Gli Usa, la Siria e la strategia di non avere una strategia

Un combattente dell'FSA nutre un gatto ad Aleppo, 6-01-2013. Credit to: Muzaffar Salman/Reuters
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
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Il programma di addestramento dei ribelli siriani è un fallimento. Gli USA non vogliono che gli stessi attacchino Assad; per questo puntano sui curdi e si oppongono a una NFZ. Gli attriti con la Turchia e con i ribelli non potrebbero essere maggiori, mentre gli interessi convergono sempre di più con quelli di Assad e dei suoi alleati. Cerchiamo di capire perchè.

Esiste una strategia USA in Siria? Il fatto che il sostegno degli Stati Uniti ai ribelli siriani non abbia prodotto risultati negli ultimi 4 anni dovrebbe sollevare delle domande. Tra le altre, perchè gli USA si sono sempre opposti a una zona cuscinetto (tanto chiesta dall’opposizione siriana) che tutelasse le aree densamente popolate sotto il controllo dell’opposizione?

Tanto una no fly zone (NFZ) quanto una buffer zone nel nord della Siria sono sempre state fuori discussione. La Turchia ha insistito molto su questo punto, incontrando sempre l’opposizione degli Stati Uniti; per molto tempo ha negato l’utilizzo delle sue basi aeree alla coalizione internazionale in lotta contro l’ISIS nella speranza di vincere le resistenze americane, poichè riteneva che qualunque intervento in Siria volto a eliminare ISIS non potesse prescindere dall’affrontare anche le truppe di Assad, da sempre più impegnate a radere al suolo le città sotto controllo dei ribelli che a ostacolare l’ISIS.

Al contrario, gli Stati Uniti hanno statuito tra le eventuali regole d’ingaggio che in Siria si debba attaccare solo l’ISIS e non Assad. Una visione miope di affrontare il problema che ha portato la Turchia e gli USA ai ferri corti.

Sebbene i numeri rivelino che oltre l’87% dei civili massacrati in Siria viene uccisa dalle bombe, dall’artiglieria e dalle camere di tortura del governo siriano e solo il 18% dagli attacchi di ISIS ne conseguirebbe che per la popolazione di Aleppo e Idlib una NFZ sarebbe indispensabile. Non lo è però per gli USA. Non solo perchè sarebbe un’azione di guerra contro Assad (da scongiurare), ma anche perchè gli USA desiderano che Assad (almeno per ora, tempo di negoziare) resti al potere.

Lo dimostra il riavvicinamento di fatto tra Usa e Russia. Al coinvolgimento militare diretto di Mosca, gli Stati Uniti hanno reagito dapprima con giorni di silenzio, poi esprimendo “preoccupazione” durante una telefonata Kerry-Lavrov. A fugare ogni dubbio ci sono le parole di Kerry che il 19 settembre, a Londra, ha dichiarato  che gli Stati Uniti sarebbero pronti a negoziare se anche Assad avesse le stesse intenzioni e che la sua eventuale uscita di scena non dovrebbe “essere nel giorno uno o mese uno, ma frutto di un processo [di negoziazione]”. Lontani i giorni in cui Obama sosteneva a gran voce che Assad dovesse lasciare il potere.

Un drastico cambio di rotta? Non proprio, perchè il sostegno militare americano all’opposizione siriana sul campo è debole e inefficace già da tempo. I timori dell’opposizione siriana di venire indebolita nella lotta contro Isis dalle reali intenzioni che spingevano gli Usa a entrare in guerra per combatterlo, si erano manifestati un anno fa, con l’avvio della campagna aerea. Un ruolo esitante (o cauto?) quello degli Stati Uniti che avrebbe inasprito la radicalizzazione e la frammentazione dell’opposizione siriana.

Per capirlo meglio, si rimanda alle dichiarazioni di Hillary Clinton sul mancato sostegno di Obama all’opposizione moderata, fattore che secondo alcuni avrebbe rafforzato Assad e favorito l’ascesa di ISIS. Le relazioni tra USA e opposizione siriana erano sempre più tese e le preoccupazioni di quest’ultima, erano fondate, dato che già allora gli USA avevano rassicurato l’Iran – con cui era in gioco il complicato accordo sul nucleare – che Assad non sarebbe stato l’obiettivo degli interventi militari anti-ISIS.

Tuttavia, nel maggio 2015 gli USA hanno annunciato un programma di addestramento, prima in Giordania, poi anche in Turchia, da 500 ML$, rivolto ai ribelli moderati (FSA) che avrebbero dovuto combattere ISIS. Inizialmente, la risposta dell’FSA fu positiva e si iniziò con lo screening di circa 5,000 combattenti; di questi però, pochi, hanno iniziato il programma. In Giordania, su 3,740 volontari, solo 400 hanno iniziato l’addestramento. Ciò da un lato rivela le difficoltà di selezione nella variegata costellazione delle fazioni che compongono l’opposizione, di certo non tutte affidabili, dall’altro rivela l’inaccettabilità delle regole di ingaggio: le truppe di Assad non devono essere l’obiettivo.

Come si può pretendere che uomini che combattono il regime da oltre 4 anni e che hanno disertato dall’esercito regolare per non eseguire gli ordini di massacro contro la popolazione civile possano accettare di non combattere le truppe governative? Quando i ribelli hanno carpito queste implicazioni, hanno criticato il piano, tanto che a fine maggio molti di loro hanno cominciato a ritirarsi dal programma. Mustapha Sejari, comandante dell’FSA e co-fondatore del Revolutionary Command Council, ha dichiarato che 1,000 miliziani si sono iscritti al programma ma pensano di ritirarsi perchè: “[I miei uomini] non vogliono far parte di questa politica, perché può essere usata contro di loro in Siria – [si dirà] che hanno tradito la rivoluzione e che ora sono solo mercenari per le forze della Coalizione”. Di fatto, quello che volevano gli USA.

 strategia USA in Siria
Una delle 20 foto vincitrici del Premio Pulitzer 2013 nella categoria “Breaking News Photography”ad opera di un gruppo di fotografi dell’Associated Press. Cecchini dell’FSA mirano a una postazione nemica a Karm-al Jabal (Aleppo), 18 Ottobre 2012. Credit to: Javier Manzano (AP)

Ma Sejari precisa: “Se qualcuno senza conoscenza militare esaminasse questo programma, si renderebbe conto che non è progettato per avere un impatto o per sostenere il popolo siriano. Contribuirà solo a prolungare il conflitto. Abbiamo combattuto per 4 anni, anche senza programma”.

Il che evidenzia ciò che l’opposizione ha sempre detto: essendo per lo più disertori dell’esercito regolare non hanno bisogno di addestramento, ma di armi. L’ambiguità del programma si capisce da ciò che è avvenuto il 31 maggio 2015, quando ISIS sferrò un attacco da terra contro FSA e al-Nusra nella periferia a nord di Aleppo, nei sobborghi di Mare’a e Sawran. Quel giorno, in appena 24 ore, ISIS conquistò Sawran minacciando Mare’a. L’Aleppo Military Council chiese subito l’intervento della Coalizione, la quale negò aiuto in quanto impegnata a Raqqa a dare copertura aerea ai curdi che in quelle ore, coadiuvati da altre fazioni dell’FSA, stavano liberando alcuni villaggi da ISIS.

La cosa curiosa è che mentre ISIS attaccava da terra FSA e al-Nusra, l’aviazione del governo siriano li bombardava dal cielo, preferendo colpire loro anziché ISIS (che minacciava di arrivare ad Azaz fino al valico di frontiera con la Turchia di Bab al-Salameh) di fatto fornendo sostegno aereo agli uomini del Califfo. Nonostante ciò Mare’a resse e anche Sawran fu riconquistata nei giorni successivi, anche se recentemente sono tornate sotto attacco e il fronte è tuttora molto caldo. La presenza di al-Nusra, a dare manforte all’FSA durante l’attacco, ha complicato di certo le cose; fu probabilmente uno dei fattori che spinse la Coalizione al non-intervento. Comunque, il rischio che ISIS conquistasse quella zona spingendosi fino alla frontiera turca non venne evitato.

Credit to @deSyracuse
Credit to @deSyracuse

Il Brigadier Generale Zaher Saket, ex comandante addetto alle armi chimiche nella 5° Divisione dell’esercito siriano, che ha disertato nel marzo 2013 e che oggi è capo del l’Aleppo Military Council e del Chemical Weapons Documentation Center (che collabora con la missione ONU dell’OPAC), sostiene  di avere le coordinate precise degli impianti controllati da ISIS e delle loro posizioni in città come Raei, Manbej e al-Bab, nei sobborghi di Aleppo. Per mesi ha cercato un coordinamento con la Coalizione in chiave anti-ISIS, senza ricevere alcuna risposta dallo US Central Command. Il mancato sostegno USA all’FSA non potrebbe essere più chiaro.

Credit to: @arabthomness
Credit to: @arabthomness

Nel luglio 2015 il primo gruppo di ribelli addestrati dagli USA della 30° Divisione dell’FSA entrò in Siria  con circa 54 unità, troppo poche sia rispetto alle aspettative che alle esigenze sul campo. Il colpo di grazia è arrivato a fine luglio 2015 con il primo rapimento  da parte di al-Nusra di 2 comandanti e 6 soldati della 30° Divisione, per stroncarla con l’accusa di essere spie al soldo dell’America. Gli USA hanno negato l’accaduto ma ai primi di agosto c’è stato un secondo rapimento  di altri 5 combattenti della stessa divisione.

Ciò pone molti problemi, a cominciare dalla protezione che questi combattenti anti-ISIS dovrebbero avere. Apparentemente nessuna, il che rende ancor meno credibile  l’intero programma agli occhi dei siriani che dovrebbero farne parte. A complicare le cose c’è l’accusa di alcuni combattenti della 30° Divisione secondo cui il rapimento da parte di al-Nusra sarebbe stato orchestrato di concerto con l‘intelligence turca per spingere gli americani a fare di più non solo contro ISIS ma soprattutto contro Assad. Per saperne di più, clicca qui.

Di fatto il programma è un fallimento  per la pretesa di essere solo anti-ISIS e non anti-Assad e non è un caso se gli USA si sono concentrati sui curdi, che non hanno grossi problemi a ignorare o persino collaborare con le truppe di Assad nell’est del Paese, sostenendoli con armi, con copertura aerea e, come da recente ammissione, con truppe delle forze speciali americane che sono in Siria ad assisterli.

Ed è proprio il sostegno americano alle truppe curde l’altro motivo di attrito con la Turchia, preoccupata dall’avanzata dei curdi lungo il confine, che dopo aver conquistato Tal Abyad si muovono a connettere l’autonoma provincia di Rojava a est con quella a ovest di Efrin. Un progetto di un kurdistan autonomo che la Turchia non può permettere e che ha richiesto un intervento militare, ufficialmente contro ISIS, ma di fatto più contro i curdi. L’anello di congiunzione sono le fazioni moderate dell’FSA che nel nord-est combattono l’ISIS a fianco dei curdi dell’YPG e a nord-ovest combattono sia contro ISIS che contro Assad. A Washington serve una forza che combatta ISIS ma non Assad (per iniziare i negoziati). Quando Kobane è stata liberata da ISIS, i curdi sono finiti sotto i riflettori come gli eroi di Kobane, unica forza che sta effettivamente combattendo ISIS; ma non sono proprio gli unici, dato che fazioni dell’FSA combattono al loro fianco. È ad Aleppo che l’FSA combatte l’ISIS senza l’aiuto nè dei curdi nè della Coalizione (ma paradossalmente con quello di al-Nusra, sebbene non per motivi ideologici ma puramente militari), tant’è che né i curdi né la Coalizione sono intervenuti quando ad agosto l’ISIS ha usato armi chimiche contro FSA e al-Nusra a Mare’a (Aleppo). Sembra un circolo vizioso: gli USA diffidano dell’FSA perchè affiancato da al-Nusra, anche se questo affiancamento è probabilmente dovuto al mancato sostegno americano all’FSA che si ritrova male equipaggiato contro ISIS e Assad, mentre al-Nusra, decisamente meglio armato e organizzato, è disposto a combatterli entrambi.

Sull’altro fronte, quello sud, il programma di addestramento ha dato risultati più positivi, portando alla formazione di una compagine interamente moderata che aveva dato molte speranze. Peccato che si sia arenato. L’offensiva del Southern Front (milizie anti-Assad e anti-ISIS) su Deraa si è rivelata un fallimento non solo per gli errori tattici commessi, ma anche perchè è venuto meno il sostegno del Military Operation Center in Giordania (a guida americana) che ha interrotto ogni supporto logistico e militare. Viene da chiedersi perché proprio ora. Ma le contraddizioni non finiscono qui, perchè alla luce del fallimento del programma di addestramento gli USA hanno annunciato che stanno lavorando al suo aggiustamento. Cosa significhi, non si sa. Il 16 settembre 2015 durante una sessione dello US Central Command, il Generale Lloyd Austin si è limitato a dire, a proposito del programma: “Anche se il programma ha avuto un avvio lento, in gran parte a causa della complessa natura dell’impresa, restiamo fiduciosi che in futuro porterà i suoi frutti”.

Al di là delle parole, i fatti sul terreno raccontano un’altra storia. I recenti sviluppi diplomatici, politici e militari, il riavvicinamento con l’Iran, il disimpegno americano in Medio Oriente e la minaccia posta da ISIS stanno avvicinando sempre di più gli USA agli interessi di Assad che, sotto la pressione dei suoi alleati, potrebbe anche accettare una soluzione: secondo il Cremlino, Assad starebbe valutando un piano di pace propostogli dall’Iran, dopo l’approvazione unanime del Consiglio di Sicurezza dello statement S/PRST/2015/15 del 17 agosto in cui si parla di un piano di pace su cui Ban-Ki Moon dovrà esprimersi entro 90 giorni.

Principali fronti aperti in Siria. Credit to: Al-Araby
Principali fronti aperti in Siria. Credit to: Al-Araby
di Samantha Falciatori