Quanto manca alla “singolarità climatica”?

Donald Jeske / National Geographic
I mutamenti climatici esistono da quando esiste la terra, e l’essere umano ne è già stato spettatore e vittima, per lo più inconsapevole. Oggi però si teme che l’interazione dell’uomo con la natura (dalla colonizzazione del pianeta alla lotta per le risorse) unitamente al ritmo del progresso tecnologico globale, possano innescare una “singolarità climatica“, e cioè un momento in cui i cambiamenti ambientali diventeranno inarrestabili.

La prima volta che si parlò all’interno della comunità scientifica di “ere glaciali” fu nel 1837, e la conferma della loro esistenza in tempi remoti si è potuta dimostrare 33 anni dopo. Oggi è comunemente accettata dalla comunità scientifica la teoria che seziona in “cicli” temporali il clima sulla Terra. I paleoclimatologi dividono lo studio dei mutamenti climatici in Ere (milioni di anni), Periodi (migliaia di anni) e Momenti (centinaia di anni). Questi tre indicatori sono ciclici, e si alternano nel tempo. Sappiamo ad esempio che la prima metà del 2016 è stata la più calda mai registrata da quando si tiene traccia dell’andamento della temperatura globale, ma non possiamo dire niente di così preciso nei riguardi dei migliaia di anni precedenti in cui l’uomo visse sulla Terra.

Da questa scala si può comprendere che studiare dinamiche climatiche in divenire è difficile e aleatorio: i modelli possono replicare situazioni simili del passato immaginando gli effetti sul futuro, ma il sistema climatico è un sistema per lo più caotico, e se è molto comune che si sbaglino previsioni meteorologiche a distanza di pochi giorni, è ancora più complesso delineare scenari climatici precisi di lungo periodo.

Sappiamo quindi che il clima sta cambiando, ma non possiamo sapere precisamente come, con quali effetti e quanto cambierà; in sostanza non abbiamo idea di quanto le cose si stiano mettendo male. Gli scienziati che fanno riferimento al Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da alcuni anni rilasciano dei report annuali in cui provano a spiegare quali potrebbero essere gli effetti dei mutamenti climatici indotti o catalizzati dall’attività umana.

Il lavoro periodico dell’Ipcc – che è un’organizzazione con sede in Svizzera che fa capo all’Onu – è indirizzato ai policymaker della Terra, gli unici che potrebbero avere gli strumenti per attenuare l’impatto dell’uomo sui cambiamenti climatici.

Uno dei co-produttori dei video rilasciati dal gruppo di ricerca intergovernativo, Owen Gaffney Sploid, ha affermato che lo scopo principale del loro lavoro è  “comunicare i rischi climatici in maniera da fare capire a tutti cosa vuol dire quando i climatologi dicono probabile o improbabile. Questi termini possono sembrare vaghi, invece sono più importanti di quel che sembra”.

Secondo alcuni climatologi staremmo entrando in una nuova Era climatica, chiamata Antropocene. L’Era in cui viviamo si chiama Oleocene, ed è iniziata 11.700 anni fa. L’Antropocene, il cui ingresso “ufficiale” nella scienza delle “Ere” climatiche possiamo far risalire ad un articolo del gennaio 2016 pubblicato sulla rivista Science, deriverebbe dall’impatto visibile dell’uomo sull’equilibrio geologico del pianeta (da anthropos, che in greco significa “uomo”). Secondo alcuni scienziati questa “nuova era” non andrebbe a sostituire l’Oleocene, ma viaggerebbe in parallelo ad essa. Sia come sia, possiamo far iniziare questa epoca con lo sviluppo delle grandi comunicazioni, dell’industria e dell’urbanizzazione di massa. In termini di lungo periodo, in pratica, ci siamo da ieri.

L’occupazione umana del pianeta in qualche modo sta cambiando il ciclo globale del carbonio, dell’azoto e dell’acqua. L’effetto antropico (ed entropico) che nasce dall’attività umana andrebbe quindi ad interferire sui “normali” cicli climatici di lungo periodo, alterando lo sviluppo naturale degli eventi – eventi che potrebbero comunque verificarsi ed essere ugualmente catastrofici per l’uomo, magari spalmati su periodi temporali più lunghi.

Il progressivo cambiamento climatico tende ad accelerare in modo esponenziale, gli scienziati – dice Owen – si concentrano sull’aumento del livello del mare alla fine del secolo, ma ignorano il fatto che il livello del mare, aumentando, accelera l’effetto del riscaldamento climatico, creando ulteriori problemi”. In pratica più il livello del mare aumenta, più velocemente aumenterà in futuro: questo processo si rafforza e si velocizza da solo in maniera esponenziale.

Questo concetto può ricordare – ed è strettamente collegato – alla dinamica esponenziale del progresso tecnologico che prende il nome di “Legge dei ritorni accelerati“, che a sua volta è simile alla famosa “Legge di Moore“. Questa legge non è una legge fisica, come d’altronde non lo sono molte leggi scientifiche: è una legge che risulta da proprietà probabilistiche emergenti di un gran numero di eventi di livello inferiore.

Se ad esempio volessimo sapere dove sarà una particella di gas in un determinato momento, pur conoscendo i principi della termodinamica – principi che non sono leggi fisiche – non saremmo in grado di dirlo. Ciononostante, le proprietà generali dei gas sono prevedibili, proprio grazie ai principi della termodinamica.

Per spiegare questo concetto Carlo Rovelli nel suo pamphlet “Sette brevi lezioni di fisica” (edito da Adelphi) fa un esempio chiarificatore:

Pensate ad un palloncino pieno d’aria. Posso misurarlo, misurarne la forma, l volume, la pressione, la temperatura… ma le molecole d’aria nel palloncino stanno correndo veloci al suo interno e io non ne conosco la posizione esatta. Questo m’impedisce di prevedere con esattezza come si comporterà il palloncino. Per esempio, se sciolgo il nodo che lo tiene chiuso e lo lascio libero, si sgonfierà rumorosamente correndo e sbattendo di qua e di là in maniera per me imprevedibile […] Anche se non posso prevedere tutto esattamente, posso però prevedere la probabilità che avvenga qualcosa o qualcos’altro.

Lo stesso vale per la tecnologia e la “Legge dei ritorni accelerati”: ogni singolo progetto e contributo tecnologico è imprevedibile, ma la traiettoria complessiva segue un andamento prevedibile, e noi possiamo intuire grazie all’esperienza che il progresso tecnologico segue una traiettoria crescente ed esponenziale.

La connessione tra l’irreversibilità climatica che nasce da un esponenziale aumento delle temperature terrestri, e l’esponenziale progressione tecnologica, ora forse è un po’ più chiara. Si potrebbe dire, come critica, che la tecnologia permette di inquinare meno. Cosa vera ed incontestabile. Il problema fondamentale è che per arrivare ad avere tecnologie non inquinanti bisogna passare e barcamenarsi tra livelli intermedi molto inquinanti. La Cina ne è un esempio.

Le ipotesi peggiori sul prossimo futuro della vita umana sulla terra parlano proprio di questo: il ritmo del “progresso” globale starebbe portando a cambiamenti ambientali radicali che costringeranno l’uomo ad adattarsi rapidamente a situazioni ambientali estreme. Parliamo della fine della società per come è conosciuta oggi; migrazioni di massa, città sommerse, guerre per le risorse, dissoluzione di entità statali, occupazione di nuovi territori prima inabitabili (come l’Artico e la Siberia), eccetera.

Per rimanere in tema tecnologico, questo processo ci porterà a quella che si potrebbe definire come “singolarità climatica“, e cioè quel momento in cui i cambiamenti ambientali saranno troppo progressivi e avanzati per poter essere arginati, e l’eventuale “rivoluzione verde” diventerà inutile e irrilevante. Ma cosa vuol dire singolarità?

Nel campo della tecnologia la singolarità è intesa in diversi modi. Per Ray Kurzweil, uno dei più importanti teorici della singolarità, questa

è un periodo futuro durante il quale il ritmo del cambiamento tecnologico sarà così rapido, e il suo impatto così profondo, che la vita umana sarà trasformata in modo irreversibile.

Nessuno ha mai pensato che questa singolarità possa corrispondere al momento di “singolarità climatica”.

Secondo le previsioni degli scienziati dell’Icpp il “punto di non ritorno”, cioè quel momento in cui sarà troppo tardi per invertire o rallentare drasticamente il cambiamento climatico di natura antropica, arriverà – salvo radicali ed improbabili cambiamenti nelle policy globali – verso il 2040. Secondo Kurzweil la singolarità tecnologica si verificherà intorno al 2045. In bocca al lupo.

di Lorenzo Carota