

Nave da carico preposizionata – www.navy.mil

Inoltre, in situazioni in cui si necessita di muovere una gran quantità di carichi, è prevista l’attivazione della cosiddetta Ready Reserve Fleet, composta di navi gestite dall’Amministrazione Marittima degli Stati Uniti ma ricadenti sotto il controllo dell’MSC dopo l’attivazione. Essa, non a caso, mantiene risorse dislocate strategicamente lungo ambedue le coste oceaniche del Paese.

Le problematiche di cui sopra concernono il fatto che molte di questi navi sono datate, comportando mancanze dal punto di vista dell’affidabilità, e gestite da una generazione di marinai che manca dell’esperienza necessaria per affrontare situazione belliche potenzialmente rischiose, ad esempio in caso di conflitto con le due potenze nominate all’interno della National Defense Strategy, Cina e Russia, l’ambiente in cui esse andrebbero a operare sarebbe piuttosto diverso rispetto a quello odierno, con l’aggravante che le risorse navali che potrebbero essere impiegate come scorta, ad esempio incrociatori, sottomarini o pattugliatori a lungo raggio, sono presenti in numero ridotto rispetto al passato. Il loro impiego sarebbe indirizzato a operazioni di combattimento.

FUTURO – In conclusione ci si potrebbe chiedere quale sia il futuro che attende la Marina, soprattutto dopo le dimissioni del Segretario alla Difesa James Mattis, avvenute a causa dei ripetuti disaccordi con il Presidente Trump in ragione degli ondivaghi indirizzi strategici di quest’ultimo. La guida del Dipartimento della Difesa è affidata provvisoriamente – ma secondo il Presidente tale situazione potrebbe durare a lungo – a un soggetto con nessuna esperienza in ambito di affari militari, proprio in un momento storico nel quale sarebbe necessaria una chiarezza d’intenti sia nei confronti dei potenziali avversari che dei rapporti con il Congresso.

Si ricordi, ad esempio, le discussioni sull’ipotesi di creare una Marina dotata di 355 navi, i fondi atti al raggiungimento di tale obiettivo, le priorità stesse da assegnare ai diversi programmi, etc.; basti pensare che per lacostruzione della nuova classe Columbia si prevede una spesa di circa 100 miliardi di dollari, che andrebbero a sottrarre risorse ad altre spese ugualmente necessarie; in virtù di ciò, tuttavia, si è costituito nel corso degli ultimi anni un fondo, al di fuori del normale budget, specifico per il finanziamento.

Ciò che è importante affermare sta nella necessità per gli Stati Uniti di mantenere una Marina in grado di svolgere la tradizionale funzione che ha permesso al Paese di crescere e prosperare, ovvero garantire libertà di navigazione e protezione delle linee di comunicazione marittima, ancor di più oggi, nel momento in cui la capacità russa risorge e la Cina incrementa il numero dei suoi mezzi ed espande il suo raggio d’azione e, di conseguenza, le proprie ambizioni.

di Luca Bettinelli