Tensioni al confine tra Colombia e Venezuela

credits: REUTERS/Jose Miguel Gomez
A partire dagli incidenti dei primi anni 2000, le relazioni bilaterali tra Colombia e Venezuela non si sono mai ricucite totalmente. Frequentemente, alle prime avvisaglie di crisi tra i due Paesi, si getta benzina sul fuoco da entrambi i fronti; la tensione viene infine strumentalizzata politicamente, rischiando così (ripetutamente) di provocare un’escalation.

Nell’ultimo mese, le relazioni tra il Governo colombiano ed il suo omologo venezolano hanno raggiunto un nuovo punto di rottura.

Dopo un periodo relativamente tranquillo, la tensione ai confini tra i due Paesi è tornata ad essere palpabile. A scatenare una nuova crisi diplomatica, la decisione del Presidente Nicolás Maduro di chiudere la frontiera con la Colombia, a seguito dell’ennesima incursione armata di corpi paramilitari colombiani in territorio venezolano. Tale misura, adottata a seguito dello scontro a fuoco il 19 Agosto 2015 e prevista inizialmente per una durata limitata di 72 ore, ha invece provocato una reazione a catena i cui effetti sono difficili da misurare.

A seguito della reazione del Governo di Juan Manuel Santos, Nicolás Maduro ha dichiarato lo Stato d’Emergenza per una durata di 60 giorni prorogabili. La chiusura delle frontiere con la Colombia ha segnato in Venezuela l’avvio di una nuova politica pubblica, conosciuta come “Operación de Liberación del Pueblo” (Olp), con l’obiettivo di sradicare il fenomeno del paramilitarismo in territorio venezolano.

Da allora, secondo le Nazioni Unite circa 1.400 cittadini colombiani residenti in Venezuela sono stati “deportati” in Colombia; 18.000 invece hanno deciso spontaneamente di varcare la frontiera. Certamente si tratta di numeri importanti; “l’esodo forzato” (di cittadini colombiani) ha inoltre prodotto innegabili disagi per gli sfollati colombiani espulsi dal territorio venezolano che sono finiti in centri di accoglienza allestiti dal governo colombiano in diversi centri ubrani del Paese proprio per fare fronte all’emergenza provocata dalla decisione del governo venezolano.

Tutto ciò è stato ampiamente documentato dalle televisioni colombiane che, da allora, hanno iniziato un “bombardamento mediatico” contro il governo e la popolazione venezolana. Tuttavia, se tali immagini hanno prodotto gli effetti sperati sull’opinione pubblica colombiana è anche perchè i media colombiani non sembrano aver dedicato altrettanta attenzione e visibilità alle stime relative all’accoglienza di 5,7 milioni di colombiani in territorio venezolano. Molti dei quali hanno trovato rifugio in Venezuela in quanto vittime del conflitto interno colombiano e della violenza paramilitare.

La chiusura delle frontiere tra Venezuela e Colombia avrà inoltre ripercussioni dal punto di vista commerciale, malgrado la profonda interdipendenza economica tra i due Paesi. Gli scambi commerciali, negli anni, sono continuati nonostante le numerose controversie emerse nel tempo e le divergenze politiche e governative.

Per il momento la Colombia si rassegna di fronte alla prima sconfitta diplomatica, poiché non è riuscita ad ottenere i numeri necessari presso l’Oea. (Organizzazione degli Stati Americani) per richiedere una riunione d’emergenza (per discutere della questione) presso la sede dell’Organizzazione. Di conseguenza il Governo colombiano ha dovuto rivolgersi all’alleato statunitense e alla Comunità Internazionale sollecitando l’intervento delle Nazioni Unite per una risoluzione della controversia.

colombia e venezuela
Un manifestante lancia pietre alla Guardia Nazionale al valico di confine tra Colombia e Venezuela/ credits: REUTERS/Manuel Hernandez

Non è certamente la prima volta che si verifica una crisi delle relazioni bilaterali tra i due paesi in zone di frontiera. Già nei primi anni 2000, si sfiorò ripetutamente l’escalation armata, quando da una parte il Presidente colombiano, Álvaro Uribegrande alleato del Presidente George W. Bush nella regione latinoamericana – e dall’altra il Comandante Hugo Chávez, al seguito di reciproche provocazioni retoriche ma anche politiche, scherzarono con il fuoco. Se da una parte Uribe accusava Chávez di sostenere economicamente e appoggiare militarmente le diverse forze guerrigliere colombiane, dall’altra vi era un’ingerenza del paramilitarismo colombiano (radicato in buona parte delle zone di confine) sul suolo venezolano.

Sin dai primi anni 2000 incursioni e azioni di sabotaggio contro gli oleodotti presenti in territorio venezolano sono all’ordine del giorno. I gruppi paramilitari colombiani entrano regolarmente in territorio venezolano con l’obiettivo, non più celato, di indebolire il governo bolivariano. Oltre alle azioni di sabotaggio, le infiltrazioni da parte di corpi paramilitari hanno coinciso con il proliferare di un business del contrabbando del petrolio e un aumento significativo del narco-traffico, contribuendo all’instabilità dell’intera zona di frontiera.

A giudicare dagli eventi delle ultime settimane,  si potrebbe affermare che nulla o quasi sia cambiato da quegli anni. Eppure, la situazione politica interna di entrambi i Paesi oltre al contesto regionale, almeno sulla carta, sembrano essere assai diversi. Nei primi anni 2000, in un momento storico delicato per la Colombia che entrava a pieno titolo nella categoria dei Failed States, il Presidente Álvaro Uribe, faceva propria la  “War on Terrorism” del Presidente George W.Bush, ed in particolare la dottrina della guerra preventiva. L’applicazione di tale principio, in salsa colombiana, radicalizzò gli effetti del Plan Colombia: venne presentata la Doctrina de Seguridad Democrática, si sfiorarono attacchi diretti alle formazioni guerrigliere e si promuovettero politiche di repressione della dissidenza mai raggiunte in precedenza.

Dal punto di vista puramente militare la “Doctrina de Seguridad Democrática” si può dire che abbia avuto successo; ha raggiunto i suoi obiettivi e inflitto alcune pesanti sconfitte alle diverse affiliazioni guerrigliere ostili presenti nel Paese in Colombia. Tuttavia, tale politica ha un costo sociale elevatissimo per il numero di vittime e di desplazados che supera i 4 milioni di persone. Da allora, i numeri degli sfollati interni e dei rifugiati all’estero, secondo l’Unhcr, sono inferiori solamente al Sudan. Inoltre, pur avendo dato una spallata decisiva alle formazioni guerrigliere presenti nelle zone rurali del Paese, il Governo Uribe non è stato in grado di risolvere la questione per eccellenza: la riforma agraria e la proprietà terriera. Non affrontando direttamente un tema centrale per ristabilire la pace in Colombia, non si sono poste le fondamenta necessarie per garantire la giustizia sociale. Oggi, con il secondo Governo del Presidente Santos (rieletto nel 2014), si sono registrati dei progressi sostanziali con l’evoluzione dei negoziati con le Farc e l’avvio di colloqui esplorativi con l’Eln.

In passato vi è stata certamente una linea di comunicazione oltre che un margine di collaborazione tra il governo di Chavez e le formazioni guerrigliere colombiane. Inoltre, nel 2008, a seguito di alcune imponenti operazioni militari dell’esercito colombiano in territorio ecuatoriano (in cui rimasero uccisi 18 guerriglieri colombiani, 4 studenti messicani ed un cittadino ecuatoriano), il Governo venezolano che sosteneva il Presidente ecuatoriano Rafael Correa, scatenò una crisi diplomatica con il Governo colombiano, che più volte fu sul punto di tramutarsi in un conflitto armato, con imponenti mobilitazioni militari e dispiegamenti di truppe ai confini.

Da allora, i presidenti che si sono succeduti – nell’ordine Juan Manuel Santos in Colombia e Nicolás Maduro in Venezuela – non hanno apportato alcuna sostanziale evoluzione nei rapporti bilaterali, sicché, a partire dagli incidenti dei primi anni 2000, sino ad oggi le relazioni tra i due paesi restano tese. Come già avvenuto in passato (soprattutto durante la presidenza Uribe e Chávez), alle prime avvisaglie di crisi, si getta benzina sul fuoco da entrambi i fronti; la tensione viene infine strumentalizzata politicamente, rischiando così ripetutamente di provocare un’escalation.

La vera novità rispetto gli anni passati è rappresentata da un fenomeno denominato neo-paramilitarismo, attivo nelle zone di frontiera. Secondo Jorge Restrepo, direttore del Centro Independiente de Recursos para el Análisis de Conflictos di Bogotá, il neo-paramilitarismo si distingue principalmente per due sue caratteristiche. Da una parte, nelle zone rurali agisce come corpo di sicurezza al soldo della grande proprietà terriera colombiana e delle grandi multinazionali del settore agro-industriale e petrolifero. Spesso si sostituisce all’autorità statale (tutt’oggi inesistente in molte zone), compiendo gesti facinorosi nei confronti della popolazione rurale, sottraendo ai piccoli agricoltori la proprietà della terra.  D’altra parte, il neo-paramilitarismo è funzionale al crimine organizzato e agisce in maniera offensiva e violenta (soprattutto nelle zone dove negli anni ’90 era attivo un corpo paramilitare Autodefensas Unidas de Colombia, A.U.C., nel Nord del Cauca, nel Catatumbo e nella regione di Cúcuta, al confine col Venezuela), contribuendo all’economia illegale. Questo è avvenuto, principamente, a seguito del processo di smobilitazione dei corpi paramilitari avviato dal Presidente Uribe a partire dal 2003; infatti, secondo buona parte delle associazioni dei diritti umani colombiani ed internazionali, tale fenomeno non ha mai ottenuto i risultati sperati, garantendo nella gran maggioranza dei casi impunità e talvolta persino incentivi economici, oltre a molti casi di estradizione negli Stati Uniti.

Nicolás Maduro, presidente del Venezuela; Tabaré Vázquez, presidente dell'Uruguay; Rafael Correa, presidente dell'Ecuador; Juan Manuel Santos, presidente della Colombia / credits: EFE
Nicolás Maduro, presidente del Venezuela; Tabaré Vázquez, presidente dell’Uruguay; Rafael Correa, presidente dell’Ecuador; Juan Manuel Santos, presidente della Colombia / credits: EFE

Anche per questo, buona parte di questi corpi, ‘reinseriti’ nella società civile, si è dedicata ad attività illecite, quali il contrabbando dalle zone di frontiera (petrolio, zucchero, carne, principalmente) e il narco-traffico e infine all’accaparramento di terre, attività queste molto redditizie.

È inoltre da sottolineare il ruolo interpretato dai media, su entrambi i versanti. Anziché promuovere una riconciliazione, attraverso una accurata ricostruzione dei fatti, la stampa getta benzina sul fuoco nel tentativo di cavalcare l’onda emotiva del sensazionalismo e trarre a sé la propria opinione pubblica, screditando il Paese vicino e, infine, denigrando la sua popolazione. In Colombia i canali televisivi Tv Caracol, Señal Colombia ed il quotidiano El Tiempo hanno inscenato una vera e propria macchina propagandistica nei confronti del Governo e della popolazione venezolana. Anche sul versante venezolano la questione è stata ampiamente strumentalizzata a fini politici. Anche per questo, la ricostruzione dei fatti, l’analisi dei dati e delle dichiarazioni ufficiali su entrambi i fronti, appare ancor’oggi assai parziale e poco attendibile.

Quel che è certo è l’avvicinarsi di alcune importanti tornate elettorali in entrambi i Paesi. A fine ottobre in tutta la Colombia si terranno le elezioni amministrative, che vedranno il cambio delle amministrazioni municipali e regionali per il periodo 2016-2019. Nel corso di queste votazioni si decideranno anche gli equilibri politici delle zone di frontiera, i cui territori sono già in buona parte controllati direttamente o indirettamente da corpi paramilitari i cui interessi sono stati recentemente colpiti dalla Ley contra el Contrabando. Inoltre è da registrare che anche la capitale Bogotá si recherà alle urne per scegliere il nuovo sindaco (di fatto si tratta della seconda carica dello Stato, considerata un trampolino di lancio per le successive elezioni presidenziali). A dicembre in Venezuela si terranno le elezioni parlamentarie per l’Asamblea Nacional, in un momento in cui l’economia venezolana è fortemente colpita dalle fluttuazioni del prezzo internazionale del petrolio e il Governo è sotto scacco per via di azioni di sabotaggio da parte di un’opposizione politica ed economica che ha alzato la guardia contro il Presidente Maduro oltre che dalle ripetute incursioni paramilitari colombiane.

Nel frattempo, il 21 Settembre, a Quito (Ecuador), in presenza del Presidente ecuatoriano Rafael Correa e del Presidente uruguayo Tabaré Vazquez (presidente pro-tempore di UNASUR) si è tenuto un incontro tra il Presidente Santos ed il Presidente Maduro nel tentativo di alleviare la tensione.

Il colloquio ha prodotto una dichiarazione congiunta dei due presidenti, basata principalmente su 7 punti:

  • Il ritorno delle rispettive delegazioni diplomatiche ed il ripristino delle relazioni bilaterali.
  • Avviare un’indagine super partes per verificare le cause dell’attuale crisi ed attribuire le rispettive responsabilità.
  • Riunire i rispettivi ministri competenti nella ricerca di una soluzione condivisa alla crisi della frontiera.
  • La progressiva normalizzazione della frontiera colombo-venezolana
  • La coesistenza pacifica tra i due Paesi, nel rispetto di ciascun modello politico, economico e sociale.
  • Un appello allo spirito di fratellanza ed unità latinoamericana che favorisca un rapporto di mutua convivenza e rispetto.
  • Proseguire con il dialogo bilaterale, con la supervisione del Presidente Correa e Vazquez.

Se tutt’ora non si può affermare che la crisi alla frontiera sia rientrata del tutto (nonostante siano stati mossi i primi passi), la risoluzione o meno della stessa certo impatterà sulle rispettive campagne elettorali.