Migranti nel Mediterraneo: Dublino o Montego Bay?

Migranti Sea Watch Italia / via sea-watch.org
Migranti Sea Watch Italia / via sea-watch.org
Migranti e respingimenti in mare. Una questione che sta tenendo banco in Europa, animando sia le relazioni diplomatiche che il dibattito politico tra gli Stati membri. Per iniziare a capire il contesto è utile fare riferimento al Trattato di Dublino e alla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare.

I 47 migranti, salvati dalle acque del Mediterraneo dalla nave Sea Watch3 battente bandiera olandese ma appartenente a un’organizzazione non governativa tedesca (e rimasti bloccati a bordo dell’imbarcazione per 12 giorni, dal 25 gennaio in rada al largo di Siracusa), sono sbarcati questa mattina nel porto di Catania dopo l’autorizzazione del Governo italiano arrivata nel pomeriggio di ieri, mercoledì 30 gennaio.

I minori non accompagnati verranno accolti da strutture preposte nella zona, mentre i maggiorenni saranno alloggiati nell’hotspot di Messina in attesa di essere  trasferiti in Francia, Germania, Romania, Portogallo, Lussemburgo e Malta ovvero i 7 paesi  europei (inclusa l’Italia) resisi disponibili ad accogliere queste persone.

La situazione della Sea Watch3 ha animato le cancellerie e i Governi di mezza Europa impegnati per giorni a rimpallarsi responsabilità pur di non rispettare il principio di solidarietà che secondo i trattati ratificati da tutti i paesi membri, dovrebbe ispirare l’azione degli Stati in materia di politiche migratorie.

L’equipaggio dell’Ong sotto i riflettori fa del suo meglio; così ha commentato Kim Heaton-Heather capo missione di Sea Watch, che ha aggiunto:

Con un’Europa che non intende salvare e collaborare, rimangono ormai pochissime le navi civili di soccorso. Queste fanno del loro meglio per salvare vite e difendere i diritti umani in mare.

Lo scontro diplomatico tra Italia e Olanda è stato poco decoroso: il Governo di Roma – per voce dei due vicepremier – ha chiesto alle autorità olandesi di prendersi in carico l’imbarcazione e i migranti a bordo della stessa.

Una proposta che è stata rispedita al mittente considerato quanto (secondo loro) è previsto dal diritto internazionale del mare e dal Trattato di Dublino.

Amsterdam non è responsabile per la Sea Watch.

Questa la dichiarazione di Mark Harbers, il ministro per le Migrazioni e per l’asilo dei Paesi Bassi, che ha mandato su tutte le furie il Governo italiano che, più di una volta, ha reso nota la sua indisponibilità a far attraccare la Sea Watch3 in uno dei porti siciliani.

Ma come stanno le cose? E chi, tra Roma e Amsterdam, ha la responsabilità di accogliere queste persone?

La Convenzione di Montego Bay

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), il trattato internazionale che stabilisce le norme di comportamento per gli Stati da adottare nei mari e negli oceani, è frutto di una negoziazione iniziata nel 1973 e conclusasi nel 1982 con la firma a Montego Bay – in Giamaica – da parte di oltre 150 paesi tra cui l’Italia che la inserì all’interno dell’ordinamento (con la ratifica) nel 1994, con la legge numero 689.

Il Governo di Roma riguardo al caso Sea Watch3 si è appellato genericamente alla Convenzione (dato che la stessa prevede norme più specifiche) facendo riferimento all’articolo 91:

Le navi hanno la nazionalità dello Stato di cui sono autorizzate a battere bandiera. Fra lo Stato e la nave deve esistere un legame effettivo.

La semplificazione del Governo italiano è la seguente: essendo la Sea Watch3 una nave battente bandiera olandese, l’accoglienza dei 47 migranti spetterebbe ad Amsterdam, poiché l’Olanda sarebbe il paese di “primo ingresso” in Europa in aderenza al Trattato di Dublino III, firmato nel 1990 e entrato in vigore nel 1997, che prevede per il migrante entrato irregolarmente nell’Unione europea l’avvio delle procedure d’asilo nel paese di primo ingresso.

Amsterdam, tuttavia, non solo può appellarsi allo stesso articolo (il 91) per negare l’esistenza di un legame effettivo tra i Paesi Bassi e la nave di proprietà di una Ong tedesca, ma può anche citare una sentenza (tra le altre) pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: quella del caso Hirsi-Jamaa.

La sentenza Hirsi in breve

In questo contesto, tanto complicato dal punto di vista diplomatico quanto politicamente scivoloso, s’inserisce una (tra le tante e talvolta contraddittorie) sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, risalente al  2012.

Nel caso Hirsi la Gran camera della Corte condannò all’unanimità lo Stato italiano, allora governato da Silvio Berlusconi (il cui ministro dell’Interno era Roberto Maroni), per aver violato gli articoli 3 e 4 del Protocollo numero 4 nonché l’articolo 13 (collegato ai due articoli precedenti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) in merito ai respingimenti collettivi in mare verso la Libia, accaduti a 35 miglia dalle coste di Lampedusa il 6 maggio 2009.

La Corte oltre ad aver ritenuto illegittimi i respingimenti verso l’Africa, aveva chiarito che le procedure per l’esame dello status di un migrante dovessero essere effettuate a terra, in quel caso in Italia; si stabilì che un mezzo in movimento non è idoneo alle attività amministrative e di controllo.

Alla luce di questa sentenza, i migranti tratti in salvo dalla Sea Watch3 sono stati trattenuti illegittimamente a bordo dell’imbarcazione dato che, come affermato in quel caso dalla Corte, hanno il diritto di sbarcare in Italia – nel porto sicuro più vicino  – così da avviare le procedure d’identificazione e asilo sulla terra ferma e non su di un mezzo di trasporto.

Serve riformare la Convenzione di Dublino

L’unica soluzione a questa, e altre, impasse diplomatiche deve passare da una riforma del Trattato di Dublino. Una riforma necessaria, già approvata dal Parlamento europeo, nonostante il voto contrario della Lega, ma bloccata per volere dei Governi di Polonia e Ungheria.

Sono proprio alcuni Esecutivi del Gruppo Visegrad, notoriamente euroscettici e riluttanti all’idea di un’accoglienza diffusa dei profughi, a tenere in stallo il Consiglio europeo bocciando ogni riforma del sistema di identificazione dei richiedenti asilo.

Ora, però, l’organizzazione non governativa tedesca proprietaria della Sea Watch3 ha avanzato un ricorso urgente alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Roma dovrà presentare una memoria difensiva sul caso.

L’Italia ritiene che la giurisdizione, nel caso di specie, appartenga all’Olanda, in quanto paese di bandiera della nave che ha effettuato il salvataggio in acque internazionali.

Questo quanto si legge in una nota della Presidenza del Consiglio italiana che ha sottolineato come il Governo abbia comunque messo a disposizione sia generi di prima necessità che assistenza sanitaria.

Ora la palla passa nelle mani dei giudici della Corte europea che dovranno stabilire chi ha ragione. Come abbiamo visto sia Roma che Amsterdam possono appellarsi alla Convenzione di Montego Bay ma l’Italia, in virtù della sentenza Hirsi del 2012 emessa dalla stessa Corte, è stata obbligata a far sbarcare i migranti, così da consentire l’avvio delle procedure d’identificazione da svolgersi sulla terraferma.

Fortunatamente le 47 persone, “oggetto” di questa decisione, non dovranno più aspettare a bordo che i Governi europei si assumano le loro responsabilità.

di Omar Porro