La giustizia internazionale in Siria tra arresti e processi

Due soldati siriani durante un'operazione del 2012 (file foto). Credits to: AP/Getty Images.
Due soldati siriani durante un'operazione del 2012 (file foto). Credits to: AP/Getty Images.

La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.

Con tre arresti in Europa, una richiesta di estradizione dal Libano e un file alla Corte Penale Internazionale il muro d’impunità in Siria comincia ad incrinarsi sotto gli sforzi della giustizia internazionale.

Sebbene il conflitto siriano sia ancora in corso, da anni la giustizia internazionale lavora per punire i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Siria, ma è Febbraio 2019 ad aver visto gli sviluppi più significativi.

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Grazie alla cooperazione tra Germania e Francia, il 12 febbraio 2019 sono stati arrestati tre ex agenti dei servizi segreti siriani con l’accusa di aver compiuto o favorito crimini contro l’umanità, compresa la tortura di massa, aprendo la strada a quelli che potrebbero essere i primi processi penali contro membri di spicco del regime siriano.

Una donna guarda le foto del “caso Caesar”, cioè dei torturati a morte nelle carceri siriane, in una mostra tenutasi presso la sede delle Nazioni Unite, a New York, il 10 marzo 2015. Credits to: Lucas Jackson/Reuters.

Due degli uomini, Anwar R., un membro della Direzione Generale dell’Intelligence siriana, e Eyad A., membro dei servizi di sicurezza siriani, sono stati arrestati in Germania dove avevano chiesto asilo nel 2012, mentre il terzo uomo, la cui identità non è stata resa nota, ma che apparteneva anch’esso all’Intelligence siriana, è stato arrestato nei pressi di Parigi.

Gli arresti sono frutto di anni di indagini avviate dal Centro Europeo per i Diritti Costituzionali e Umani (ECCHR) con sede a Berlino e hanno incluso testimonianze delle vittime degli accusati, sopravvissuti alla tortura, oggi rifugiati in Germania.

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Inoltre, la Germania ha richiesto al Libano l’estradizione del generale Jamil Hassan, capo dell’Intelligence dell’Aeronautica siriana, su cui pende un mandato di arresto internazionale per crimini contro l’umanità ai danni dei civili siriani. Hassan è stato ricoverato in Libano, sotto la protezione degli Hezbollah, alleati in campo del regime siriano. Forse anche per questo il governo libanese ha negato la presenza di Hassan sul suolo libanese, cosa che lo obbligherebbe ad estradarlo.

Soldati siriani agitano armi e bandiere mentre recitano slogan contro Donald Trump nel 2018. Credits to: AP/Hassan Ammar.

Si tratta di iniziative di giustizia internazionale senza precedenti perché dimostrano l’efficacia del principio di giurisdizione universale, che vale per i crimini contro l’umanità, e l’intenzione dei Paesi europei, pieni di rifugiati siriani sopravvissuti a quei crimini e che chiedono giustizia, a dar seguito a tale principio con azioni concrete, ponendo importanti precedenti che potrebbero portare ad un effetto domino.

Come visto qui, la Siria non ha ratificato il Trattato di Roma, che da giurisdizione alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, quindi in assenza di un Tribunale ad hoc e di un accordo in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il principio di giurisdizione universale è per ora lo strumento migliore a disposizione della giustizia internazionale.

Un padre siriano stringe i suoi figli giunto all’isola greca di Kos dopo essere fuggito dalla Siria, 2015. Credits to: Daniel Etter/The New York Times.

Tuttavia, la Corte Penale Internazionale è in contatto da anni con gli investigatori del caso siriano e ai primi di marzo questi ultimi hanno inoltrato una richiesta alla Corte a nome di alcuni rifugiati siriani per avviare un’indagine preliminare sui crimini del regime siriano che hanno spinto milioni di siriani in Giordania, paese aderente al Trattato di Roma e quindi ricadente sotto la giurisdizione della Corte.

Ciò è possibile grazie al precedente dei rifugiati Rohingya, caso che la Corte sta investigando perché, nonostante il Myanmar non sia membro del Trattato di Roma, lo è il Bangladesh, Paese dove si sono rifugiati i Rohingya. Lo stesso principio potrebbe applicarsi alla Giordania, dato che milioni di siriani vi si sono rifugiati dal 2011 per sfuggire alle atrocità del regime e che non possono tornare a causa della persecuzione.

Il caso è stato presentato alla Corte dal Guernica Centre for International Justice a nome di 28 sopravvissuti alla tortura nelle carceri siriane e testimoni di massacri contro i civili, che li hanno spinti a fuggire in Giordania.

Campo profughi di al-Wafa ad Arsal, in Libano. Credits to: The Independent.

A tutto ciò si aggiunge anche la recente condanna del regime siriano da parte di una Corte statunitense a risarcire la famiglia Colvin per l’omicidio deliberato della reporter di guerra Marie Colvin, avvenuta nel febbraio 2012 e di cui avevamo parlato qui.

Mentre il regime siriano si afferma come vincitore della guerra e il mondo si accinge a riabilitarlo in nome della realpolitik e dei profitti della ricostruzione, una cosa sembra certa: le atrocità commesse in Siria non potranno essere cancellate, le vittime continueranno a chiedere giustizia, unica via per una vera pace, e il muro di impunità che imperversa in Siria da decenni comincia a incrinarsi.

                                                     di Samantha Falciatori