La battaglia per Idlib: scontro tra Turchia e Siria

La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è siria-logo1.jpg

L’escalation della battaglia per Idlib sta portando Turchia e Siria allo scontro aperto. Come si è arrivati all’operazione turca ‘Spring Shield’ e perchè?

La battaglia per Idlib, il cui esito sembrava scontato dopo le recenti avanzate governative, ha inaspettatamente preso un corso diverso con l’uccisione il 27 febbraio di 33 soldati turchi, uccisi da bombardamenti aerei delle forze governative siriane, nel più grave attacco alle forze turche della sua storia recente.

In risposta, l’artiglieria turca ha colpito obiettivi governativi ad Hama, Nubl, Zahraa e Latakia, distruggendo anche una fabbrica di barili bomba nel sud di Aleppo, e abbattuto due caccia siriani.

Gli attacchi alle truppe turche a Idlib hanno fatto seguito alla riconquista da parte dei ribelli, sostenuti da Ankara, di Saraqeb, una cittadina strategica posta sull’autostrada M5 che collega Damasco ad Aleppo, la cui riapertura è uno degli obiettivi primari dell’offensiva su Idlib.

La ripresa di Saraqeb, uno dei simboli delle proteste di piazza anti-regime, da parte dei ribelli è stato un colpo di coda dopo settimane di avanzata governativa che ha riportato sotto il controllo del regime decine di cittadine del sud di Ildib.

Un’offensiva di terra che, accompagnata da pesanti bombardamenti aerei anche russi su città, scuole e ospedali, ha provocato da dicembre la fuga di circa 900.000 civili, 60% dei quali bambini secondo stime ONU, che si sono riversate a nord di Idlib e verso la Turchia rimanendo bloccate all’addiaccio senza assistenza e riparo. Innumerevoli i casi di bambini morti assiderati.

Migliaia di civili in fuga da Idlib, febbraio 2020. Credits to: AP.

Perché le forze turche sono a Idlib?

L’escalation dell’offensiva governativa su Idlib, in violazione di tutti gli accordi raggiunti negli ultimi anni ad Astana e Sochi, e l’assoluta ingestibilità di un altro milione di profughi, hanno spinto la Turchia a trasferire carri armati e truppe a Idlib a rinforzo dei posti di osservazione che la Turchia già aveva nell’area come parte degli accordi di Astana raggiunti con la Russia e l’Iran nel 2018, che sancivano la provincia di Idlib come zona de-militarizzata. Punti di osservazione turchi, iraniani e russi erano infatti stati creati lungo le linee a sud di Idlib a garanzia del cessate il fuoco, mai realmente attuato, tra regime e ribelli.

Leggi anche: Gli accordi di Astana e il futuro di Idlib.

I punti di osservazione turchi sono finiti sotto assedio da parte delle forze governative nelle ultime settimane. Erdogan aveva dato ad Assad un ultimatum al 28 febbraio per ritirarsi dalle postazioni turche e rientrare nei limiti stabiliti dall’accordo di Sochi. Sebbene l’assedio sia stato interrotto, gli scontri sono continuati, con la Russia che incolpa la Turchia di non aver comunicato la presenza dei propri soldati, i quali non dovevano trovarsi lì, accuse che Ankara respinge.

Come si è arrivati allo scontro aperto?

Secondo fonti locali, infatti, due caccia russi Sukhoi Su-34 e due siriani Su-22 avevano lanciato bombardamenti intensivi contro obiettivi dell’esercito nazionale siriano (SNA) appoggiati dalla Turchia verso le 11.00 del 27 febbraio.

Gli stessi caccia avrebbero colpito il convoglio turco in un’azione coordinata. Un primo bombardamento, relativamente leggero, dei Su-22 avrebbe costretto il convoglio turco a fermarsi, e come detto dall’ambasciatore turco alla riunione d’ermergenza del Consiglio di Sicurezza ONU la Russia è stata immediatamente avvertita della presenza di soldati turchi. Nonostante ciò il bombardamento sarebbe proseguito, costringendo i soldati a rifugiarsi in diversi edifici lungo la strada. I caccia russi avrebbero sganciato bombe KAB-1500L – una variante di bombe avanzate di “buster bunker” a guida laser in grado di penetrare fino a una profondità di 20 metri. Due degli edifici sono crollati nell’attacco, lasciando i soldati turchi sotto le macerie.

Quando le truppe governative non hanno rispettato l’ultimatum del 28 febbraio di ritirarsi alle linee stabilite a Sochi, la Turchia ha lanciato l’Operazione ‘Spring Shield’ contro le forze governative, una mossa senza precedenti in 9 anni di conflitto.

La fregata russa Grigorovich ataraversa il Bosforo diretta verso le coste siriane, 28/02/2020. Credits to: REUTERS/Yoruk Isik.

Perchè le trattative tra Turchia e Russia sono fallite?

I colloqui tra Turchia e Russia hanno raggiunto un punto morto. La Russia avrebbe chiesto alla Turchia di ritirarsi dai suoi 12 posti di osservazione stabiliti da Astana e di ripulire la città di Idlib da tutti gli elementi sia dell’opposizione che dei gruppi jihadisti.

In cambio, la Russia avrebbe proposto alla Turchia di istituire una zona sicura di 15 chilometri di profondità lungo il confine turco per ospitare i circa 1,5 milioni di rifugiati in fuga dall’offensiva.

Condizioni inaccettabili per la Turchia che non solo perderebbe i suoi interessi a Idlib ma che non potrebbe mai gestire un’esodo di tali proporzioni in una zona così ristretta.

La Russia ha a sua volta rifiutato la proposta turca di avere pattuglie congiunte turco-russe nella città di Idlib e il controllo congiunto sulla zona di de-escalation, e di fissare un summit il 4 marzo con anche Francia e Germania.

La Russia dunque sembra determinata a sostenere il regime siriano senza riserve nella battaglia per Idlib, in sfregio agli accordi mediati dalla Russia stessa, ai crimini di guerra commessi e all’enorme catastrofe umaniatria che ne consegue.

Razzo 9M27K da 220 mm per 30 bombe a grappolo. Inesploso in un asilo a Idlib, 25/02/2020. Credits: Mahmoud Bitar.

Le reazioni internazionali

La Turchia ha reagito aprendo le frontiere verso l’Europa ai profughi. Un chiaro messaggio all’Unione Europea, che ha condannato l’offensiva su Idlib e invocato un cessate il fuoco. Già il 26 febbraio 14 Ministri degli Esteri europei, incluso quello italiano, hanno firmato una dichiarazione per un cessate il fuoco immediato. Per farlo, la Turchia chiede una no-fly zone su idlib.

Gli Stati Uniti, pur esprimendo solidarietà alla Turchia, hanno rifiutato di fornire batterie anti-aeree Patriot alla Turchia, sostenendo di non averne a disposizione. Un problema infatti è il mancato accesso da parte turca allo spazio aereo di Idlib, controllato dalla Russia, e quindi l’impossibilità di contraccare in maniera significativa qualora l’escalation militare si aggravi. Erdogan ha dichiarato che la Turchia confida di trovare una soluzione al problema.

Nel frattempo, sempre venerdì la NATO si è riunita d’emergenza su richiesta turca, condannando gli attacchi aerei indiscriminati e chiedendo a Siria e Russia di fermare l’offensiva e rispettare gli accordi del 2018. Nessuna menzione alla no-fly zone chiesta da Ankara e nessun segnale di un possibile coinvolgimento della NATO.

Dichiarazione del Segretario Generale della NATO Stoltenberg dopo le consultazioni volute dalla Turchia, 28/02/2020. Credits to: NATO.

E ora?

La dura reazione turca all’uccisione dei propri soldati dimostra che Ankara fa sul serio nel mantenere la sua posizione a Idlib, tanto quanto la Russia.

A Idlib operano sia fazioni dell’ex FSA sia fazioni jihadiste di HTS (ex Nusra), la forza prevalente nella provincia, i cui numeri totali sono difficili da stabilire, ma secondo varie stime (anche contrastanti) sarebbero in tutto meno di 100.000 ribelli, a fronte di 3 milioni di civili tra residenti e sfollati. È questo che giustifica la “lotta al terrorismo” del regime, anche se il risultato è una mattanza di civili e un’esodo senza precedenti, ed è questo che fa accusare la Turchia di “sostenere i terroristi a Idlib”.

Al di là della retorica di guerra, la caduta di Idlib in mano al regime avrà delle conseguenze disastrose non solo per quei milioni di civili. Se si è arrivati a questo punto è per l’inazione della comunità internazionale e per il fallimento della diplomazia, che sembrano disposti a sacrificare milioni di persone come l’effetto collaterale della fine sanguinosa e inevitabile del conflitto senza capire, o fingendo di non capire, che le conseguenze saranno disastrose anche per l’Europa.

Un recente sondaggio condotto sul campo dall’Associazione siriana per la dignità dei cittadini (Syrian Association for Citizens’ Dignity) ha indicato che meno del 10% delle persone sfollate dall’offensiva russo-siriana sarebbe disposta a rimanere sotto il dominio di Assad. Ciò significa che la stragrande maggioranza dei rifugiati siriani non farà ritorno con il regime ancora al potere e ciò è normale: nelle aree riprese dal regime, arresti di massa, esecuzioni sommarie, torture e coscrizione obbligatoria sono all’ordine del giorno, punizioni collettive verso chiunque si sia opposto al regime.

Civili in fuga. Credits to: Khalil Ashawi/Reuters.

In quest’ottica, dal punto di vista turco non c’era altra scelta. Non c’è soluzione politica al conflitto, nonostante i proclami internazionali, e le offensive governative e russe, in barba a tutti i negoziati e agli accordi mediati e raggiunti dalla stessa Russia, lo dimostrano. Per fermare il bagno di sangue a Idlib e arginare un’esodo di un altro milione di profughi, che la Turchia non può oggettivamente aggiungere ai circa 4 milioni che già ospita, ad Ankara non restava che intervenire militarmente, esaurite tutte le altre opzioni diplomatiche.

A cosa questo porterà resta incerto, soprattutto perché giunge nelle fasi finali del conflitto, quando milioni di siriani sono già stati sfollati e centinaia di migliaia sono già stati uccisi. Tuttavia, nemmeno restare a guardare mentre il regime e la Russia massacrano civili, sfollandone un milione e alimentando quella che l’ONU ha definito “la più grande catastrofe umanitaria del secolo” è un’opzione plausibile.

di Samantha Falciatori